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"Ricordati di dimenticarla", il libro di Corrado Calabrò a cui è (molto) liberamente ispirato il film, parla della rivoluzione sessuale nell'Italia a cavallo degli anni 60-70. Martinelli (regista di Vajont, Porzus, Piazza delle cinque lune) riadatta la storia trasportandola ai giorni nostri sostituendo lo scontro politico-generazionale con quello tra occidente e Islam.
Leda e Alceo sono una coppia borghese italiana che ha vissuto sulla propria pelle il dramma del terrorismo: lui (un professore ossessionato dagli eccessi della cultura islamica) perdendo le gambe in un attentato terroristico a Nairobi, lei (moglie devota al marito mutilato) uscendo indenne da una sparatoria in aeroporto tra terroristi e agenti segreti.
I nomi portano subito l'attenzione su una sceneggiatura forse troppo pretenziosa: Leda (un'affascinante Jane March) è la fanciulla sedotta da Zeus sotto forma di cigno, mentre Alceo (un monocorde Jordi Mollà), altro nome evocativo, è un poeta di Mitilene contemporaneo di Saffo.
Dopo lo sventato attentato all'aeroporto, i coniugi decidono di partire per la Cappadocia dove incontrano Ludovico Vicedomini (un H. Keitel sottotono), un mercante di pietre italiano convertitosi all'Islam. Il mercante seguirà Leda a Roma confessandole il suo amore e tra i due inizierà così una storia d'amore dagli sviluppi alquanto ovvi. Dall'estrema prevedibilità alla rozzezza dei dialoghi è tutto un banalizzare continuo di situazioni e personaggi mostrati con una regia eccessiva e fuori luogo.
Purtroppo Martinelli è più convincente in conferenza stampa che sullo schermo. Colto, acceso e appassionato nel rivendicare i valori sacrosanti dell'occidente davanti al mondo fondamentalista islamico, non lo è altrettanto il suo film, che, trattando solo l'idea dominante ("tutti i musulmani non sono terroristi, ma è un fatto che gran parte dei terroristi siano musulmani") e non la "contro-idea", diventa un film di propaganda antiislamica rispondendo all'integralismo con una visione altrettanto oscurantista.
Le migliori intenzioni di Martinelli, così ben argomentate davanti alla stampa, non trovano una realizzazione efficace, coerente ed equilibrata sullo schermo e l'indagine che il regista ha portato avanti per conoscere a fondo il problema del terrorismo islamico, le sue radici storiche, la presenza di cellule dormienti in occidente, nel film è limitata allo spunto di prendere parte dei discorsi tra terroristi direttamente dalla realtà (ad esempio i dialoghi tra i terroristi sono intercettazioni della digos di Milano e il discorso del kamikaze è lo stesso di quello fatto dall'Himam di Roma nel 2003), ma questo non è sufficiente a giustificare una composizione approssimata e qualunquista.
La sceneggiatura, troppo incentrata all'azione al fine di compiacere il pubblico, evita approfondimenti che il regista reputa inadatti perché appesantirebbero il film. Lo stesso Martinelli ha dichiarato che le regole della drammaturgia gli imponevano tre atti ciascuno con tempistica rigidamente fissata. Ciò non è proprio corretto dato che una sceneggiatura deve avere minimo tre atti e non necessariamente solo tre.
Inoltre la drammaturgia dell'architrama a cui Martinelli fa appello imporrebbe anche altri principi che ha totalmente ignorato. È sufficiente citare solo il più importante: il protagonista deve essere il cardine della storia.
Ne "Il mercante di pietre" non c'è un personaggio che possa definirsi tale. All'inizio il personaggio trainante sembra essere il professore, poi diventa la ragazza e infine il mercante, ma non è un film a protagonista multiplo (come "America Oggi" di Altman) né con un cambio di protagonista studiato (come "Psycho" di Hitchcock); Martinelli fa semplicemente confusione fra trama principale e sottotrame mischiando tutto in un unico calderone facendo perdere così spessore ai personaggi e al film stesso.
A causa di questa confusione anche l'incipit perde d'importanza non essendoci una vera e propria reazione ad un evento particolare (evento dinamico) e per un'ora e mezza si assiste ad un mediocre action movie con due personaggi passivi che non hanno alcuno spessore perché non compiono mai vere e proprie scelte vincolanti; anche la storia d'amore in fin dei conti si risolve solo con un paio di scene di sesso che non creano partecipazione emotiva perché non aprono all'interno del personaggio il "divario" tra aspettative e risultato mostrando solo una donna che fino a cinque minuti prima professava amore eterno al marito e che poi si getta nelle braccia del suo amante facendo impallidire perfino madame Bovary.
L'unico ad avere una struttura più complessa è dunque H. Keitel. Il suo personaggio è perlomeno bidimensionale e in ogni caso è l'unico a compiere una scelta rivelatrice nel film, ma il design complessivo della storia non riesce a dare a tale scelta la giusta carica drammatica.
La regia di Martinelli, inoltre, è ingombrante e rumorosa, ingiustificatamente enfatica, zeppa di piani inclinati che non comportano nessun beneficio all'atmosfera del film, e alterna sequenze involontariamente comiche, come l'inseguimento sul soffitto di casa, a dialoghi sgangherati e interpretazioni approssimative.
Sicuramente la difficoltà del tema potrebbe essere un'attenuante, ma si possono realizzare splendide opere cinematografiche su realtà complesse cercando però un approfondimento e uno spessore nella storia e nei personaggi che non si fermino alla semplicistica visione monodimensionale, come, ad esempio, nello splendido "City of God" in cui Mereilles coniuga azione e dramma in modo ineccepibile.
A Martinelli si deve riconoscere in ogni caso il coraggio di affrontare temi scomodi, purtroppo le buone intenzioni da sole non sono sufficienti a scrivere un film; per quello servono altre capacità che si spera Martinelli affini prima di dirigere il suo nuovo, ambizioso e costosissimo film sull'assedio dei turchi musulmani alla Vienna cattolica avvenuto l'undici settembre 1683.
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Recensione a cura di fidelio.78 - aggiornata al 06/11/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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