Recensione il miracolo regia di Edoardo Winspeare Italia 2003
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Recensione il miracolo (2003)

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locandina del film IL MIRACOLO

Immagine tratta dal film IL MIRACOLO

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Il 12enne Tonio viene investito da un'auto-pirata; la proprietaria, Cinzia, non si ferma per soccorrerlo. In ospedale il bambino, che non versa in condizioni preoccupanti, scopre di avere il potere di guarire le persone ammalate. Tutto questo aumenta il contrasto con i familiari e accresce la popolarità del piccolo presso la comunità.

Esistono infinite esperienze cinematografiche (o fatti di cronaca reali) che possono portare lo spettatore a identificarsi con il film di Winspeare; tutto dipende dalle angolazioni e dalla personale scelta di vita. E' possibile provare quel senso di oppressione, di coercizione, enfatizzato da Bellocchio nel suo film "L'ora di religione". O magari - rivestendo persino i parametri dello pseudo-blockbuster orientale, vivere l'angoscia di Mun nella sua scoperta/rivelazione/paura della morte ("The Eye") con un processo inverso dei Pang, dalla vita alla morte e non viceversa. Potremmo anche provare interesse per i "Santini" decodificati ad uso e consumo della tv nazional-popolare di casa nostra, e/o spingerci a chiederci il perchè dell'inattesa crisi dei pellegrinaggi a San Giovanni Rotondo o altrove.

Da sempre la religione, la fede, o per meglio dire "la ricerca" rivestono un certo interesse nel cinema, e guardacaso le risposte più eloquenti e "spirituali" del cinema di oggi ci vengono da un eretico cocainomane (Abel Ferrara) o dall'ultimo teologo del cinema tuttora esistente, il venerando Manoel De Oliveira (splendido il suo "Lo specchio magico"). Dipende, appunto, dalle angolazioni, dai diversi punti di vista: scende in campo Olmi con un testamento (si direbbe) che è la vera "invocazione di Dio invano", e stupisce che questo piccolo film di Winspeare, dopo essere stato un "caso" nel cinema italiano anni or sono, sia passato ingiustamente nel dimenticatoio.
"Il miracolo" ha almeno il merito di guardare in un'altra direzione: non si nega la sua vitalità, che non è presuntuosamente bipolare e recidiva, o fastidiosamente rispettosa del dogma dell'appartenenza (cattolica). Ma non c'è dubbio che il film segni a modo suo una mossa annunciata (costruita?) in un periodo tanto delicato e controverso della fede: non a caso, siamo di fronte a un'opera Laica che non può però indignare i "puristi dell'illusione" (cfr. i pellegrini) o l'etica del pensiero cristiano/cattolico più in voga. Ed è una cosa già diversa.

Nessuno ha in mano l'infallibilità, ed il mondo di oggi vive di interrogativi a cui nessuno sa dare una risposta definitiva (neanche nelle cose reali, figuriamoci a proposito di spirito santo e affini). E nel suo laicismo forse qualunquista il film di Winspeare riflette anche la condizione del popolo italiano di oggi: apparentemente diviso (credenti, laici, atei e dubbiosi) ma in verità unito dal dubbio, l'unica ragione definitiva del bisogno collettivo di avere (credere in?) un Dio. La dimensione sacra e iconografica è del tutto assente, quasi "sconsacrata" ad un'attitudine quotidiana degna del Moretti dei tempi d'oro: e lo stesso modo di filmare Taranto come l'Ancona di "La stanza del figlio". E' l'opposto "popolare" della tradizione verso una "risorsa" religiosa quasi mistificante: non v'è più la serenità dei volti degli Hare Khrisna nelle prime immagini del film di Moretti, ma la sofferenza di un Rito. O il distacco formale di un prete laico che ricorda ancora lo stesso Moretti di "La messa è finita". E che dire di un personaggio femminile come Cinzia, figura un pò materna e un pò figlia come all'epoca di "Ecce bombo" o "Sogni d'oro"?

Con certe premesse, la vicenda di Tonio rischia di schiantarsi in una morale tutto sommato prevedibile ("I miracoli veri nascono dalla solidarietà con gli altri") dove però l'arcano, il paranormale, tutto ciò che è inspiegabile portano al valore umano di ciascuno di noi, diventano necessità da condividere per il nostro bisogno di ESSERE ed ESISTERE. E proprio per questo il rapporto tra il piccolo Tonio e la disadattata Cinzia rivela tra le pieghe una società che sembra opportunisticamente DOVERSI concedere la risoluzione dei propri drammi personali. Chi altro è Cinzia se non lo specchio comune e affine del nostro limite di individui? Chi altri possono essere i genitori di Tonio se non l'ostacolo insormontabile che si pone davanti a chi ha deciso di non infrangere la propria barriera di dolore ed esperienza?
Del suo cinema, Winspeare stavolta ha forse privato l'autenticità implosiva del passato per privilegiare la tematica, forse monotematica, dello script. Tuttavia qualcosa è rimasto: la libertà di riesumare le proprie convinzioni e/o i dubbi (non è importante se sia avvenuto "un miracolo" ma è fondamentale l'istinto di Tonio nel credere in se stesso) che ci identifica come elementi "distrattamente diversi e distaccati", così lontani dal nostro bisogno di credere e così vicini allo smarrimento di sapere che "per nulla ci sarà mai una vera risposta". E pertanto incapaci di trovarci uniti dallo stesso dubbio, ora incuriositi ora (falsamente) liberi.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 17/03/2008

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