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Il più avvincente dei tre. Il "Padrino" più carico di azione, di avvenimenti che si rincorrono, di colpi di scena. Imperniato su una struttura a "montaggio alternato" (non nel senso "griffithiano" del termine, però), saltella continuamente fra la contemporaneità dell'ascesa al potere del maturo Michael Corleone, nuovo Padrino dopo la morte di Vito, e il passato remoto rappresentato dalla gioventù insanguinata dello stesso Vito Corleone, fuggito dalla Sicilia (destinazione Stati Uniti) dopo il massacro del padre, della madre e del fratello. I salti temporali, che ci consentono di seguire parallelamente le due vicende, permettono di apprezzare le analogie e le (poche) diversità riscontrabili nelle complesse personalità di Vito e di Michael Corleone. Padre e figlio, accomunati dalla ricerca di prestigio e denaro, inseguono il successo in due epoche diverse ma con identica "cattiveria". Tuttavia, sia nel caso di Vito che in quello di Michael il cinismo e la freddezza da gangster vengono "suggeriti", anzi in un certo senso imposti, da un evento traumatico che segna le loro esistenze: Vito, ancora picciotto, aveva dovuto sopportare l'assassinio del padre e del fratello, freddati per ordine del boss siciliano Don "Ciccio", e addirittura assistere all'esecuzione della madre, decisa a difendere a ogni costo il suo figlioletto. Michael, timido ed equilibrato, era stato invece sconvolto dal tentato omicidio del padre, molla in grado di scatenare in lui una reazione distruttiva (forse non sufficientemente approfondita dal punto di vista psicologico nel primo episodio) che trasformerà il suo distacco dagli affari di famiglia in ritrovata consapevolezza delle proprie origini e del proprio scopo: prima proteggere, poi vendicare il padre e, in seguito, raccoglierne degnamente l'eredità nella gestione del "Corleone enterprise".
In effetti, sia nell'epopea di Vito che (soprattutto ne "Il Padrino III") in quella di Michael lo spettatore "percepisce" il carattere sì spigoloso, ma non semplicisticamente malvagio, dei due. Mario Puzo, e con lui F. F. Coppola, non intendevano rappresentare una manichea dicotomia Bene vs. Male, ma piuttosto creare personaggi ambigui, capaci di confondere brutalità e tenerezza, di alternare comportamenti gelidamente assassini ad altri che lasciano intuire spiragli di umanità. Già nel primo episodio il vecchio Vito Corleone, nella riunione con i capi delle famiglie mafiose di New York e poi nell'intimo colloquio padre-figlio con Michael, appariva smussato, edulcorato, perfino stanco di una vita giocoforza trascorsa a difendersi (e a difendere la propria famiglia) dalle minacce del grilletto. Ne "Il Padrino II", il giovane Vito uccide il capo-quartiere Fanucci (magistrale e "colorata" l'interpretazione di Gastone Moschin) perché da lui ricattato, e il sospirato assassinio di Don "Ciccio" ha il sapore dolcissimo della tarda vendetta a sangue freddo. Non è dunque un personaggio banalmente spietato: non casuale, ovviamente, è la scena in cui si ritrova ad assistere impotente, con le lacrime agli occhi, al pianto disperato del piccolissimo figlio Fredo, disteso sul lettino e sofferente per una brutta polmonite.
Più univoca e feroce apparirebbe, in questa seconda puntata della saga, la figura di Michael Corleone, ma "Il Padrino III" ci restituirà i tormenti e i sensi di colpa anche dell'ormai cinquantenne "figliol prodigo" convertito al cinismo, pure lui (come Vito!) stremato dopo tanti anni vissuti ad arricchirsi, a guardarsi le spalle e a ordinare esecuzioni.
Tornando al "Padrino II", si diceva che la trama di questo sequel, incalzante e ingarbugliata, procede alternativamente sul doppio binario presente-passato. L'intraprendenza, la lucidità e la sorprendente sicurezza ostentata da Michael lo conducono ad affrontare ogni affare di famiglia con la dovuta decisione, dalla questione-Pentangeli all'intrigo Hyman Roth. Due fatti più intimamente personali, invece, riescono a scuotere la sua emotività: il rapporto traballante con il fratello Fredo e l'ormai inevitabile scontro con la moglie Kay (una strepitosa Diane Keaton). Sono i primi segni di un cedimento psicologico che, dopo tanto sangue versato, si concretizzerà nel terzo episodio.
Dal punto di vista tecnico, ci sarebbero numerose "perle" da segnalare, tenendo presente la lucidissima regia di Coppola e la sceneggiatura, sempre brillante nell' esprimere, con le parole, l'essenza dei personaggi (Michael Corleone a un importante politico: "caro senatore, la nostra ultima offerta è... niente... nemmeno la semplice quota di autorizzazione, che piuttosto provvederà lei a versare personalmente sul nostro conto entro domani"). Non si può fare a meno di ricordare la sequenza della festa di San Rocco, nella quale il giovane Vito-Robert De Niro (premiato con l'Oscar per la sua spettacolare performance) insegue a vista, camminando sui tetti delle case, il boss di quartiere Don Fanucci, freddandolo infine all'interno del suo stabile mentre dall'esterno si odono gioiose le musiche della processione e relativa festa popolare (contrasto festa-morte, sacralità-tragedia che rievoca il conflitto sonoro-immagini del "Padrino I", quando le esecuzioni dei boss delle famiglie di New York venivano accompagnate dalla voce fuori campo del prete che celebrava il battesimo del figlio di Connie). A tal proposito, giova ricordare una curiosità sottolineata dallo stesso regista: "Nel film ogni scena di violenza è sempre preceduta, quasi annunciata da un particolare apparentemente insignificante, ma mai casuale. Nella scena dell'uccisione di Fanucci, ad esempio, Gastone Moschin giocherella con una lampadina difettosa che manda luce a intermittenza, riuscendo infine a 'ripararla'. Subito dopo che la lampadina ritorna a emanare luce senza interruzioni, avviene l'esecuzione."
Ci permettiamo di aggiungere che l'omicidio di Fanucci, mostrato da Coppola con un certo, reiterato compiacimento, smentisce almeno in parte la convinzione di Brian De Palma il quale, intervistato a proposito di "Scarface", ha definito quelle de "Il Padrino I, II e III" "sparatorie gentili, all'acqua di rose". In contrapposizione, ovviamente, alla brutalità selvaggia delle uccisioni perpetrate da Tony Montana ed amici.
Più che "sparatorie all'acqua di rosa", le violenze di Coppola ci sembrano fedeli riproduzioni degli usi e costumi della mafia internazionale (non sono italiana). Nella fattispecie, poi, il buon Francis Ford fa trucidare il povero Fanucci-Moschin con un proiettile al petto, un altro in pieno viso e un altro ancora, giusto per non correre rischi, in bocca. Più o meno come avrebbe fatto Tony Montana...
Doverosa menzione anche per la scena dell'uccisione di Fredo Corleone (ordinata dal fratello Michael), esaltata da una fotografia, dipinto luttuoso grave di tinte scure, dal fascino crepuscolare e fortemente emotiva. Senza dimenticare l'inquadratura di Michael che, assistendo dalla finestra di casa alla morte del fratello, china la testa esprimendo così tutta l'ambiguità del suo essere criminale dentro il suo essere uomo: crudeltà, uguale risolutezza anche se il tradimento proviene da un membro della famiglia, e dolorose tentazioni di rimorso.
Nell'accavallarsi degli eventi e dei contesti narrativi, ecco rispuntare la magia delle musiche di Nino Rota, accompagnate da pezzi di Carmine Coppola, padre del regista e direttore d'orchestra.
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Recensione a cura di Matteo Bordiga - aggiornata al 05/12/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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