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Da ormai troppi anni il cinema italiano versa in stato comatoso, ed il successo di registi come Sorrentino e Garrone serve appena a mascherarne le reali difficoltà. Ormai da tempo siamo ai margini della cinematografia europea, scavalcati non solo da Gran Bretagna, Francia e Germania ma anche dalla new wave spagnola e dal suo (spesso ottimo) cinema di genere, ed i nostri tentativi di produrre cinema di qualità, quando non sono affidati alle iniziative dei singoli (di nuovo, si vedano le eccellenti carriere di Sorrentino e Garrone, ma anche di Crialese) o al mestiere di registi di lunga esperienza (come Bellocchio o Moretti), si traducono in prodotti goffi e pretenziosi, dalle sconcertanti quanto vacue pretese autoriali. In questi termini, l'edizione 2011 del Festival Internazionale del Film di Roma è stato un'amara cartina di tornasole: accoglienze tiepide per quasi tutti i film italiani in concorso, ed in particolar modo per "La kryptonite nella borsa" di Cotroneo ed "Il mio domani" di Marina Spada, e non sono state risparmiate critiche aspre anche ad esperti cineasti come Montaldo ed Avati, in concorso con "L'industriale" ed "Il cuore grande delle ragazze".
In un tale contesto ha però fatto capolino un prodotto della Fandango di Procacci (guardacaso mentore dei succitati Sorrentino, Garrone e Crialese), senza clamori, senza squilli di tromba, senza effetti speciali sul red carpet: "Il paese delle spose infelici", esordio cinematografico nella fiction per il giovane regista pugliese Pippo Mezzapesa.
Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Mario Desiati, narra le vicende di un gruppo di ragazzini di un paesino pugliese nei primi anni '90, quando in televisione imperversavano le adolescenti di "Non è la Rai" e la vita sapeva essere dura con chi non ne accettava le regole. Due di loro, la testa calda Zazà ed il figlio di buona famiglia Veleno, rimangono stregati dalla conoscenza di Annalisa, una ragazza più grande che aveva tentato il suicidio gettandosi da una chiesa a seguito della morte del suo fidanzato a pochi giorni dalle nozze.
"Il paese delle spose infelici" segue evidentemente le direttrici classiche del film di formazione, spostando l'attenzione soprattutto verso il rapporto tra Zazà e Veleno, con gli allenamenti e le partite di calcio come elemento catalizzatore delle loro emozioni e della loro formazione, unica via di fuga dal grigiore e dalle brutture della quotidianità. I due amici hanno estrazioni sociali diverse ma sono accomunati dall'orgoglio e dalla passione per il calcio, oltre che da un malcelato desiderio di evadere da una realtà che sembra non lasciar loro scampo, dominata com'è dagli invadenti fumi dell'Italsider di Taranto, che avvelenano l'aria e le coscienze.
La figura di Annalisa subentra come elemento di disturbo nel gruppo di amici, che immediatamente ne rimangono rapiti: lo fa però non tanto (o meglio, non solo) come ragazza in carne ed ossa, quanto piuttosto come elemento sacro degno di venerazione. Sin dalla sua prima apparizione, infatti, Annalisa viene assimilata dallo sguardo dei ragazzi alla Madonna: la sua presenza eretta in cima alla chiesa prima di lasciarsi cadere nel vuoto ha una fortissima componente evocativa, tanto da spingere i ragazzi a ritagliare una foto che ritraeva il volto di Annalisa in quegli istanti ed incollarla sopra all'immagine della Madonna presente negli spogliatoi. Un nuovo idolo da sostituire al precedente, cui rivolgere forse preghiere più sentite.
L'identificazione con la Madonna è quindi suggerita continuamente da una sceneggiatura e da una regia tese a presentare Annalisa come un elemento avulso dal circostante, etereo, quasi sovrannaturale. Particolarmente significativo, in tal senso, un lungo piano sequenza che vede Annalisa seduta in trono su una sedia a sdraio mentre si asciuga lo smalto, con Zazà e Veleno seduti per terra ai suoi lati che ne contemplano estasiati la figura, come fossero angeli in una Maestà trecentesca.
Nel concentrarsi principalmente sullo sviluppo dei ragazzi che sulla figura di Annalisa e sul suo percorso autodistruttivo, il film si discosta sensibilmente dal romanzo di Desiati. Il conseguente, complesso lavoro di stesura e adattamento evidenzia però qualche zoppicamento soprattutto nella parte centrale, in cui la pellicola sembra allontanarsi dal sentiero principale per seguire sottotrame poco sviluppate e tutto sommato poco funzionali. E' questo soprattutto il caso della vicenda di Natuccio e del suo padre malato, poco coesa rispetto al resto della narrazione. Si tratta comunque di momenti di appannamento che non intaccano la complessiva buona riuscita dell'opera, né la sua carica emotiva.
A prescindere però dagli elementi contenutistici del film, "Il paese delle spose infelici" si segnala per l'eccellente regia, l'ottima fotografia ed il gran lavoro degli attori, quasi tutti non professionisti.
La regia di Mezzapesa (già pluripremiato autore di cortometraggi e del documentario "Pinuccio Lovero – Sogno di una morte di mezza estate") si caratterizza per la mano ferma ed il fortissimo senso dell'inquadratura, sempre funzionale al racconto e mai troppo invadente, pur abbandonandosi spesso a virtuosismi stilistici (in questo senso, la già citata scena di Annalisa "in trono" sulla sdraio brilla per sintesi di tecnica ed efficacia). Si potrebbe forse rimproverare al regista un eccessivo utilizzo del ralenti, ma anche in questo caso non si intravede alcun autocompiacimento, solo un'attenzione al mezzo migliore per veicolare le sensazioni e le emozioni dei protagonisti. Un esempio piuttosto chiaro in tal senso è rappresentato da una delle scene cardine della pellicola, quella della partita di calcetto, quasi interamente girata al ralenti: i dribbling di Zazà sotto lo sguardo teso dell'allenatore e di Veleno hanno bisogno del ralentiper emergere con compiutezza, non ne sono succubi.
La fotografia di Michele D'Attanasio, con i suoi toni opachi ma vivi, contribuisce in modo decisivo alla riuscita della pellicola. Ed è un sollievo vedere un film italiano che non sia fotografato come l'ultima delle fiction di Rai Uno.
Ottima poi la colonna sonora che accompagna le immagini, che alterna vibranti melodie d'archi a pezzi rock come "9 a.m." dei Girls in Hawaii.
Infine, meritano un cenno i due giovani protagonisti, Nicolas Orzella e Luca Schipani, bravissimi a dar vita ai personaggi di Veleno e Zazà nonostante siano alla prima esperienza sullo schermo. Brava anche Aylin Prandi nel rendere lo spaesamento e la rassegnazione autolesionista di Annalisa.
"Il paese delle spose infelici" è quindi un film riuscito, con cui Procacci dimostra per l'ennesima volta come si possa fare del buon cinema anche senza un grande dispiego di mezzi e, soprattutto, senza un product placement invadente e fuori luogo: è sufficiente avere la voglia di raccontare una storia, e sapere come farlo.
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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 11/11/2011 15.37.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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