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Realizzare un film su Johann Sebastian Bach non è una cosa per niente semplice, nonostante la vita e la musica del compositore tedesco trabocchino di eventi straordinari e di composizioni di inarrivabile bellezza.
Riuscire a girare una pellicola che riesca a far comprendere la musica del più grande genio musicale barocco è un'impresa di una difficoltà tale che qualsiasi regista ci penserebbe due volte a ciò che vuole fare, prima di lanciarsi in un'iniziativa simile.
Prima di "Die stille vor Bach", soltanto il duo Straub-Huillet si buttò su un simile progetto dirigendo, nel 1967, "Cronaca di Anna Magdalena Bach". Nonostante questo film goda ancora di un'ottima fama tra critici e affini, noi ci sentiamo di dire che i quarant'anni che ha sulle spalle la pellicola in questione si sentano davvero tutti.
L'immagine che il film di Straub e Huillet ci disegna è ormai superata e uno degli unici punti ancora a favore di questa produzione rimangono le registrazioni del grande interprete bachiano Gustav Leonhardt.
Nei quarant'anni successivi a "Cronaca di Anna Magdalena Bach" l'immagine storica di Johann Sebastian è andata incontro a enormi mutamenti, sia da un punto vista prettamente esecutivo che da quello critico e biografico. Ormai soppiantate sono le (orribili) re- interpretazioni bachiane che volevano la musica del compositore eseguita anche da orchestre sinfoniche (v. Toccata e fuga in re min di "Fantasia", per intenderci), ma anche le affascinanti ed intense registrazioni organistiche ed orchestrali di Karl Richter a cui tanti ascoltatori rimangono ancora fortemente legati. Negli ultimi vent'anni si è infatti instaurata un'autentica "rivoluzione filologica" che vuole Bach eseguito proprio come "Bach suonava la sua musica". Ad oggi si può infatti sostenere che le registrazioni di Ton Koopman, o dello stesso Leonhardt abbiano davvero riportato rigore al repertorio bachiano.
Dal punto di vista critico-biografico, invece, non si può far altro che citare il definitivo "Bach", di Piero Buscaroli, volume che in un colpo solo ha letteralmente distrutto tutta quell'immagine ultracentenaria bachiana ritratta da Philipp Spitta e che illustrava il Kantor di Lipsia come un uomo pio e senza "polso" sempre ligio a conformarsi a tutto ciò che la chiesa luterana gli ordinava.
Ed è dunque con questi nuovi e fondamentali apporti maturati negli ultimi decenni che viene sviluppato un nuovo film su Bach.
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, il film "The silence before Bach" del regista spagnolo Pere Portabella ricalca uno degli aspetti peculiari della pellicola precedente di Straub e Huillet: il "guardare con l'orecchio".
L'impostazione è quella di un docu-film che per larga parte della sua durata, altro non fa che proporre musica del repertorio bachiano.
Il soggetto del film non è Bach, ma la sua musica: la figura di Johann Sebastian viene solamente accennata e, senza troppe remore, possiamo perfino dire che storicamente parlando non è che sia particolarmente fedele alla realtà. L'influsso spittiano è ancora abbastanza radicato, anche se comunque il ritratto offertoci non è nulla di "scandaloso".
Portabella, infatti, nel suo lavoro non ha alcuna intenzione di ampliare un ritratto di Bach. Egli vuole piuttosto affrescare la vita della musica di Bach. E tutto ciò è qualcosa di assolutamente affascinante. La sua concezione della musica del compositore barocco è chiarissima, diretta e semplice: Bach è morto, ma la sua musica vivrà in eterno e serve a dare un vero e proprio senso alla vita.
Questo pensiero è reso magnificamente nelle prime scene: un pianoforte, senza il pianista, che viene verso di noi e suona l'Aria e la prima variazione delle Goldberg-Variationen, in una sorta di dimensione senza tempo e senza epoca.
In seguito Portabella ci porta ai giorni nostri mentre due camionisti dialogano e, uno di questi, con un'armonica suona nuovamente le Variazioni Goldberg. A chiudere questa sorta di "introduzione al vangelo di Bach secondo Portabella", un salto indietro nel tempo di 263 anni. Ora sentiamo lo stesso Johann Sebastian suonare lo spettacolare preludio in la minore sul maestoso organo della Thomaskirche a Lipsia.
Con l'incedere dei minuti, però, il film smarrisce la brillantezza iniziale. Ad alcune scene che si lanciano in un manierismo davvero eccessivo (un gruppo di violoncellisti che suona la cello suite n. 1 sulla metropolitana e/o la ridondante sequenza equestre), se ne affiancano altre inopinabilmente pletoriche (per esempio quella in cui Mendelsohn che esegue una sua sonata romantica).
Laddove nella prima parte della pellicola, ogni istante pareva una dichiarazione d'amore alle opere di Bach, nella seconda Portabella non riesce più a coinvolgere lo spettatore: l'intento del regista sarebbe infatti quello di far capire allo spettatore che l'anima delle composizioni di Bach si può nascondere dietro ad ogni aspetto della vita di un uomo, ma in realtà il messaggio appare davvero troppo appesantito da un'eccessiva ricerca stilistica.
Forse, in fin dei conti, troppa poca attenzione è stata riservata alla figura di Bach che, dopotutto, quando è in scena regala i momenti più intensi del film: oltre alla sopraccitata esecuzione del preludio in la min, vi è anche una quantomai poetica immagine del compositore che insegna al giovane figlio Johann Cristoph come suonare e, soprattutto, concepire la musica.
Insomma, l'intento di Portabella è chiarissimo; ma se il regista non si fosse abbandonato a eccessivi leziosismi il film ne avrebbe indubbiamente guadagnato.
Tra le altre composizioni, ascoltiamo: l' 'Aria delle Variazioni Goldberg', nonché la prima variazione (BWV 988); il 'Preludio in la minore' (BWV 543), il 'Preludio della cello suite n. 1' (BWV 1007); 'Gesù mia gioia' ('Jesu meine freude', BWV 227), il primo preludio de 'Il clavicembalo ben temperato' (BWV 846), la fuga 'La grande' (BWV 542) e alcuni estratti della 'Matthäuspassion'.
Una curiosità: l'imponente organo a quattro manuali ammirato nella Thomaskirche è in realtà uno strumento moderno.
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Recensione a cura di Harpo - aggiornata al 28/09/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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