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1941: Leopold Socha, ispettore fognario della città di Lwow (Leopoli), che arrotonda lo stipendio saccheggiando le case degli ebrei deportati, scopre un gruppo di ebrei che riesce a sfuggire al massacro nazista del ghetto della città nascondendosi nelle fogne. Socha offre le sue conoscenze logistiche (e il suo silenzio) in cambio di soldi, ma le cose ben presto si complicano e le scelte di Socha diventano sempre più difficili e pericolose...
E' ancora necessario girare un film sull'Olocausto? Probabilmente no, dal punto di vista storico e documentaristico: tutto è stato raccontato più volte e in vario modo. I protagonisti della seconda guerra mondiale fanno ormai parte di un pantheon cinematografico che trascende i generi: da "Il Grande Dittatore" a "I predatori dell'Arca Perduta", da "La Vita è Bella" a "Il Pianista" e " Inglourious Basterds". Oltre alla necessità di testimoniare e tramandare, c'entra sicuramente un'espiazione infinita che l'Occidente deve scontare nei confronti dell'Olocausto, c'entra l'enorme quantità di talenti ebrei prestati alle arti e in particolare al cinema (non solo in qualità di autori), c'entra la cultura americana che ha trovato nei Nazisti (storicamente veri o di fiction) i perfetti villain da quando è diventato scorretto politicamente dipingere come tali gli Indiani d'America.
Rispetto al corpus di film sul medesimo argomento, "In Darkness" di Agnieszka Holland ha certamente qualche peculiarità e merita attenzione, pur essendo una piccola produzione europea senza nomi di grido. Tratto da una storia vera certamente singolare, il film è basato completamente sulla metafora che l'oscurità del sistema fognario e la sua struttura labirintica rappresentano: il lato più oscuro e irrazionale della natura umana, quello che porta gli uomini a non riconoscere ai propri simili eguali diritti in base a un principio razziale.
Oltre che dai nazisti, sui quali (intelligentemente) "In Darkness" non si sofferma se non nel personaggio dell'amico di Socha, gli ebrei polacchi dovevano guardarsi anche dai polacchi non ebrei, che sfruttavano la loro disperazione per arricchirsi. Emblematico, a tal proposito, il modo in cui Art Spiegelman li caratterizza nel suo capolavoro a fumetti ("Maus"): gli ebrei sono topi, i nazisti gatti, i polacchi maiali.
Se la scelta di Spiegelman sottende un giudizio morale, "In Darkness" si limita a suggerire una rete di rapporti di forza piramidale - che ad inizio film è già consolidata - che le persone non discutono e non combattono. Un drammatico dato di fatto, un senso d'ineluttabilità che rende ancor più straordinario l'arco del personaggio di Socha, che inizialmente aiuta gli ebrei in cambio di soldi (pena la denuncia alle autorità naziste), poi - è solo suggerito, ma evidente - solo come rimborso spese (Socha porta al gruppo anche da mangiare), infine solo per senso civico e umanità, fino al punto di rischiare la vita e l'incolumità della propria famiglia.
Il gruppo di ebrei sfuggiti alla deportazione rappresenta un campione umano molto credibile e - scelta brillante - non si indulge in compassione: la situazione inumana non porta necessariamente alla solidarietà o ad un radicale cambiamento morale. Quanti tra gli ebrei non erano rispettabili da persone libere, ancor meno lo sono in una situazione critica. Ancora una volta, il punto non è il giudizio morale: la catastrofe dell'Olocausto si è abbattuta su persone giuste e ingiuste, e "In Darkness racconta anche questo, evidenziando, per quanto possibile, le singolarità dei vari personaggi e non la loro comune condizione di perseguitati.
In più di un'occasione la Holland muove la macchina da presa "attraverso" la strada per passare dal mondo dell'oscurità fisica delle fogne a quello dell'oscurità spirituale della città occupata: i polacchi vanno a messa, ma non si preoccupano degli ebrei che muoiono nel campo di concentramento al centro della città. Solo la singolare posizione di Socha - sospeso tra i due mondi - consente di apprezzare tale assurdità e forse è la causa del suo lento percorso di redenzione. Una situazione straordinaria all'interno di un ordine sociale perverso, ma consolidato.
"em>In Darkness" rivela così due aspetti della natura umana strettamente interconnessi che si manifestano sovente in situazioni estreme: la capacità di essere migliori anche oltre le proprie attese e la terribile facilità con cui l'egoismo diviene la forza alla base delle nostre azioni.
Oltre due ore di film sono tante. Tutta la parte centrale è ripetitiva e stancante, anche solo per gli occhi che devono spesso scorgere e dare un senso a movimenti nel buio quasi totale.
E' un difetto del film, in effetti, ma è anche l'unico modo per rendere anche solo lontanamente (e al netto del fetore) il senso dell'esperienza vissuta dai protagonisti in quei quattordici interminabili mesi. L'esperienza cinematografica - a conti fatti - ne risente e l'assenza di retorica, che certamente è un merito nella sceneggiatura, rende "In Darkness" un film utile a conoscere una vicenda umana senza dubbio straordinaria, ma troppo freddo per essere un'indimenticabile esperienza cinematografica.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 24/01/2013 16.08.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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