Recensione into darkness - star trek regia di J.J. Abrams USA 2013
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Recensione into darkness - star trek (2013)

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locandina del film INTO DARKNESS - STAR TREK

Immagine tratta dal film INTO DARKNESS - STAR TREK

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Avvertenza: per evitare spoiler, la sinossi omette volutamente alcuni dettagli della trama.
Durante una missione esplorativa, per salvare la vita di Spock (Zachary Quinto), il capitano Kirk (Chris Pine) decide di infrangere la Prima Direttiva del regolamento della Federazione, che vieta tassativamente di interferire con lo sviluppo delle civiltà indigene di un pianeta. Al ritorno, scopre che Spock ha presentato rapporto a Pike (Bruce Greenwood) sull'accaduto, che la Federazione gli ha di conseguenza tolto il comando dell'Enterprise e intende rispedirlo all'Accademia. Un brutale attacco terroristico a un archivio della Federazione da parte di un ex agente speciale, John Harrison (Benedict Cumberbatch), scatena nel frattempo una caccia all'uomo interplanetaria. L'Enterprise, guidata nuovamente da Kirk, è incaricata dall'Ammiraglio Marcus di giustiziare Harrison, nascostosi su Kronos, pianeta natale dei Klingon al di fuori dello spazio di competenza della Federazione. Il rischio è quello di un incidente diplomatico e una guerra sanguinosa con i Klingon, pertanto Kirk decide ancora una volta di fare a modo suo, catturando Harrison invece di giustiziarlo. Il prigioniero rivela al capitano la sua vera natura e una storia che mette in discussione tutto quello in cui Kirk e compagni credono, mentre l'Ammiraglio Marcus arriva su Kronos con una nave pronta a far fuoco sull'Enterprise qualora Kirk e Spock non collaborino consegnando immediatamente il prigioniero...

Il test della Kobayashi Maru è una simulazione tattica dell'Accademia senza possibilità di vittoria. E' pensato per istruire i futuri capitani a mantenere il controllo in una situazione senza vie d'uscite. Il capitano Kirk è l'unico membro della Starfleet Academy ad averlo superato, barando. "Star Trek II - L'ira di Khan" (film del 1982) introduceva questo aneddoto legato alla giovinezza di Kirk, ripreso brillantemente da Abrams nel suo primo episodio del 2008. Riprendere in mano franchise gloriosi e vetusti come "Star Trek" (per non parlare di "Star Wars"), è il test della Kobayashi Maru per qualunque regista.
Situazioni senza via d'uscita. A parte barare, s'intende: Abrams lo fa, e alla grande. Prima, trasformando un rischioso reboot in un ardito sequel mediante un viaggio nel tempo, poi assicurandosi per l'immancabile secondo appuntamento un richiamo fortissimo al secondo film della serie classica, proprio "L'Ira di Khan", rimasto nei cuori e nella mente di tutti i fan di Star Trek della galassia.
John Harrison è in realtà Khan? Quelle mani nel trailer separate da un vetro non saranno la riproposizione della commovente scena della morte di Spock? Un rischio elevatissimo, ma non per uno che non crede in uno scenario senza vie d'uscita. Come J.J.Abrams, che se le cerca, o come il capitano James T. Kirk.

Chi si ostina a paragonare lo "Star Trek" di Abrams con quello di Roddenberry dimentica un dettaglio: che Abrams deve fare in poche ore quello che la serie classica aveva il tempo di fare in un'intera serie televisiva: costruire personaggi, rapporti, storie, lasciare che il pubblico si affezioni nel tempo. Quando uscì "L'Ira di Khan", il capitano Kirk (e William Shatner con lui) era già quasi in età da pensione, tornato da tempo dalla missione quinquennale dell'Enterprise e richiamato in battaglia quasi per caso assieme ai suoi altrettanto azzimati compagni storici. La storia scelta da J.J. Abrams è un racconto di formazione, polarizzato per forza di cose sui giovani Kirk e Spock, i quali incarnano due aspetti della natura umana difficili da conciliare, l'istinto e la ragione. Una storia semplice e tremendamente efficace, che deve chiaramente molto più a Spielberg che a Roddenberry, dal punto di vista cinematografico (l'incipit è una copia carbone di quello de "I Predatori dell'Arca Perduta"), ma che non tradisce lo spirito di "Star Trek", sempre che con tale espressione non si intenda pigiama di flanella in tinta pastello, trucco sugli occhi, William Shatner pretestuosamente a torso nudo, recitazione goffa e film mediamente scadenti. L'inno alla collaborazione, alla comprensione, la tesi che l'unica evoluzione possibile avvenga grazie al sacrificio, all'impegno, alla fiducia nei propri compagni, oltre che alla tecnologia: tutto questo caratterizza lo "Star Trek" originale tanto quanto quello di Abrams, che aggiunge - per fortuna - anche una buona dose di umorismo e sequenze d'azione spettacolari.

Accantonati i paradossi temporali del primo episodio, necessari a riavviare l'universo senza obliterare decenni di cronologia, "Into Darkness" si concentra sull'evoluzione del rapporto tra Kirk e Spock, complementari per natura ma ancora incapaci di intendersi davvero, ugualmente limitati uno dalla propria impulsività, l'altro dalla logica. Alla fine del primo episodio, i due avevano messo da parte le proprie divergenze e intrapreso un percorso di crescita. La sfida di John Harrison li costringerà ad affrettare il passo: Harrison è un superuomo in cui intelligenza, forza fisica, talento tattico e capacità di azione sono sviluppati al massimo. Né Kirk, né Spock, da soli, possono sperare di competere.
L'oscurità del titolo fa riferimento al momento terribile che l'equipaggio si trova ad affrontare dopo l'attacco terroristico di Harrison: lo spirito della Federazione è tradito dai suoi stessi membri, la missione richiede l'uso della violenza, la guerra con i Klingon potrebbe scoppiare da un momento all'altro. E' anche l'oscurità dell'animo umano, che tende a uscire fuori e a prevalere sull'intelletto, la fiducia, la ragione, persino sull'istinto: emblematica la scena tra Kirk e Scott che rifiuta di imbarcare le armi sull'Enterprise. Non bisogna aspettarsi tediose riflessioni in merito: la grandezza del cinema di Abrams è quella di sintetizzare in poche battute ed in maniera estremamente efficace i conflitti e i temi che danno spessore ad un film il cui scopo primario resta quello di divertire lo spettatore e di fargli amare l'unicità dell'esperienza cinematografica.

Ogni film di Abrams è una lettera d'amore al cinema. "Super 8" era in tal senso quasi un meta-film, ma se "Star Trek" ha un'anima che nessun cinecomic può aspirare ad avere (nonostante il marketing tenti disperatamente di spacciare film come "Iron Man 3" e "Amazing Spider-Man" come film "dark") è perché Abrams sa che nessun effetto speciale si può sostituire alla credibilità della storia e del suo dramma.
Si potrebbe imputare ad Abrams di aver voluto a forza reintrodurre un momento epico (forse il più epico) anche nella propria mitologia. Seppur diverso nella forma, è il momento centrale nel rapporto tra i due personaggi principali. Tutte le sottotrame convergono nella scena che fa da metafora alla definitiva comprensione reciproca tra Kirk e Spock. In tal senso, la sua versione di quel momento è perfettamente legittima, ed altrettanto commovente.

Il dinamismo impresso da Abrams a Star Trek - criticato da molti fan hardcore - è in realtà il contenitore necessario a far andare la storia da sola alla massima velocità, mentre un'ottima sceneggiatura dà spazio non solo ai due personaggi principali, ma all'intero cast. Da Simon Pegg a John Cho, ognuno ha il suo momento, perfettamente integrato nella trama. Solo il personaggio di Carol Marcus sembra un po' fuori luogo (e quell'inquadratura in lingerie sarebbe davvero una nerdata imperdonabile, se non fosse un così bello spettacolo) e inserito a forza per richiamare l'altra versione della storia.
Al cast, che ritorna al completo, si aggiunge Benedict Cumberbatch, ancora una volta bravissimo, a dare spessore ad un grande personaggio. John Harrison surclassa il pur discreto Nero di Eric Bana (che era poco più di un plot device necessario a riavviare il franchise) per personalità e pericolosità, oltre ad avere una storia comunque interessante da raccontare. La storia di Harrison è forse un po' compressa, viste le implicazioni, anche se è facile immaginare che queste potranno essere esplorate meglio nei prossimi capitoli. I Klingon, tagliati dal primo episodio, fanno infatti una fugace apparizione, ma non ancora all'altezza della loro fama. D'altra parte, l'obiettivo palese di Abrams è definire il rapporto tra Kirk e Spock: il finale del film suggerisce chiaramente (anche con un richiamo musicale) che questa vicenda ha colmato definitivamente il gap in termini di rapporti interpersonali e maturità tra l'equipaggio "classico" (che nella serie incontriamo già impegnato nella missione quinquennale) e quello appena uscito dall'Accademia degli ultimi due film. Non è ancora noto se J.J. Abrams resterà al timone della saga (visti i suoi impegni per la nuova trilogia di "Star Wars"). Se dovesse lasciare "Star Trek", lo avrebbe fatto nel modo migliore, restituendo il giocattolo in condizioni decisamente migliori di quando glielo avevano affidato e soprattutto pronto finalmente a raccogliere l'eredità dell'originale.

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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 20/06/2013 12.02.00

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