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Jacqueline Lee Bouvier in Kennedy e successivamente Onassis è stato un personaggio pubblico sempre al centro dell'attenzione dei media di tutto il mondo. Fisico esile e asciutto, non priva del giusto fascino che fu, come molti sostengono, decisivo per l'elezione del marito alla carica di Presidente degli Stati uniti, John Fitzgerald Kennedy. Una presenza costante, ma mai invasiva al fianco del carismatico marito, fautore della Nuova frontiera del sogno americano. Una delle più giovani first lady della storia americana, ammirata per il suo buon gusto. Sicuramente la first lady più famosa del secondo dopoguerra.
Eppure per essere un personaggio pubblico così famoso si conosce poco del suo privato, tanto da essere definita "la donna famosa più sconosciuta dell'era moderna". Una figura quindi legata indissolubilmente al destino tragico del marito. Morto il marito, Jackie sembra seguire il suo destino. La figura secondaria accomunata dal destino di quella primaria.
Di fronte ad un personaggio così famoso ma al tempo stesso sfuggente e poco definito, Larrain concentra la sua attenzione verso gli avvenimenti immediatamente successivi alla morte di Kennedy, quando Jackie si ritrova completamente sola, cercando di costruire una sua personale visione a questa figura, a suo modo controversa, senza l'assillo di dover raccontare qualcosa che rispecchi la realtà dei fatti, ma un ritratto veritiero che riesca penetrare nell'animo dei personaggi. Una donna che è entrata nelle stanze del potere e che è rimasta sola con i suoi figli, John Jr e Caroline. Questo è ciò che trova di fronte il giornalista di Life Magazine venuto ad intervistarla a pochi giorni dalla morte del marito.
"Do you know James Garfield was? Do you know William McKinley was? Or what he did?"
La narrazione di Larrain procede principalmente per ellissi, con diversi rimandi e digressioni, ma riuscendo a mantenere una certa linearità nel discorso che vuole far emergere. Passato e presente si mescolano continuamente per canalizzarsi ad uno dei cardini centrali di questo film.
Larrain utilizzando lo stesso espediente di "No – I giorni dell'arcobaleno", inserisce frammenti del documentario divulgativo sulla Casa Bianca con protagonista la first lady, riguardante il suo progetto di restauro della stessa residenza presidenziale. In questo documentario l'intento di Jackie era quello di recuperare il passato della storia americana. Prima della sua opera nessun oggetto o mobile erano antecedenti al 1900. Questi continui ricambi ad ogni diverso presidente provocavano inconsciamente una sorta di rimozione del passato stesso della storia americana. L'intento della first lady è quello di far riaffiorare questo passato ormai sepolto.
Alla morte del marito si trova di fronte allo stesso dilemma. Qual è il lascito del defunto presidente degli Stati Uniti nei confronti del proprio paese? Cosa fare per impedire che la breve presidenza di Kennedy sia accantonata dalla storia stessa?
Chi erano James Garfield o William McKinley? Erano presidenti degli Stati Uniti uccisi durante il loro mandato, ormai dimenticati ed inghiottiti dalla Storia. Nessuno si ricorda di loro. Quel vestito rosa sporco di sangue dapprima è una reazione rabbiosa a ciò che Jackie ha appena subito. Mostrare a tutti ciò che le era stato fatto. Gli spari che hanno ucciso il presidente la fanno piombare improvvisamente in un contesto dove si ritrova sola e con due figli piccoli da crescere a cui era stato ucciso il padre. Questa reazione puramente istintiva sarà anche la molla per quel progetto destinato a consegnare John Kennedy al Mito, come Abraham Lincoln quasi cento anni prima. Un presidente entrato nel Mito, ricordato da tutti per quello che aveva fatto.
Sgomberando il campo da qualsiasi dubbio, il film di Larrain non offre il minimo appiglio ad un'ipotetica ricostruzione dell'omicidio Kennedy a Dallas. Come da titolo, il fulcro del film è sua moglie Jackie ed ogni deviazione da tale percorso sarebbe stata oltremodo ridondante ed inutile, anche in considerazione dell'ampia bibliografia e filmografia su tale argomento. Anzi Larrain dedica più immagini negli attimi immediatamente successivi agli spari, con quel corpo ormai senza vita e con testa fracassata dall'impatto del proiettile che sparge il suo sangue e le frattaglie del cervello sul vestito di Jackie in stato di shock. Un altro cadavere presidenziale dopo "Post Mortem" in cui veniva sezionato il corpo di Salvador Allende. Qui non c'è nessuna autopsia da operare, perché diversamente da Kennedy, la morte di Allende prelude alla caduta della democrazia cilena sotto i colpi della dittatura di Pinochet. In Jackie si assiste alla glorificazione della morte e di conseguenza l'entrata nel Mito della presidenza Kennedy.
Una regina detronizzata che tuttavia ha un'ultima stilla di potere da esercitare. Pochi giorni di regno in cui sarà capo della nazione per gestire il lutto non solo a livello individuale ma anche quello collettivo e lo farà decidendo di ripercorrere lo stesso rituale funebre di Lincoln, un presidente entrato nella storia. Significativo in tal senso una piccola sequenza del volto della Portman dietro il vetro dell'auto presidenziale durante le fasi iniziali del funerale. Nel vetro c'è il riflesso delle immagini di repertorio della folla ai lati della strada che si sovrappongono al suo volto. Al pari dell'impostazione stessa del film, con la Portman presente nella quasi totalità delle sequenze, il popolo americano sceglie la first lady come punto di riferimento di un'intera nazione.
"I can assure you that it was a spectacle"
Il funerale è sontuoso e solenne. Non è una cerimonia funebre che provvede alla sepoltura di un presidente, è la sepoltura di un simbolo, la fine di quella Camelot sognata e come Re Artù, John Kennedy viene eletto a simbolo di un qualcosa di irrimediabilmente perso. La perdita individuale di Jackie diventa la perdita di un intero popolo che partecipa alle esequie di un simbolo. Il trionfo della forma che supera la sostanza di una presidenza.
Come in "No – I giorni dell'arcobaleno", la verità sulle atrocità della dittatura era troppo paurosa da sparare negli occhi del popolo. Per raggiungere l'obiettivo della fine di Pinochet, si cambio completamente strategia pensando in positivo ad un futuro migliore senza Pinochet, con un linguaggio semplice ma allo stesso tempo efficace nel veicolare il suo messaggio.
Non solo quindi la forma supera la sostanza, la forma diventa la sostanza stessa. La grandiosità del funerale misura la grandezza dell'uomo, anche se forse non lo è stato. In tal senso i personaggi di Jackie Kennedy e René Saavedra di "No – I giorni dell'arcobaleno" non sono mai stati così vicini.
Non è facile per un regista straniero raccontare una storia di un altro paese e lo stesso vale, in questo caso, per un regista straniero coinvolto in un progetto all'interno di un sistema cinematografico piuttosto rigido come quello americano. La bravura del regista cileno è stata quella di adeguarsi al modus operandi hollywoodiano senza snaturare la sua personalità che riesce ad emergere anche su un lavoro apparentemente su commissione.
Certamente è un lavoro meno estremo rispetto ad un altro biopic come Neruda, ma pur rimanendo nei canoni del genere, Larrain dimostra, come detto, la sua personalità.
In tale progetto la presenza della Portman si è rivelata decisiva. Fisicamente i suoi tratti esili ne fanno una scelta naturale per tale ruolo, a cui riesce a dare sostanza con un interpretazione dolorosa e struggente di grandissimo spessore e facendo emergere soprattutto il carattere controverso del personaggio, certamente non dipinto come un santino da venerare. Pur essendo onnipresente in quasi tutte le scene del film, riducendo per contrasto a mera spalla quella del marito John, rimangono sempre quelle zone d'ombra a cui Larrain ha cercato di dare una propria interpretazione in quei punti dell'intervista con il giornalista di Life, in cui la stessa Jackie spesso censura le sue affermazioni, dicendo di non pubblicarle o le sue confidenze con il prete interpretato da John Hurt, coerente con la natura molto sfuggente di questo personaggio.
Al Festival di Venezia si è guadagnato un buon credito sia fra il pubblico, sia nei confronti della critica, ufficiale e non. La giuria non è stata dello stesso avviso, dando un premio come migliore sceneggiatura che ha il sapore della magra consolazione.
"Non ho scelto di essere una celebrità, poi sono diventata una Kennedy"
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 13/03/2017 15.46.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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