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Il 2 giugno 1967 il movimento studentesco organizza una manifestazione pacifica contro lo Scià di Persia ed il suo regime in Iran, mentre si trova in visita di Stato nella Germania Federale. A fianco di questa manifestazione un gruppo di provocatori inneggia al monarca iraniano ma, al momento del suo passaggio, si scaglia duramente contro la folla di manifestanti armato di bastoni, sotto gli occhi della polizia che non reagisce minimamente, ma caricando essa stessa i dimostranti a manganellate e getti d'acqua dagli idranti. Durante gli scontri uno studente, Benno Ohnesorg, viene ucciso da un colpo di pistola di un poliziotto. Tale episodio rappresenta la molla per Andreas Baader e la sua compagna Gudrun Ensslin ad intraprendere la lotta armata fondando il Movimento 2 Giugno, primo gruppo terroristico della storia tedesco-occidentale e, successivamente, con l'ingresso di Ulrike Meinhoff, ribattezzato definitivamente RAF ("Rote Armee Fraktion" – "Frazione dell'Armata Rossa").
Tratto dal libro di Stefan Aust (anche co-sceneggiatore della pellicola) intitolato Der Baader Meinhof Komplex, il film di Uli Edel, noto in Italia soprattutto per "Christiane F.- Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino", ne ripercorre le gesta per i successivi dieci anni fino al 1977, anno del rapimento e dell'uccisione del presidente dell'associazione industriali tedesca, Hans Martin Schleyer.
Il film è una scansione temporale degli avvenimenti che insanguinarono la Germania Federale per tutto il decennio degli anni '70, anni in cui il riflusso delle proteste operate dal movimento studentesco alla fine degli anni sessanta, crearono la coltura per la radicalizzazione dello scontro sociale e politico da parte di "cellule" impazzite (come la RAF) ormai dominate da un'ideologia che, seppur basandosi su temi oggettivamente più che condivisibili da una parte, dall'altra vengono penalizzati dalla scelta univoca della lotta armata come unico rimedio di contrasto verso lo Stato e le sue istituzioni.
Ulrike Meinhof (interpretata da Martina Gedeck) è il personaggio su cui si sofferma maggiormente il regista: dentro di lei ci sono tutte le frustrazioni dei sogni infranti, delle speranze deluse di un cambiamento della società tedesca, combattuta in un primo tempo con la penna sulle pagine del giornale Konkret e sugli schermi televisivi dei dibattiti dell'epoca. Era una giornalista affermata e rispettata prima di entrare in clandestinità e di intraprendere la lotta armata, divenendo ben presto l'ideologa della RAF.
Una scelta così radicale però, comporta un prezzo troppo alto da pagare ed il regista lo fa vedere chiaramente nei disagi dovuti alla vita clandestina, dal vivere costantemente braccati unita al dolore della perdita di ogni contatto familiare con le sue due figlie. Inoltre il curioso rapporto amore-odio con Gudrun Ensslin è per lei un continuo pungolo per lasciarsi dietro quella patina di "combattente da salotto" che quest'ultima le rimprovera in continuazione.
Ben presto l'ideologia diventerà una prigione da cui non potrà più liberarsi; il fardello sarà sempre più pesante e allo stesso tempo un calice amaro da bere sino in fondo, fino alle estreme conseguenze del suicidio. Il regista sposa in maniera apparente la verità ufficiale del governo: la Meinhof fu trovata impiccata con un paio di calze nella sua cella del carcere di massima sicurezza di Stammheim, a Stoccarda, nel quale si svolgeva il processo ai capi della Banda Badeer-Meinhof, ma come parte della opinione pubblica tedesca di allora, lascia spazio in maniera sottintesa anche all'ipotesi che lo Stato abbia "suicidato" la mente ideologica della RAF. Una scelta o forse una licenza che il regista si è concesso per una rappresentazione più coerente dei personaggi, uomini e donne votati ad un idealismo radicale senza ormai controllo.
Proprio questa centralità del personaggio della Meinhof fa da contraltare ad una rappresentazione abbastanza didascalica degli altri due membri del nucleo storico della RAF, Andreas Baader e Gudrun Ensslin. Il primo (interpretato da Moritz Bleibtreu) viene rappresentato in una veste di puro uomo d'azione, dall'atteggiamento piuttosto guascone, capace però di scatenarsi in gesti di violenza insensata come si conviene ad un vero "braccio armato". Poco si sa del suo passato, l'unica cosa che il film ci rivela è che ha una figlia. Anche Gudrun Elssin (Johanna Wokalek) ci appare come un personaggio contradditorio: ragazza sfrontata, apparentemente sicura di sé, proclama di odiare il capitalismo e il cosiddetto "Stato maiale", ma ne subisce in fondo una certa fascinazione, considerate le circostanze del suo arresto all'interno di una boutique alla moda.
Anch'essi seguirono la stessa tragica sorte della Meinhof.
Il film, malgrado la durata considerevole di oltre centocinquanta minuti, possiede un ritmo molto serrato che coniuga in modo apprezzabile sia la fruibilità da intrattenimento tipica dell'action movie ben orchestrata nelle scene d'azione in cui è impegnata la banda, senza tuttavia lasciarsi andare a derive epiche nella descrizione della loro gesta e sia all'ambizione di creare un grande affresco d'epoca dove la tragedia di una generazione di ragazzi votati alla violenza viene messa in parallelo con degli inserti di repertorio di tragedie ancora più grandi come il Vietnam, i bombardamenti della Cambogia, l'irruzione di Settembre nero alle olimpiadi di Monaco. Crimini terroristici e crimini di stato, a sottolineare ancora una volta la durezza dello scontro politico, sociale ed economico di quel decennio. Compito molto difficile da coniugare, ma vista la vastità del materiale a disposizione, Edel e lo sceneggiatore Aust riescono a dare quell'essenzialità, pur con qualche difetto comune a questo tipo di operazioni, che fa di questa pellicola un discreto prodotto. Qualche parte risulta più debole rispetto alle altre: l'addestramento nel campo palestinese ha un tono troppo leggero rispetto al contesto e la parte del processo evidenzia a volte risvolti quasi farseschi.
Buona anche la scelta di non rappresentare in maniera uniforme lo Stato contro cui combatterono i membri della RAF: non solo uno stato repressivo che usa metodologie brutali e disumanizzanti come la lunga detenzione in isolamento del nucleo storico della banda, ma dietro anche uomini che cercano di capire il perché di tanta violenza. Paradossalmente Horst Herald (un bravo Bruno Ganz), l'ispettore più ostinato nella caccia ai membri della RAF, è anche colui che intuisce fin dall'inizio la portata delle loro azioni terroristiche rimproverando all'intera classe politica tedesca la scarsa lungimiranza verso quei problemi che stavano a monte delle contestazioni del movimento studentesco. La scelta repressiva del governo tedesco a scapito della ricerca di un dialogo costruttivo per ambedue le parti ha buttato alle ortiche un'intera generazione di giovani. Più che un rimprovero, quasi un grido di dolore.
Vedendo questo film si troveranno molte analogie, a grandi linee, con la storia del terrorismo italiano: da dove nasce, il come e quando si radicalizza lo scontro, la scelta folle della lotta armata, il modus operandi di tali organizzazioni. Saltano subito all'occhio le molte somiglianze del rapimento e successiva uccisione del presidente dell'associazione industriali tedesca, Hans Martin Schleyer (la Confindustria tedesca, per intenderci), con il Caso Moro avvenuto meno di un anno dopo in Italia e con identico epilogo.
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 10/11/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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