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Il regista emiliano ci ha abituato a un cinema molto sostanzioso, dalla densa materia narrativa, mirante ad abbracciare le più ampie tematiche dell'umano.
La premessa è mossa da due ragioni di opposta natura: da un canto rispondere a chi gli rimprovera la prima caratteristica (ma a farlo sono pochi) sostenendo che mette troppa carne al fuoco; dall'altro fugare il dubbio che si tratti di argomenti leggeri, come lui stesso lascia credere (per vezzo o convenienza commerciale) definendo l'opera in oggetto come semplice "commedia sentimentale". Ai primi basterebbe rispondere che generi come il romanzo, soprattutto nell'ottocento, hanno sempre rappresentato l'umano sotto ogni aspetto, con una storia principale "centripeta", intorno a cui si muovevano una miriade di personaggi e vicende "centrifughe"... come infatti avviene nell' esistenza reale.
Niente di male, dunque, che il cinema segua questa modalità, disponendo di strumenti tecnici ancora più ricchi di quelli letterari. Mentre per il secondo punto, nella apparente "leggerezza" del racconto, sembra quasi che il regista si muova "con pudore", per paura che il grande pubblico si volatilizzi di fronte a discorsi troppo impegnativi (viviamo pur nell'epoca de "Il Grande Fratello").
A conferma di questo ci rifaremmo al titolo, che sembra parafrasare film di evasione (tipo "Venga a prendere il caffè da noi") e alla divertente didascalia finale, dove compaiono i titoli dei "filmacci" girati dal povero protagonista (dove l'ironia fa dimenticare il dramma della di lui scomparsa).
Nel film, invece, si trattano tematiche drammatiche e di amplissimo respiro, come già negli ultimi del regista; se in "Quando arrivano le ragazze" il clou del racconto era l'amicizia, e ne "La seconda notte di nozze" era il conflitto tra il bene della mitezza e il male della disonestà, in questo si tratta ad ampio spettro la vicenda eterna ed irrisolta di un amore Edipico che lega irrazionalmente le donne alla figura del padre.
Per quanto fanfarone, irresponsabile e assente sia stato, questi non viene "scaricato" dalla figlia, che se ne fa tutrice in vece della madre, trionfando in tal modo sulla sua "rivale" primigenia. Non dunque una sposa vilipesa che lo odia, e dunque lo perde, ma un angelo salvifico che gli perdona comunque, amandolo senza pregiudiziali, come una madre.
Tale il personaggio impersonato (splendidamente) da Abatantuono, gaglioffo impenitente e attore fallito, che tenta il suicidio fittiziamente, dopo una fallita operazione di chirurgia estetica (con cui si illudeva di risalire la corrente del successo). Torna qui il tema, frequente in Pupi Avati, della mancata realizzazione professionale, causa di insuperabili ferite narcisistiche nell'uomo, di profonde depressioni e di una concezione pessimistica e disperante dell'esistenza.
Questo per la figura del protagonista, mentre per quella delle giovani figlie i riferimenti si sprecano: da "Le tre sorelle" di Cechov, immerse ognuna nella propria nevrosi, ma tutte invasate dal ricordo del nobile padre, allo splendido "Interiors" di Woody Allen, intriso non poco di influenze bergmaniane, col padre che infine le abbandona, dopo averle responsabilmente seguite fino all'età dovuta. Una storia drammatica, in verità, altro che "commedia sentimentale"...
A Pupi Avati piace evidentemente giocare coi modi della commedia, quando ad esempio le sorelle si mettono in combutta e escogitano lo stratagemma di un invito a cena per "piazzare" il padre con una vecchia fiamma (Francesca Neri). Ma qui la realtà della vita viene a galla... l'"inquacchio" non decolla... e la commedia si traduce in dramma, e infine, in tragedia, con la morte del ben amato padre; raccontata questa con pregevole sussiego e massima delicatezza.
Da rilevare anche la prospettiva "partigiana", di revanchismo femminile, con cui gli uomini che le accompagnano risultano ben poca cosa agli occhi delle donne. E se il padre, per quanto demeriti, ne ottiene ancora, non c'è invece alcun perdono per le altre figure maschili, i partner delle tre sorelle: un medico alcolizzato, un feticista da burletta e, ancor più, il "Bastardo" di Francesca Neri (mentre il povero Abatantuono era per la moglie lo "stramaledetto da Dio"). Il che non fa solo ridere! Senza discutere del merito, una così scarsa considerazione del maschile sembra dilagare sempre più nel mondo femminile di oggi.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 20/02/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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