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Nell'estate del 1943 Cesira (Sophia Loren), giovane e bella vedova, proprietaria di un piccolo negozio di alimentari nel quartiere romano di Trastevere, ex contadina, lascia, con un plico di banconote nel seno, la capitale a causa dei forti bombardamenti sulla città. La donna porta con sé la bellissima figlia tredicenne Rosetta (Eleonora Brown). Le due, attraverso un faticoso viaggio in un treno affollato e a piedi su strade polverose, si rifugiano presso dei parenti, abitanti in un paese contadino della Ciociaria, Santa Eufemia, credendo ingenuamente di essere al sicuro.
Durante il mese di permanenza in Ciociaria Cesira e Rosetta fanno la conoscenza del giovane antifascista e intellettuale socialista Michele (Jean Paul Belmondo) che, per i valori umani che infonde in ogni conversazione e la grande sensibilità antimilitarista di cui porta prova più volte in situazioni difficili, con coraggio, in presenza anche delle due donne, riuscirà a coinvolgere madre e figlia in un rapporto affettivo particolare.
Dopo lo sbarco degli americani in Sicilia e la loro veloce dislocazione strategica nel nostro territorio nazionale per dare il colpo di grazia al fascismo, alcuni fronti dell'esercito tedesco cominciano a disintegrarsi e Michele un giorno viene sequestrato da un gruppetto di soldati tedeschi in ritirata, giunti affamati nel paese. Michele dopo aver fatto loro da guida tra le montagne viene fucilato.
Al ritorno verso Roma Cesira e Rosetta, dopo una lunga camminata con le valige, si rifugiano in una chiesa abbandonata, ma improvvisamente vengono sorprese da un plotone di soldati alleati marocchini che, colpiti dalla bellezza delle donne e incoraggiati dal loro stato solitario, le violentano senza pietà, lasciandole poi traumatizzate e svenute a terra, sul disfatto pavimento della chiesa.
Al risveglio Cesira e Rosetta, ancora sotto shock, trovano la forza di proseguire sulla via principale per Roma. Strada facendo incontrano una camionetta militare americana con sopra un ufficiale, che costringono a fermarsi per comunicargli tutta la loro disperazione, ma anziché scendere per prendere nota di quanto successo alle due donne e fare un rapporto al comando alleato, l'ufficiale riparte subito lasciando Rosetta e Cesira completamente indifese.
Infine le due donne riescono a farsi dare un passaggio da un camionista senza scrupoli di nome Florindo (Renato Salvatori), che durante il viaggio anziché cercare di capire le cause dello stato scomposto e triste delle due donne mette subito gli occhi addosso a Rosetta e, giunto nel suo paese la sera stessa, uscirà con lei gettando nello sconforto più totale la madre Cesira che intuisce la serietà di quello che può essere successo.
Solo la drammatica notizia della morte di Michele darà alle due donne la forza per risalire la china, purificando le loro traumatiche esperienze dal tanto male in esse presente.
Il film, diretto da Vittorio De Sica e sceneggiato da Cesare Zavattini, uscito nel 1960, è tratto dal romanzo del 1957 di Alberto Moravia da titolo omonimo.
L'opera si presenta in uno stile ancora in gran parte neorealista ma la pellicola qua e là è macchiata di un eccessivo divismo della Loren che, seppur bravissima nella recitazione della parte neorealista del film, ricorda per altri aspetti, più legati allo spettacolo in sé, fastidiose forme di divismo simili a un certo famoso cinema americano di quegli anni.
Forse un'attrice così bella e prosperosa come la Sophia Loren di allora (26 anni) provvista anche di un grande naturale talento recitativo ha finito per oscurare tutte le altre performance interpretative presenti nel film, compresa quella del divo Jean Paul Belmondo, dando un'immagine di sé sempre troppo al centro delle scene e capace di attirare tutta l'attenzione visiva dello spettatore sulla propria figura, anche quando essa non era particolarmente presa in sequenze drammatiche.
Numerosi i riconoscimenti per la protagonista Sophia Loren, Oscar e Nastro d'argento nel 1961 per migliore attrice, il David Donatello, la Palma d'ora a Cannes, il BAFTA, Golden Globe 1962, sempre per la sua recitazione.
All'inizio doveva essere un film Paramount, diretto da G. Cukor, con A. Magnani madre e S. Loren figlia. Sembra che in un secondo tempo la Magnani abbia rifiutato di partecipare al film perché non si sentiva a suo agio con al fianco un'altra diva del calibro della Loren, un'attrice che era in grado di competere con lei sia per talento recitativo che per bellezza e forza caratteriale.
"La ciociara" non è un capolavoro nel senso che, pur essendo un buon film, rispetto ai precedenti splendori dei film neorealisti restringe troppo i tempi necessari a comprendere un certo spaccato di realtà proposto.
Il film sembra imbastito, cucito con scaltrezza da una gamma di ingredienti scenici forti, tipici del dramma più mediocre di quei tempi, che vanno inevitabilmente a sovrapporsi alla stessa realtà trattata dalla pellicola rendendola poco credibile, insufficientemente articolata.
Lo scopo probabilmente era quello di rendere la drammatizzazione più intensa, migliorandone la capacità ipnotizzante e suggestionante sulle masse, presumibilmente al fine di toccare anche un pubblico insolito, più vasto e ingenuo, non avvezzo a questo genere di tematiche cinematografiche.
Inverosimile è la partenza da Roma per Santa Eufemia delle due donne, sole, in piena guerra, per un viaggio che presentava insidie di ogni genere, dagli attacchi aerei verso i civili alle rapine per strada, dalla milizia fascista che aveva carta bianca nel fucilare chiunque fosse sospettato di antifascismo alle aggressioni per fame di chicchessia, un viaggio che le due donne compiono lungo percorsi pericolosi perché spesso caratterizzati da case molto diradate.
Inverosimile di conseguenza è anche lo stupro compiuto dai militari marocchini che non sembra avvenire per caso bensì perché nella loro cultura due donne sole, straniere, in una zona semidistrutta, rappresentano una forte tentazione legata al fatto che manca un uomo al fianco delle donne - o una persona anziana autorevole - e che quindi esse, in qualche modo, trasgrediscono un ordine o sono mutilate di qualcosa di fondamentale che riguarda alcuni sacri valori del vivere comunitario islamico o un più mitico e laico modus vivendi chiuso radicato nel Marocco.
Sono questi aspetti analitici molto importanti che fanno pensare come il film "La ciociara" sia stata una pellicola molto sopravalutata dal mondo culturale, esaltata da tutta un'epoca che era ancora abbagliata dal successo mondiale del neorealismo e da un cinema italiano che, unico al mondo, finita la guerra, era uscito con una serie di film dallo stile nuovo, innovativo, lasciando stupito il mondo cinematografico che ci considerava culturalmente annichiliti dalla spaventosa guerra subita e socialmente distrutti.
Questo film segna in realtà un cambio di rotta netto dal passato glorioso del cinema italiano: i produttori della pellicola hanno cercato un successo facile, creando un'opera commerciale valida ma senza correre grossi rischi, preoccupati sopratutto di formare un cast eccezionale necessario a soddisfare in modo un po' spicciolo una domanda di mercato che, agli inizi degli anni '60, non era ancora di forte evasione come negli anni successivi.
E' vero che il grande pubblico ha risposto positivamente al neorealismo soprattutto negli anni del dopo guerra fino alla metà degli anni '50, dimostrando un gusto generale forse irripetibile, ma forse andava ritentata, sopratutto con il grande binomio regia-sceneggiatura De Sica e Zavattini al lavoro, la carta neorealista anche agli inizi degli anni '60 che sono stati anni ancora densi di questioni sociali e umane di estrema gravità e rilevanza mondiale.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 29/10/2010 10.28.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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