Recensione la fuga di martha regia di T. Sean Durkin USA 2010
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Recensione la fuga di martha (2010)

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locandina del film LA FUGA DI MARTHA

Immagine tratta dal film LA FUGA DI MARTHA

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"La gente non ha bisogno della carriera, la gente dovrebbe solo esistere."
Patrick

Un fenomeno in continua espansione è il proliferare delle sette religiose o, più eufemisticamente, delle nuove religioni, nelle frange più deboli e fragili della società, ma anche tra gli adolescenti e i giovanissimi con problemi familiari e spesso di adattamento sociale, per non parlare delle persone colte e benestanti, alla ricerca di riti misterici e allettati dalla promessa di benefici spirituali e della felicità immediata, che spesso si rivela la più terribile delle trappole.
Fenomeno reso ancora più grave dal fatto che le sette di nuova generazione all'adesione ad un codice dottrinario, seppur vago e confuso, hanno sostituito la sottomissione e la subalternità al guru o al santone di turno. Il fenomeno assume anche una valenza sociale grave perché molte delle persone che vi si rivolgono, invece di colmare il loro vuoto esistenziale, si ritrovano prosciugati sotto ogni punto di vista, sia mentale che economico.
Dietro il fenomeno delle sette pseudo religiose spesso si celano personaggi senza scrupoli, che assoggettano le vittime alla loro volontà, allo scopo di estorcere loro denaro o per costringerle a soddisfare le loro perversioni sessuali.
Queste sette effettuano lavaggi del cervello su persone fragili, in cerca di nuovi punti di riferimento, costringendo le vittime ad abbracciare l'unico credo ritenuto possibile, attraverso formule ripetitive e preghiere che annullano la volontà e il senso critico, a cui si aggiungono digiuni, privazioni del sonno e riti sacri, che depersonalizzano gli individui e le condizionano, anche sessualmente, al gruppo.

E di sette religiose, di plagi, di circonvenzioni, di abusi sessuali, parla "La fuga di Martha", esordio alla regia di Sean Durkin, giovane regista americano che ha presentato il suo film alla scorsa edizione del Sundance Film Festival, vincendo il premio alla regia e, in seguito, nella sezione "Un Certain Regard" del Festival di Cannes 2011, dove ha ottenuto un ampio consenso, ponendosi come un dramma tipicamente indie, ma carico di una forte e angosciosa tensione emotiva.

Il film inizia con una fuga: è quella di una ragazza ventenne, Marcy May, che, alle prime luci dell'alba, fugge attraverso un bosco da una cascina nello Stato di New York, in cui si è nascosta per due anni. Fugge da una comunità che l'ha tradita, come anni prima l'aveva tradita la famiglia da cui era fuggita una prima volta.
Nei due anni trascorsi nella cascina ha vissuto, assieme ai membri di una piccola setta di fanatici pseudo religiosi, in balia di un leader carismatico e sottilmente crudele, Patrick, che l'ha plagiata e sottomessa ai suoi insani voleri.
Fugge e, alla prima cabina telefonica che incontra, ridiventa Martha (è questo il suo vero nome; Marcy May era il nome che le aveva imposto il capo spirituale, mentre il terzo, Marlene, era il nome con cui tutte le donne del gruppo dovevano rispondere al telefono) e, sgomenta e disperata, chiama la sorella maggiore, Lucy, con la quale aveva rotto i ponti da anni, affinché la porti via da quel posto.

Nella lussuosa casa delle vacanze, in riva al lago del Connecticut, della sorella, che nel frattempo si è sposata con un uomo in carriera, Martha spera di trovare il bandolo di una vita normale, ma non lascia mai nessuno, nè tanto meno Lucy e suo marito Ted, avvicinare al suo vissuto, sperando così di cancellarlo per sempre dalla sua memoria.
Tace soprattutto di Patrick, il guru, la sua guida spirituale, il suo stupratore. Ma ritornare a vivere nella società non è così facile.
E il pensiero che la setta la stia ricercando e sia ormai sulle sue tracce le farà scoprire che nulla può difenderla dai fantasmi che sono dentro di lei e, in un crescendo di ossessioni psicologiche, l'evoluzione del trauma la porta a vivere in modo devastante, un disagio comportamentale, lontano dalle convenzioni comuni e inspiegabile per gli altri, che mette il luce il terribile segreto che ha segnato la sua vita.

Scritto e diretto dall'esordiente Sean Durkin il film, che corre parallelo su due linee temporali, è un interessante saggio sulle tecniche manipolative attuate dalle sette religiose nei confronti delle persone che cadono vittime del loro terribile fascino seduttivo.
Si tratta per lo più di persone fragili e in difficoltà, a cui le sette appaiono come luoghi sicuri e accoglienti, in cui si crede di essere sollevati dalle responsabilità di scegliere e di decidere, e perciò di soffrire. Patrick, il leader carismatico e capo indiscusso della congrega, il realtà è un individuo insignificante e misogino, eppure capace di esercitare una grande fascinazione su Martha e le altre ragazze del gruppo; come segno tangibile della loro riconoscenza si prende la loro verginità.
Martha è ossessionata da lui e dal pensiero che prima o poi finiranno per ritrovarla, e così alla paura si intrecciano i ricordi, che affiorano dalle piccole cose, da un rumore, da un suono, da un oggetto, che ci fanno vedere gli spazi chiusi, claustrofobici, dove è stata indottrinata e i motivi che l'hanno indotta a fuggire dalla setta.

"La fuga di Martha" è un'opera di difficile collocazione, sulla quale aleggia l'ombra di Charles Manson: ha i tratti dell'horror perché spaventa e genera inquietudine, forse più della maggior parte degli horror moderni, ma è anche un dramma che sceglie il thriller con cui incorniciare il suo orizzonte.
Ma è soprattutto il ritratto di una ragazza interrotta nella sua formazione da adulta.
Non c'è riscatto e non c'è redenzione. Durkin accumula un crescendo di emozioni tanto da farci dubitare se Martha sia mai fuggita dalla comune o se il suo non sia solo il sogno di una libertà cullata e mai realizzata.
Non c'è liberazione e non c'è sfogo di sentimenti repressi. Martha mangia pochissimo, parla pochissimo, dorme quasi tutto il giorno, e soprattutto non si intende con il cognato con cui ha frequenti scontri, che non riesce a capire da dove provenga il suo spaesamento e la sua alienazione. Parallelamente, in un rincorrersi simultaneo con il presente, ci troviamo a guardare, con dovizia di particolari, la vita precedente di Martha, quando era ancora Marcy May, nella comunità di Patrick, dove le venne strappata la propria identità.
In un lasso di tempo brevissimo, che ci fa capire quanto raffinate siano le capacità convincitive, quanto semplice sia manipolare una persona, quanto facile sia appropriarsene e renderla schiava per sempre.

Patrick infatti ha riunito attorno a sé un gruppetto di persone, all'interno del quale i maschi hanno il compito di adescare giovani ragazze che hanno avuto da poco traumi di varia natura o problemi familiari (come nel caso di Martha), per indurle ad entrare in comunità. Una volta convinte, sottoporle ad una sorta di lavaggio del cervello al fine di circuirle e sottometterle alle voglie sessuali del capo religioso, facendo apparire lo stupro come una sorta di rito iniziatico e battesimo purificatore, prima di essere cedute agli altri maschi del gruppo, che continuano ad abusare di loro.
Vediamo così l'arrivo di Martha nella comunità, in cerca di quella pace interiore che finirà per essere peggiore dell'inferno che ha lasciato. La vediamo in balia del suo luciferino mentore, che la viola ripetutamente, come ha violato le altre ragazze del gruppo, pretendendo di gestire la loro sessualità per metterle incinte e assicurarsi una nutrita figliolanza, unicamente di sesso maschile.
E così il clima apparentemente idilliaco, che si respira all'interno della comunità, nasconde una realtà molto più squallida e sinistra. Le pratiche più tradizionali, l'attività agricola, l'abbandono della tecnologia, altro non sono che pretesti per coprire crimini violenti, come furti e rapine nelle ville circostanti, uso delle armi da fuoco. I sermoni sul decoro, le dissertazioni sul valore educativo del lavoro, la glorificazione della famiglia, altri non sono che allucinanti massime per ottenebrare i cervelli. I beveroni calmanti offerti dalle ospiti ormai catechizzate servono a sopire comportamenti scomodi in pubblico o per rendere indifferenti alle violenze le nuove arrivate, perse in un groviglio di paranoie e misteriosi sensi di colpa.

Il film di Durkin è quasi ipnotico nel suo procedere in modo volutamente, e intelligentemente, disordinato. Vive le atmosfere del gotico americano (molto più vicino alle cinematografie nordeuropee che a quella hollywoodiana), mentre si focalizza su quella parte di America borderline, montanara e arretrata, dove estremismi, sette, santoni, violenza e follia si mescolano e si confondono, paurosamente vitali e tragici.
L'atmosfera è resa ancora più angosciante dalla suggestiva colonna sonora di Daniel Bausi, e dalla bella e glaciale fotografia di Jodi Lee Lipes, che compone sul volto ipnotizzato e perduto di Martha, la geometria del film, a cavallo tra studio della frammentazione dell'identità femminile e thriller psicologico.

Il cast dà una grande mano al regista nel costruire il suo film dal sapore tipicamente indie, con forti analogie con recenti fatti di cronaca, a partire dai comprimari di lusso, tra cui spiccano Sarah Paulson, la sorella di Martha, sempre in bilico tra affetto fraterno e desiderio di capire, ma anche di irritazione e stanchezza per una situazione che la pone in conflitto con il giovane marito, un ottimo Hugh Dancy, che abbiamo ammirato nel ruolo di un giovane affetto dalla sindrome di Asperger, nel recente "Adam" di Max Mayer.
La debuttante Elizabeth Olsen, nel ruolo di Martha, si dimostra sorprendentemente capace di esprimere con lo sguardo tutto ciò che dentro di sé la disturba, e di essere fragile e forte al tempo stesso.
Straordinario, ipnotico, carismatico, caratterista di lusso, John Hawkis ci offre un saggio di grande bravura recitativa in un personaggio, Patrick, capace di farsi odiare senza cadere mai nel caricaturale. Un personaggio, il suo, non molto dissimile da quello interpretato un anno fa in "Un gelido inverno", altro spaccato gotico USA, con cui il film di Darkin condivide, tematiche e incedere narrativo, oltre alla stessa ambientazione boschiva e montanara.
Tutto sommato, però, la vera protagonista di La fuga di Martha è la paranoia mentale, tanto più angosciosa quanto più si insinua nel solco di recenti fatti di cronaca, purtroppo sempre più frequenti e sempre più inquietanti.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 01/06/2012 16.28.00

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