Voto Visitatori: | 6,60 / 10 (10 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 6,50 / 10 | ||
"Natura: tu mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimenti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento"
Giacomo Leopardi - Dialogo della Natura e di un Islandese, Operette Morali.
La regista francese Julie Bertuccelli, figlia e vedova d'arte, dopo anni di gavetta come aiuto regista di nomi importanti quali Kieslowski, Tavernier, Iosseliani e altri ancora, lavora con successo come documentarista.
Nel 2003 debutta alla regia cinematografica con il suo primo lungometraggio: "Da quando Otar è partito", vincitore a Cannes della Semaine de la Critique, in cui affronta il tema del lutto. Con questo film vince anche il César come miglior opera prima. Ritorna al cinema nel 2010 con "L'Albero", nelle sale italiane dal luglio 2011, un film drammatico ambientato in Australia, che affronta ancora una volta la tematica del lutto famigliare e quindi della perdita e dell'abbandono. Il film è tratto dal romanzo "Padre nostro che sei nell'albero" di Judy Pascoe.
Il protagonista per eccellenza del film non è un personaggio in carne e ossa, bensì, come si evince dallo stesso titolo, un gigantesco albero di fico.
La storia inizia in maniera vorticosa: un padre fa ritorno dal lavoro col suo furgone. Nei pressi della casa di campagna avvolta dalla natura gli corrono incontro i figli che salgono sul mezzo di trasporto, l'uomo ha un improvviso malore, molto probabilmente un infarto, e muore istantaneamente andando a sbattere contro il grande albero di fico adiacente alla casa. Da quel momento la moglie Dawn (Charlotte Gainsbourg), la piccola Simone (Morgana Davies) e i fratelli Tim (Christian Byers), Lou (Tom Russell) e Vonnie (Gillian Jones) affronteranno questa grave perdita in maniera molto personale.
Dawn si lascerà andare, trascurerà la cura dei figli e la pulizia della casa, la piccola Simone di otto anni, dopo l'inevitabile tristezza iniziale, troverà conforto proprio in quell'enorme albero di fico nel giardino; in esso la piccola ritroverà il respiro del padre e la sua parola, tra i suoi rami giocherà e si cullerà scegliendo così il sorriso al posto della lacrima.
La piccola bambina condividerà tale suo segreto con la madre che sarà scissa in due tra la razionalità di non credere a Simone e alle sue fantasie di bambina, e la volontà di riscattare il proprio senso di solitudine e di disperazione credendo in una presenza rassicurante accanto a sé. Gli altri tre figli, soprattutto il maggiore, sembrano reagire in maniera più razionale alla perdita del padre e cercano di spronare la madre e di aiutarla nell'economia domestica. Quando l'albero diventerà una presenza troppo ingombrante e alla fine anche pericolosa per il nucleo famigliare e per la casa, s'imporrà la razionalità sulla famiglia e la rassegnazione a dover abbattere quel misterioso albero di fico.
Le radici a causa della siccità o in maniera più poetica a causa della voglia irrefrenabile, quasi folle, di abbracciare tutta la famiglia inizieranno a invadere prima gli scarichi d'acqua quindi anche le fondamenta; anche i rami inizieranno ad abbattersi sulla casa distruggendo proprio la camera padronale e Dawn per ben due notti dividerà il proprio giaciglio con un ramo prima di decidersi a chiamare qualcuno che abbatta l'albero.
L'ambientazione australiana è stata una scelta appropriata alle necessità della storia, non solamente perché il romanzo da cui è tratta aveva una simile ambientazione, ma proprio per la vastità degli spazi aperti e per la possibilità di fotografare una natura vincente, forte e mai totalmente dominata dall'uomo. Sulle scelte d'ambientazione è facile supporre che i trascorsi da documentarista di Julie Bertuccelli siano stati decisivi. Anche la scelta del cast si è rivelata vincente; infatti la prova regalata al pubblico da Morgana Davies è davvero sublime, come impeccabile quella di Charlotte Gainsbourg.
Madre e figlia nel film sono legate in maniera indissolubile; rivelatrice assoluta di tale legame è la scena in cui la madre prende le difese della figlia e impone agli operai, venuti ad abbattere l'invasività dell'albero, di andarsene senza nemmeno toccarlo. Dawn preferirà attendere che un uragano, ennesima dimostrazione della superiorità della Natura sull'uomo, distrugga casa e albero, lasciando gli esseri umani incolumi e quindi pronti ad affrontare la vita in maniera nuova, più consapevole e più serena, senza per questo perdere la memoria e il ricordo dei cari estinti.
Nonostante la fotografia eccellente, le musiche adatte firmate Grégoire Hetzel e le prove delle due attrici già menzionate, il film non approfondisce in maniera adeguata i personaggi appartenenti al nucleo famigliare e nemmeno i pochi estranei alla famiglia che compaiono in scena.
Anche la regia è piuttosto piatta, non seguendo se non in maniera quasi televisiva la poeticità di alcuni momenti (a tratti esasperati, come la "lacrimazione" dell'albero) né le potenzialità della storia. I rari dialoghi non brillano per incisività né originalità, molto più che sulla parola la regista conta sull'espressività dei volti e sull'incontro-scontro tra uomo e natura.
Un film poco pubblicizzato e mal distribuito nel nostro Paese che merita sicuramente una visione, in attesa dei prossimi lavori di una regista ancora un po' acerba ma non priva di potenzialità.
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Recensione a cura di foxycleo - aggiornata al 29/07/2011 15.17.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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