Recensione la masseria delle allodole regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani Italia, Bulgaria, Francia, Spagna, Gran Bretagna 2007
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Recensione la masseria delle allodole (2007)

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locandina del film LA MASSERIA DELLE ALLODOLE

Immagine tratta dal film LA MASSERIA DELLE ALLODOLE

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Quanti scheletri che ha l'Umanità nell'armadio! I fratelli Taviani, fedeli alla loro missione cinematografica di denuncia dei soprusi verso i più deboli hanno il coraggio di rappresentare uno dei massacri meno conosciuti del XX secolo: quello perpetrato da parte di militari turchi nei confronti della minoranza etnica armena nel 1915. In quell'anno l'opinione pubblica europea era eccitata dalla battaglia che si stava svolgendo nelle trincee della Prima Guerra Mondiale ed esasperata com'era dai nazionalismi e dalla violenza, non dette peso a voci e denunce di massacri e deportazioni - vere e proprie "pulizie etniche" - che stavano avvenendo nella parte asiatica della Turchia. Questo fece sì che di questi orribili fatti si conservassero poche tracce e testimonianze, tanto da poter essere passati sotto silenzio da parte della Turchia. Anche adesso è difficile arrivare ad una verità storica. Si parla realisticamente di un milione e mezzo di morti fra uomini, donne e bambini mentre in Turchia tuttora ci si rifiuta di ammettere che ci sia stato un vero e proprio eccidio e si perseguita legalmente (con pene fino a tre anni) chi osa affermarlo.

Verità storica o non verità storica, il film non viene meno alla sua funzione di sensibilizzare le coscienze moderne su di un pericolo sempre attuale: il pregiudizio etnico e la bestialità umana. I fratelli Taviani hanno fatto in modo di caratterizzare i personaggi quel poco che basta per farli individuare per armeni o turchi; anzi spesso si fa fatica a capire la differenza. Sembra, tra l'altro, di vedere persone "moderne", più che uomini e donne di un secolo fa.
L'intenzione di rendere la storia applicabile al presente è chiara. Loro stessi hanno dichiarato che "girando una storia accaduta nel 1915, avevamo la sensazione di fare il film più contemporaneo che si potesse fare in questi tempi". Del resto guardando il film come si fa a non pensare alla Shoah, a Srebrenica, al Darfour, al Ruanda?

I Taviani hanno tratto la sceneggiatura da un romanzo di Antonia Arslan, italiana di origine armena, e hanno voluto conservare l'impianto narrativo romanzesco, mescolando ai fatti storici vicende amorose, relazioni parentali, amicizie, rapporti sociali e gerarchici. Lo scopo era quello di misurare l'impatto della furia irrazionale su di un quadro sociale apparentemente normale. Il film si apre infatti con scene ambientate in una famiglia armena agiata, alle prese con la morte del proprio patriarca. Sono persone che fanno di tutto per superare gli steccati di religione, razza e censo. Fin dall'inizio però si hanno segni di ciò che accadrà e si creano subito nello spettatore emozione e tensione dandogli la possibilità di riflettere sulle azioni dei personaggi, in vista del destino a cui andranno incontro. Una macabra ironia viene usata verso chi fa tanti sforzi per spezzare le barriere e che si vede poi travolto da vicende che si svolgono sopra la propria testa.

Anche in questo film il "male" viene presentato già operante senza essere troppo approfondito, come se facesse ribrezzo entrare nella mente di certe persone. Vengono presentati militari convinti che gli armeni stiano facendo il gioco dei nemici russi con cui i turchi erano in guerra, che siano una "razza inferiore" e un peso per la nazione di cui liberarsi al più presto. Ovviamente si pensa anche alle loro ricchezze. Con la scusa del patriottismo e del nazionalismo si crea l'ingranaggio del massacro che entra in gioco piano piano, inesorabile, senza quasi trovare resistenza.

Il quadro che ne viene fuori è terribile e desolante. Nessuno è preparato a questo avvenimento. Le vittime si cullano nell'illusione che un essere umano non possa arrivare a tanto e assistono quasi inermi e rassegnati a ogni tipo di turpitudine. I turchi, che fino ad un giorno prima davano del tu alle vittime, adesso si ritirano intimiditi senza fare niente, pensando pure di guadagnarci qualcosa. "Mors tua, vita mea". Quando la violenza si scatena è un susseguirsi di orrori. E' bene rendersi conto, prima di andare a vedere questo film, che se qualcosa non viene mostrato viene comunque suggerito, in ogni caso niente viene risparmiato.

Non tutti i turchi sono però cattivi. Ci sono personaggi che vivono la difficilissima situazione di rifiutare l'orrore e dovervi comunque partecipare per obbedienza militare o per appartenenza etnica. Un mendicante devoto alla famiglia armena è costretto a tradirla. Non si dà pace però di quello che ha fatto e cercherà in tutte le maniere di espiare la propria colpa. Anche un soldato s'innamora della giovane e bella armena protagonista, in un rapporto fra amore e morte che sembra uscito da una tragedia classica. Il sacrificio degli armeni è accostato invece alla passione di Cristo.

Nel finale del film s'innestano tutta una serie di circostanze fortuite che sono il punto debole del film. La famiglia armena si viene a trovare proprio ad Aleppo, dove i salvatori trovano proprio la persona giusta (il console spagnolo), il quale ha ricevuto per caso dei soldi da parenti italiani delle vittime. Un'altra coincidenza fa poi precipitare la vicenda del soldato turco e della bella armena.
Queste forzature servono però a dare una soluzione di speranza alla vicenda. Non è stato inutile seminare solidarietà e comprensione. Qualcuno che cerca di tramandare questi valori ci sarà sempre, anche nelle situazioni più agghiaccianti.

Il film si conclude con l'auspicio che i turchi possano un giorno fare i conti con il proprio passato. Bisogna dire che i fratelli Taviani usano la mano leggera nei loro confronti. Non viene mai posta la questione se qualche alto politico abbia ordinato il massacro. La colpa viene data interamente al gruppo nazionalista dei "Giovani Turchi", non allo stato turco.

Da un punto di vista tecnico è un film ben fatto, ben recitato e di qualità, come ci hanno del resto abituato i fratelli Taviani. Le belle immagini, le ricostruzioni e i paesaggi sono però tutti al servizio del significato etico, che è quello che conta di più per loro.

Con i suoi limiti questo è comunque un film da vedere, anche se piuttosto "forte". Rimane però la terribile sensazione che la realtà possa essere anche peggio di quello che si vede.

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Recensione a cura di amterme63 - aggiornata al 03/04/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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