Voto Visitatori: | 7,39 / 10 (47 voti) | Grafico | |
La recensione può contenere elementi di spoiler; se ne sconsiglia pertanto la lettura a chi non abbia ancora visto il film.
Un po' di storia
Leggendo la biografia del protagonista del film, Rudolph Oss, la prima idea che salta in mente per raccontare la sua incredibile storia è quella di una serie piuttosto che di un singolo lungometraggio: da soldato in varie guerre a precoce assassino, per arrivare all'apice della sua carriera di nazista con la direzione del campo di Auschwitz fino alla fuga e all'esecuzione tramite impiccagione all'interno del campo stesso.
Sebbene sconosciuto a molti, Oss è uno tra i principali autori di una delle pagine più sanguinose della II Guerra Mondiale.
Per intenderci, il gerarca nazista, è il costruttore di Auschwitz, il suo direttore (collaboratore quindi di personalità come quella del dottor Mengele), colui che ha elaborato la scritta "Il lavoro rende liberi", e più in generale uno dei principali esecutori dell'eccidio degli ebrei durante la guerra.
Condensare questa vita "piena" in un film sarebbe stato impossibile, per questo viene preso in considerazione un arco di tempo molto limitato, quello in cui Rudolph dirige il campo di Auschwitz vivendo in una villa attigua al suo recinto elettrificato.
Immagine vs suono
A questo punto la sceneggiatura sembrerebbe già scritta e ci si aspetterebbe il (solito) film che racconta gli orrori della guerra con un focus sul campo di concentramento. L'unica novità potrebbe essere rappresentata dalla collocazione spaziale della dimora del protagonista.
Ma l'opera di Glazer si apre con un'immagine fissa, oscura, accompagnata da un suono assordante, "fastidioso". La prima sequenza è poi l'inusuale racconto di una gita in campagna sulle sponde di un fiume di una felice famiglia tedesca.
L'inquadratura che probabilmente riassume meglio di ogni altra le scelte stilistiche del film è nella sequenza successiva, che mostra i fari della macchina che illuminano a malapena la strada buia, non impedendo comunque alla macchina di procedere speditamente.
L'anticipazione è chiara: allo spettatore non sarà mostrato tutto, all'interno di un quadro molto vasto potrà osservarne solamente una limitata porzione, quella "illuminata" dalla macchina da presa.
Ed infatti, in un film che ha come protagonista un gerarca nazista, ambientato principalmente in una villa attigua ad un campo di concentramento, non si vede morire nessuno.
Non perché sia un film negazionista o perché si narri qualcosa che non riguarda la guerra, ma perchè ne La Zona d'Interesse, l'orrore non si vede ma si percepisce soltanto, si "sente".
La prossimità tra la vita privata di Rudolf che il film racconta e il campo di concentramento permette ai rumori provenienti da Auschwitz di entrare prepotentemente nell'intimità del protagonista fino a costituirne la vera e proprio colonna sonora.
È proprio il contrasto tra quello che si vede e quello che si sente la spina dorsale del film.
Alle immagini tranquille e quasi bucoliche di una felice (ebbene sì) famiglia tedesca fanno da sfondo i rumori provenienti dal campo di concentramento. La colonna sonora del film è quindi composta da grida, spari e soprattutto dal rumore continuo di un camino sempre acceso (i forni del campo) mentre le immagini magari ritraggono i figli di Rudolph festeggiare un compleanno o fare un bagno in piscina.
La scelta registica è epocale: non c'è più niente da mostrare, l'orrore dei campi di concentramento è stato già raccontato ed è vivo nella mente di qualsiasi spettatore, non occorre ricordarlo per l'ennesima volta.
Ma soprattutto è la fredda, apatica, convivenza con il peggiore degli orrori della storia da parte dei personaggi del film (sia tedeschi che ebrei) a scuotere la coscienza di chi guarda.
Il suono non permette mai allo spettatore di dimenticare cosa sta succedendo dentro al campo: la casa in cui si ambienta la maggior parte del film ne è permeata, notte e giorno.
La sola condizione per mantenere questa convivenza sembra essere quella di eliminare qualsiasi contatto diretto con gli orrori del campo: gli stivali del comandante devono essere lasciati fuori e ripuliti dal sangue depositato sulle suole, i ragazzi devono subito essere lavati accuratamente dai resti umani con cui entrano in contatto facendo il bagno nel fiume. Anche le tracce del tradimento di Rudolph vengono ripulite in una lunga sequenza dettagliatamente descritta.
L'unico personaggio che sembra soffrire la vicinanza del campo è la suocera di Rudolph, che inizialmente sembra entusiasta di come la figlia si sia "sistemata" ma pian piano inizia a mostrare un'umanità che le rende impossibile fermarsi nella casa più di qualche giorno. Il suo dare nome e cognome ad una delle "inquiline" del campo (una sua vicina di casa), il suo risveglio notturno causato dalla luce che emanano i camini del campo e soprattutto la sua continua tosse (tutti gli altri personaggi respirano la stessa aria non salubre senza subire apparentemente alcuna conseguenza) sono tutti sintomi di chi sente l'orrore ed è alla lunga incapace di conviverci così in prossimità. Ma anche questa insofferenza non si tradurrà in una condanna del nazismo o dell'antisemitismo: il messaggio di commiato (forse di condanna?) che lascia alla figlia verrà bruciato senza che lo spettatore venga a conoscenza del suo contenuto.
In questo schema di fredda convivenza con il male si inserisce la figura di un'anonima ragazzina che nasconde del cibo nei luoghi e tra gli attrezzi da lavoro che il giorno successivo utilizzeranno i detenuti del campo.
La sua umanità viene sottolineata da una precisa scelta registica: le scene che la vedono protagonista sono girate con una telecamera ad infrarossi che quindi mette in risalto le fonti di calore.
All'interno di un mondo che sembra avere un ordine ormai prestabilito che nessuno vuole né si sente di combattere e in cui tutti appaiono votati all'obbedienza del proprio superiore, la ragazza in bici agisce con coraggio ribellandosi silenziosamente ad una ingiusta storia che non vuole accettare. La sua prossimità con il campo diventa in questo caso l'occasione per fornire un modesto aiuto ai sofferenti, ma la sua giovane età, il suo agire da sola e la penuria dei suoi mezzi sono i segnali palesi dell'impossibilità della sua missione.
Infatti la conseguenza del suo operato sarà solo un altro elemento che si aggiungerà alla tragedia: un detenuto verrà giustiziato perché trovato in possesso di uno dei doni della ragazza, un frutto.
Naturalmente sarà solo il sonoro ad informare lo spettatore dell'accaduto, nel pieno rispetto dello stile del film.
Ma come se questa scelta non bastasse già, il film va coraggiosamente oltre...
Il Gerarca "buono"
Come già scritto, i personaggi del film convivono quindi accanto all'orrore nel senso letterale del termine (la loro casa è adiacente alle mura del campo) ma riescono a negare qualsiasi partecipazione emotiva con quanto accade all'interno di quelle mura.
Se però la signora Oss non nasconde il suo antisemitismo con la servitù, attribuendosi il ruolo di personaggio "negativo", il marito Rudolph in tutto il film non pronuncia una singola frase contro i prigionieri del campo.
Questo sebbene tutto ciò che appassiona entrambi i coniugi Oss, ciò da cui traggono la vita, ha come fondamento la morte: il lavoro per Rudolph e il giardino per la moglie, fertilizzato con le ceneri delle vittime del campo.
La molla che spinge Rudolph a macchiarsi del crimine più grande del Novecento è in apparenza esclusivamente lavorativa: egli fa parte di un meccanismo ormai collaudato, sembra solo un interprete di pratiche consolidate e il suo obiettivo è solo svolgere il proprio lavoro nel miglior modo possibile.
Oltre ad essere un (purtroppo) efficiente e premuroso lavoratore, Rudolph appare infatti come un padre affettuoso e generoso, come un marito che cerca di accontentare la moglie con cui si confronta e a cui fa regali, molto amorevole anche con gli animali. La sua cattiveria nei confronti dei detenuti, seppur storicamente certa, è solo supposta nel film: inquadrato all'interno del campo dal basso verso l'alto si vedrà solo fumare, e anche la sua "sentenza" di morte nei confronti di un detenuto verrà solo "udita" fuori campo.
Essenzialmente sembra anch'egli un semplice ascoltatore dell'orrorifico sonoro piuttosto che un artefice.
Il personaggio creato dalla sceneggiatura è del tutto credibile, non ci sono forzature né scelte opinabili: l'anima del gerarca nazista e del padre e marito affettuoso, convivono alla perfezione nello stesso personaggio. Persino il suo tradimento alla moglie con una ragazza più giovane contribuisce alla sua "normalizzazione".
L'azzardo della scrittura filmica è proprio quello dell'immedesimazione dello spettatore con un uomo storicamente tanto scomodo.
Superato l'ormai banale dualismo bene e male, l'umanizzazione di un personaggio che nel pensiero comune post Seconda Guerra Mondiale è il "mostro" per eccellenza è un tentativo alquanto originale nonché perfettamente riuscito nel film.
Un Rudolph contemporaneo
Tale identificazione con un personaggio così storicamente "negativo" porta inevitabilmente con sé una riflessione per l'uomo moderno.
La tematica della convivenza con l'orrore viene in questo modo attualizzata: l'uomo del XXI secolo chiude gli occhi davanti alla violenza che ha vicino casa, la "sente" ma non la vede, sforzandosi di vivere una vita "normale" che prevede la pulizia e l'isolamento di qualsiasi elemento riconducibile a quanto non gradito.
Tutti i personaggi del film trovano addirittura conveniente e vantaggiosa la prossimità con il campo e non appaiono per nulla infastiditi da questa "convivenza".
L'attualità del messaggio viene confermata durante la sequenza finale in cui Rudolph manifesta degli improvvisi conati senza però espellere nulla dal proprio stomaco: l'orrore resta in lui, non è possibile ripulire l'interno dell'uomo come si pulisce uno stivale intriso di sangue.
La conseguenza è un salto improvviso nell'attualità, in cui Auschwitz è diventata un'attrazione turistica che mette in vetrina il dolore del popolo ebraico. In particolare, dell'Auschwitz del 2023 vengono mostrate tutte le accurate operazioni di pulizia prima dell'apertura ai turisti, dalla rimozione della sporcizia nelle camere a gas, fino alla lucidatura delle vetrine con i cimeli degli ebrei, per arrivare alla pulizia dei forni crematori.
Esattamente come in casa Oss, l'orrore viene ripulito anche ai giorni nostri per poterci convivere senza esserne condizionati.
Il malessere fisico che colpisce Rudolph nel finale è narrativamente inspiegabile perché la sceneggiatura si è preoccupata in precedenza di mostrarci il protagonista durante una visita medica che non denuncia alcuna problematica.
L'orrore è dentro di noi e soprattutto non muore ma si cela nell'ombra: Rudolph sparisce nell'oscurità di una scala. Il film infatti non si conclude con l'esecuzione del gerarca ma con la sua discesa nell'ombra: il male non è vinto, resta sempre in agguato.
Nel criticare la nostra storia contemporanea con il pretesto di raccontare uno dei periodi più bui della storia passata, Glazer si limita a sollevare il problema e ad aprire gli occhi allo spettatore, evitando abilmente di fornire delle soluzioni.
È un avvertimento, un rimprovero che ascoltiamo attraverso l'udito, esattamente come la violenza nel film. Un suono o rumore che il film non traduce in un gesto, in un'iniziativa concreta.
Lo spettatore è tornato finalmente al centro...
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Recensione a cura di Gabriele Nasisi - aggiornata al 23/07/2024 10.37.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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