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La noia, l'indifferenza, la solitudine, l'incapacità di comunicare, il pessimismo, sono temi molto consueti nel pensiero contemporaneo. Nel loro insieme si rifanno alla corrente filosofica esistenzialistica; questo tipo di pensiero, peraltro, non è certamente nuovo, ma punto di arrivo di una sensibilità che da sempre accompagna l'uomo nel doloroso cammino del vivere. Dal canto dei lirici greci, agli anni "matti e disperatissimi" di Leopardi, dai dolori giovanili del Werther al pessimismo cosmico di Shopenauer, per arrivare alle "nausee sartriane", alle "noie moraviane" e al suicidio di Camus e Pavese, l'arte letteraria non ha mai trascurato di raccontare "il dolore del vivere". Ma anche altre muse sentono e cantano il problema dell'esistenza, come la musica dei blues o, ad esempio, il cinema di Antonioni e di certa nouvelle vague francese.
Al di là della chiave artistica, certe problematiche si ritrovano anche in chiave psicologica e analitica, ma descritte in altri termini: autismo per la solitudine estrema, depressione per il pessimismo globale, mancanza di progettualità per la noia esistenziale, inconscio per la parte sepolta di noi. Di tutti questi elementi c è traccia nel film del giovane regista napoletano, alla sua seconda opera; a partire dalla affermazione che "ognuno di noi è portatore di qualche segreto inconfessabile". Nella fattispecie il protagonista nasconde al mondo una nutrita serie di cose: si droga in segreto da oltre 20 anni, se pur in modo contenuto e regolare, ha avuto drammatici rovesci finanziari e traffica valuta per conto della mafia per salvarsi la pelle. Il tutto richiuso per anni all'interno di un alberghetto di Chiasso, senza comunicare con alcuno, in completa solitudine.
Lo strano meccanismo viene a saltare quando il solitario protagonista si innamora a distanza di una giovane barista dell'albergo, e comincia a riprogettare la sua esistenza. Ben conscio del rischio, scriverà nel suo libretto di bordo: "attenzione alle conseguenze dell'amore". E infine, sapendosi incapace di uscire dallo stato di"catalessi" della sua esistenza, si lascia giustiziare dai suoi carcerieri mafiosi, dopo averli derubati di una grossa somma in favore di terzi; concludendo in tal modo un racconto e una sceneggiatura talmente inusuale da avere impressionato favorevolmente la critica specializzata (autore sempre il giovane regista Sorrentino ).
A nostro avviso, però, una critica meno suggestionabile e "tertulliana" (credo quia absurdum), potrebbe avanzare non poche riserve sulla struttura narrativa generale, eccessivamente disgiunta e diseguale: disgiunta per la commistione di elementi troppo diversi (il protagonista coi carcerieri mafiosi, i compagni d'albergo macchiettistici, l'elemento ridicolo accanto a quello tragico) e diseguale nei tono e nei modi, dove i fattori emozionali prevalgono sovente su quelli razionali.
Nell'insieme un originale "caos creativo" difficile da giudicare e fruire: di per sé il "disordine creativo" non pregiudicherebbe un buon esito artistico, se è vero che "dal caos che in pochi giorni venne il mondo". Ma, nelle opere riuscite, resta comunque l'esigenza di una continuità "armonica" nel disegno dell'opera, una coerenza di linguaggio (serio o faceto, realistico o metaforico), una scelta di campo precisa per convincerci con ragione e sentimento; non solo con effetti a sensazione. Personalmente ho l'impressione (che mi costerà molte amicizie di estimatrici del film) che questo sia infarcito di troppi elementi eterogenei, come succede sovente alle menti giovani in formazione: (alla caccia ansiosa di verità "globali", ma non ancora giunti a una solida consapevolezza di pensiero). Alcuni elementi di qualità comunque si vedono: l'idea di come ognuno di noi conviva con segreti nascosti, il pessimismo cosmico e la difficoltà nel comunicare sono valori reali dello spirito; come pure l'approccio delicato e timido alla figura femminile del professionista in età, raccontato filmicamente con lunghi silenzi, sequenze convincenti e ottime musiche. Mentre l'intreccio di contorno, da film noir, mafioso e malavitoso, suona fasullo e gratuito, come tutta la storia dell'eroina; e come ancora la recitazione, dilettantesca nella giovane cameriera, e valida solo per il vecchio Pisu e consorte.
Pure il protagonista, osannato da tutti, ci è sembrato troppo statico e inespressivo, come volutamente in alcuni regie teatrali; non so nulla dei precedenti di Sorrentino, ma è un fatto che la sua storia e la recitazione del "prigioniero" odorano a distanza di teatro del non sense, da Becket a Ionesco.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 23/06/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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