Voto Visitatori: | 9,12 / 10 (62 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Film del 1952 dal titolo originale "Limelight" ed ultima pellicola ad essere stato girata negli Stati Uniti da Charles Chaplin (l'artista dovette in seguito lasciare il paese a causa di problemi con il Maccartismo), "Luci della ribalta" rimase inedito negli USA fino al 1972, anno in cui vinse un Oscar retroattivo per la splendida colonna sonora.
Il film si presenta come un poetico saggio sulla Bellezza, l'Amore, l'Arte ma anche la Morte, nonchè anche come un nobilissimo sequel di "Luci della città", poiché anche in quella precedente storia protagonista era la Bellezza intrappolata dal buio della cecità, liberata dal mentore Charlot e poi pronta a spiccare il volo proprio quando questi rimane invece nel suo mondo di miseria materiale.
Protagonista di "Luci della ribalta" è un comico ormai in là con gli anni, Calvero, un tempo ricco e celebre ed ora abbrutito e intristito.
L'alcool ed i ricordi sono i suoi soli compagni, e già questo fa capire quanto lontani siano gli anni del sognatore Charlot, povero in canna ma con tante speranze in tasca. Ma anche di fronte a tanta miseria morale il povero Calvero ha una luce: l'affetto per una giovane ballerina in difficoltà (Claire Bloom) lo aiuta ad andare avanti.
Calvero è quindi la Saggezza, il Pigmalione della Bellezza intrappolata, il medium (inteso come mezzo, portavoce, "docente") che porta l'Arte a svilupparsi ed a palesarsi al mondo, ma in quanto anziano è destinato a rimanere ai margini ed infine a lasciare la scena della Vita. Finale quindi più malinconico, quasi un testamento spirituale del comico-regista Chaplin che si dichiara ormai stanco e pronto a lasciare il passo agli altri (molti degli attori del film sono infatti suoi figli, compreso il giovane pianista di cui si innamora, ricambiato, la Ballerina, a dimostrazione evidente dell'intenzione dell'artista di cedere il testimone).
Nel film appare un'altra vecchia gloria del cinema muto, il grande "faccia di pietra" Buster Keaton, che nella performance con Chaplin surclassò il compagno suscitandone - pare - una certa gelosia.
Se nella maggior parte dei suoi film Chaplin/Charlot era l'omino senza tempo, caratterizzato dal solito cliché capelli ricci, baffetto ed abito che ha visto tempi migliori, qui il protagonista ha un'età ben delineata di cui si rammarica più volte, capelli bianchi, rughe e pancetta definiscono i segni inesorabili del Tempo, che fungono da vera peculiarità della storia.
Altra caratteristica, nel film, il dramma, la malinconia è il leit motiv di tutto l'intreccio. Lo spettatore percepisce sin dall'inizio che stavolta non si tratta più dell'omino che vuole far riflettere sulle brutture della vita tra frizzi e lazzi; Chaplin fa dire a Calvero di essere un comico in pensione, senza maschera, e con il suo volto segnato dalle rughe guida il suo pubblico verso la propria filosofia di vita. Stavolta a parlare è lui, Charles Chaplin, perché Charlot con i suoi buffi baffetti, la bombetta ed i capelli arruffati è stato ucciso: neanche qualche buffo accenno del suo precedente film riesce a rievocarlo, e questo perché non c'è più bisogno di lui.
Nella scena finale avviene simbolicamente questo passaggio tra Vita e Morte, tra Vecchiaia e Giovinezza, sempre nel nome di quell'Arte eterna e immortale cantata da Shakespeare e Keats. E non è a caso che gran parte della storia si svolga su e dietro le quinte di un palcoscenico: "All the world's a stage, And all the men and women merely players", recita Shakespeare in una sua commedia: ad attori se ne sostituiscono altri e la vita continua.
La poesia (di Chaplin, in questo caso) comunque rimane "so long as men can breathe, or eyes can see" (finché ci sarà un respiro od occhi per vedere).
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 24/06/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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