Voto Visitatori: | 7,05 / 10 (98 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 6,50 / 10 | ||
Stando a quanto dichiarato dallo stesso Forman, questo film è stato da lui lungamente desiderato, fin da quando studente leggeva i racconti sull'inquisizione spagnola, e come spesso accade con le cose che si desiderano molto e molto a lungo, le cose sulle quali si riflette forse troppo, quando vengono finalmente realizzate deludono.
Forman purtroppo non è sfuggito a questa profezia.
Dopo un assenza di sette anni ("Man on the moon" - 1999), Forman torna al cinema con un affresco del periodo spagnolo tra '700 e '800, che passa dalla barbarie dell'inquisizione a quelle dei soldati napoleonici invasori, periodo in cui visse uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, famoso ugualmente per i suoi ritratti di Corte tanto quanto per le rappresentazioni lucide della brutalità della guerra o quelle dissacratorie del clero e dei potenti: Francisco Goya y Lucientes.
Nella storia narrata da Forman (tratta da un suo romanzo "La passione di Goya" scritto a quattro mani con Jean-Claude Carrière) quando Goya viene preso di mira dall'Inquisizione per via dei suoi famosi "Capricci" si leva apparentemente a difenderlo Frate Lorenzo, asserendo che il male non sta nelle raffigurazioni del pittore, che altro non fa che rappresentare la realtà, ma appunto nella realtà stessa. Quindi a nulla gioverebbe punire il pittore, assolutamente utile invece sarebbe stroncare il male che sta all'origine delle sue rappresentazioni. Lo stesso si propone quindi di mettersi a capo di un esercito di inquisitori che, sorvegliando con occhi particolarmente attenti quella gente comune che Goya ama rappresentare ne intuisse subito l'anima poco cristiana. Si rimette quindi in moto l'ingranaggio dell'Inquisizione e a farne le spese è proprio la musa ispiratrice di Goya, Ines, torturata e incarcerata con l'accusa di giudaismo. Da qui cominciano una serie di vicissitudini che coinvolgono Goya, frate Lorenzo, Ines attraverso la Corte spagnola, l'invasione napoleonica, l'arrivo di Wellington, la restituzione del potere alla Chiesa. Le loro vite si intrecciano con gli eventi della Storia.
Sospeso tra verità e finzione il film non prende mai una direzione precisa e probabilmente Forman cade nel trabocchetto delle già citate cose troppo desiderate, quindi nella volontà di dire tutto alla fine non dice nulla. Stessa cosa accadde con un'altra sua opera sempre ambientata sul finire del '700, "Valmont", che questo film ricorda per la meticolosa cura delle ricostruzioni come per l'assenza di contenuto.
Ne "L'ultimo inquisitore" ci sono tutti i temi amati dal regista: l'arrivismo, l'arroganza del potere del quale fanno le spese i più deboli, la malattia mentale e il manicomio come luogo di verità, l'uomo confuso dalla Storia, il destino crudele e inevitabile.
Elementi che però non riesce ad amalgamare tra loro e il debole filo conduttore è affidato alla figura di Goya che osserva (pare) perennemente stupito i mutamenti.
Un indizio più consistente su quelle che volevano essere probabilmente le intenzioni del regista lo troviamo nel titolo originale "Goya's ghosts", dove con "i fantasmi di Goya" si intendono tutte le situazioni, soprattutto le più brutali (ma non solo) che Goya rappresentò attraverso la sua arte, con i "Capricci", "i disastri della guerra" e le "pitture nere": la violenza, l'inquisizione, la follia a volte con brutale realismo a volte attraverso una dimensione onirica. A sottolineare questo intento possiamo ritrovare nel film alcune scene che si rifanno esplicitamente a quadri o incisioni dell'artista spagnolo, la scena del processo finale per esempio o quella del manicomio o quella delle majas al balcone. Il '700 fu un'epoca di grande cambiamento culturale dovuto all'illuminismo e alle idee liberali che tendevano a spazzare via l'ignoranza e le disparità di classe quindi la scelta di Forman è ricaduta probabilmente su Goya perché la sua personalità controversa rispecchia in pieno le contraddizioni del periodo. Infatti se come uomo era accomodante, servile, voltagabbana, affascinato dall'aristocrazia al punto di inventarsi per se stesso un titolo nobiliare come artista era caustico, spietato nella critica, inclemente verso il potere e perfettamente in grado di coglierne la stupidità o la volontà di mantenere il popolo nell'ignoranza attraverso la paura, tanto che a didascalia di uno dei suoi Capricci più famosi sta la frase "il sonno della ragione genera mostri".
Quello che Forman fa di Goya è comunque un ritratto piuttosto approssimativo tanto da mescolare, anticipare od omettere alcuni eventi (il film inizia nel 1792 con una discussione sui Capricci che vennero realizzati solo nel 1799 - nel 1792 invece Goya si ammalò gravemente rischiando di rimanere cieco) ed escludendo decisamente sviste storiche si capisce che alla figura dell'artista viene attribuito un valore simbolico, senza alcuna vera volontà biografica.
Questo di per se non sarebbe un difetto ma il film non si incentra nemmeno sul periodo storico o sulla condizione socio-politica della Spagna del tempo, che più che altro diventa sfondo del dramma - o meglio melodramma - di superficie che vede protagonisti il trio Lorenzo, Goya, Ines. Per quanto non noioso e con qualche momento visivamente intenso il film propone per lo più personaggi e situazioni stereotipate e soprattutto non va mai in profondità. Non affronta davvero nessun argomento: né la Storia, né le debolezze dell'Uomo, né la vita personale od artistica di Goya. E' tutto sospeso, tutto accennato, tutto sfiorato e rimane la sensazione dell'occasione sprecata. Di spunti ce ne sono a iosa ma Forman, che in passato ha dimostrato ampiamente il suo talento (uno su tutti Amadeus) non si concentra veramente su nulla lasciandoci un film condotto in maniera classica, pieno di affascinanti ricostruzioni - bella la sequenza che mostra la nascita di un'incisione - ma che non farà certo storia.
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Recensione a cura di Kater - aggiornata al 20/04/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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