Recensione l'uomo che fissa le capre regia di Grant Heslov USA 2009
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Recensione l'uomo che fissa le capre (2009)

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locandina del film L'UOMO CHE FISSA LE CAPRE

Immagine tratta dal film L'UOMO CHE FISSA LE CAPRE

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"Siamo Jedi, non combattiamo con le armi, ma con la mente".

Tratto dal romanzo "Capre di Guerra" (oggi ribattezzato con lo stesso titolo del film) del giornalista, scrittore e regista televisivo Jon Ronson, "L'Uomo che fissa le Capre" è una commedia antimilitarista nel senso lato del termine, che sembra proporsi al pubblico come legittimo erede di "Mash" (1970) di Robert Altman.
Il cliché narrativo adottato è quello già proposto da Neil Simon della strana coppia (da cui il film omonimo del 1968).
A narrare la storia è Bob Wilton (Ewan McGregor), un giornalista di scarso successo, che, non riuscendo ad accettare la separazione dalla moglie (Rebecca Mader, la sola interprete femminile del film insieme con la madre di Gus) parte per l'Iraq come corrispondente di guerra. Durante il viaggio, Wilton incontra Lyn Cassady (George Clooney). Il giornalista si ricorda del nome di quest'uomo poiché alcuni anni prima aveva intervistato Gus Lacey (Stephen Root), un sedicente soldato psichico capace di uccidere un criceto con la sola forza del pensiero.
Durante quell'intervista, Gus aveva rivelato a Wilton l'esistenza di un corpo speciale dell'Esercito degli Stati Uniti, formato da soldati dotati di poteri psichici. Il fondatore di quel corpo, che aveva il nome di "Armata Nuova Terra" era Bill Django (Jeff Bridges) e il suo pupillo più promettente era appunto Cassady.
L'incontro fra Wilton e Cassady proietta il reporter, e lo spettatore insieme con lui, in un viaggio attraverso gli ultimi quaranta anni di guerre combattute dagli Stati Uniti d'America, fra dottrine New Age ben miscelate con qualsiasi forma di filosofia orientale, sostanze psicotrope ed allucinogene, e citazioni cinematografiche.

Anche se può apparire semplice e lineare, l'impianto narrativo de "L'Uomo che fissa le Capre" è in realtà molto ben costruito e piuttosto complesso, così come sono eterogenee e complesse le tematiche affrontate.
Peter Straughan, infatti, scrive una sceneggiatura sapiente, assai articolata e ricca di dialoghi intelligenti, divertenti e mai banali. La stessa scelta di utilizzare la voce fuoricampo di Wilton per guidare lo spettatore potrebbe apparire didascalica, quando invece non lo è affatto. Questa scelta trasforma la pellicola in un film cosiddetto "parlato", dove i dialoghi e la storia assumono un ruolo assorbente nei confronti dell'immagine dinamica, più propria del linguaggio cinematografico. Le immagini non godono mai di vita propria e ogni azione è sempre accompagnata da una spiegazione, anche quando questa non è necessaria. Questa tecnica narrativa, reputata di carattere elementare e generalmente sconsigliata, risponde tuttavia a una triplice esigenza. Innanzitutto, essa consente di mantenere una certa economia narrativa, poiché un minuto di parlato può raccontare allo spettatore quello che dovrebbe essere raccontato attraverso dieci minuti di immagini. Da questa esigenza discende anche un'economia dei costi, che, naturalmente, evitando ulteriori riprese restano più contenuti. Terza, ma non meno importante, è l'esigenza di trasportare lo spettatore non soltanto all'interno della storia narrata, ma di porlo anche nella stessa ottica del narratore. Questa posizione sinottica, che si instaura fra Winston e lo spettatore, contribuisce a favorire non solo la sospensione dell'incredulità, assolutamente necessaria quando si vuole narrare una storia di questo genere, ma consente anche una forte immedesimazione fra lo spettatore e i personaggi, benché questi siano decisamente sopra le righe e siano lontanissimi da qualsiasi cliché in cui possa riconoscersi l'uomo comune. Da questo discorso resta naturalmente escluso il personaggio di Wilson, che svolge appunto un ruolo di spettatore rispetto alle vicende narrate. Egli infatti è proposto al pubblico come l'uomo in cui tutti, inizialmente, possono immedesimarsi, ma subito dopo l'attenzione si sposta sui personaggi di Cassady, di Django, di Hopgood, di Hooper.
Ed è così che uno stile narrativo generalmente reputato di basso livello assurge al ruolo di motore trainante dell'intera pellicola.

"Questa storia è più vera di quanto possiate credere", recita la didascalia d'apertura del film.
Le origini del film, così come quelle del libro da qui è stato tratto, affondano in quell'interesse che le forze armate e i servizi segreti americani, così come anche quelli sovietici, e, prima di loro, quelli della Germania Nazional Socialista, hanno dimostrato verso l'esoterismo e verso la parapsicologia.
La letteratura, in particolare quella di genere horror e di genere fantascientifico, e la filmografia hanno attinto a piene mani da questi studi, producendo una miriade di opere narrative. In campo cinematografico è opportuno ricordare almeno "The Manchurian Candidate" (1962) di John Frankenheimer, "The Fury" (1978) di Brian De Palma, "La zona Morta" (1983) di David Cronenberg, "Fenomeni Paranormali Incontrollati" ("Firestarter", 1984) di Mark Lester, "Minority Report"(2002) di Steven Spielberg.

"L'uomo che fissa le Capre" è una commedia scanzonata che affronta in chiave fortemente satirica le problematiche relative alla guerra ed all'utilizzazione delle forze armate.
La sceneggiatura di Straughan affronta tantissime tematiche senza cadere mai in nessun impasse narrativo.

"Creiamo monaci guerrieri che possano attraversare le pareti e vedere nel futuro"

La tematica di base sembra uscire direttamente dal motto hippie che incitava a mettere fiori nelle canne dei fucili. Si pensi in particolar modo alla scena in cui Django parla ai suoi uomini, tutti seduti in cerchio come ad una seduta di terapia di gruppo, con un mazzo di fiori in mano.
Wilton ci presenta il personaggio di Django attraverso un breve excursus durante il quale lo vediamo attraversare ogni genere di tendenza sviluppatasi negli Stati Uniti dal 1968 a tutti gli anni settanta.
Questo rapido cocktail di esperienze prepara lo spettatore all'esilarante addestramento dei soldati psichici che formano l'Armata Nuova Terra: ballo a corpo libero, assunzione di sostanze allucinogene, riscoperta del corpo, dell'armonia con la natura e dei poteri della mente, il tutto condito con gli insegnamenti della filosofia Zen, che però qui discendono direttamente da "Guerre Stellari".
Il messaggio sotteso è dichiarato con ilarità e con garbo: le guerre non devono essere combattute con la grossolaneria dei muscoli, ma con la finezza del cervello. Il vero soldato è quello che previene il combattimento e riduce il nemico in condizione di non nuocere. Non si mira tanto all'annientamento fisico del nemico, quanto al renderlo appunto inoffensivo. Il cuore del soldato deve essere puro e deve operare a fin di bene. In sintesi il soldato dell'Armata Nuova Terra opera per prevenire le guerre, non per combatterle.

Gli autori si beffano sostanzialmente delle politiche estere intraprese dai vari governi degli USA durante gli ultimi quaranta anni e in particolar modo del concetto stesso di guerra preventiva.
Si beffano altresì dell'interventismo benefico statunitense. In tal senso è emblematica la scena in cui Cassady, guidando un pickup, insegue un fuggitivo rassicurandolo con queste parole: "Tutto a posto! Siamo americani, la vogliamo aiutare". Dopo di che, lo investe accidentalmente.
Naturalmente da un grande potere discendo anche grandi responsabilità e "il lato oscuro" è sempre in agguato. Cassady, infatti, si colpevolizza per aver dato dimostrazione dei propri poteri uccidendo una capra, ossia un animale innocente. In questo caso l'accusa sottesa è quella di utilizzare le forze militari per raggiungere scopi utilitaristici massacrando gli innocenti.
D'altro canto lo spettro della guerra del Vietnam è ancora presente. La ferita, aperta da quella guerra e mai rimarginatasi, non deriva soltanto dalla disastrosa sconfitta subita dagli Stati Uniti d'America, ma soprattutto dall'enorme numero di vite umane perdute e dall'acquisita consapevolezza che per formare un soldato ci vogliono almeno venti anni, quando per costruire una portaerei o un incrociatore sono sufficienti pochi giorni per assemblarne i pezzi. Ed è in questa ottica che deve ricercarsi sia il senso della guerra preventiva sia l'idea del soldato capace di prevenire il combattimento.
Le guerre successive a quella del Vietnam, anziché aiutare a rimarginare la ferita, sembrano averci gettato sopra del sale nonostante che gli USA ne siano sempre usciti tecnicamente vincitori.
Questo "lato oscuro" di memoria Jedi è rappresentato dal personaggio di Hooper (Kevin Spacey) che, mosso da invidia, da quella frustrazione che discende dalla mediocrità, e dalla sete di protagonismo e di potere, non esita a ricorre a qualsiasi mezzo per aumentare i propri poteri psichici e a distruggere pubblicamente l'Armata Nuova Terra.
Ed è attraverso il suo personaggio che gli autori condannano anche la pratica della tortura dei prigionieri. Nella fattispecie la tortura consiste nel fare ascoltare a ripetizione la canzone "I love you, you love me" tratta dalla serie televisiva "Barney and Friends".

Le posizioni antimilitariste, qui esposte non esaustivamente (ma enunciarle tutte sarebbe davvero troppo), sono le tematiche più evidenti e più urlate di questa pellicola, ma non sono le sole.
"L'Uomo che fissa le Capre" racconta anche della diversità da intendersi come valore da tutelare. I soldati psichici infatti erano tutti soggetti emarginati, specie nell'epoca della loro infanzia.
In questa stessa ottica si sviluppa anche la tematica dell'uomo, inteso proprio come maschio, che cerca di riscoprire il proprio ruolo all'interno della società e della sua necessità di avere delle certezze in cui crede, dei punti fermi cui appoggiarsi, un'organizzazione sociale in cui riconoscersi e poter esprimere liberamente se stesso.
Il personaggio di Cassady è la sintesi di tutte queste tendenze. Da bambino era un emarginato, i suoi istinti erano repressi dal padre, la sua era una ricerca della riscoperta del proprio io profondo, delle proprie capacità e del proprio ruolo nella società.
In un mondo fatto di muri, di barriere e di ostacoli di ogni genere, il soldato psichico è capace di passare attraverso le pareti. Egli, in altre parole, è l'uomo che sa essere in armonia con se stesso e con il mondo circostante. È svincolato da qualsiasi restrizione e sa oltrepassare qualsiasi difficoltà. In sintesi, si tratta di un uomo che sa essere libero.

Come accennato i soli due personaggi femminili del film sono la madre di Gus e la moglie di Wilton. Il fallocentrismo del ruolo maschile viene schernito dall'inizio fino alla fine del film. La prima frecciata è scagliata appunto dalla madre di Gus che tratta il figlio quarantenne alla stregua di un mentecatto. Il secondo colpo è inferto dalla moglie di Wilton e soprattutto dall'amante che si sceglie: l'editore senza un braccio. L'affondo finale è il riso della soldatessa che osserva il delirio allucinogeno che ha coinvolto tutti i suoi colleghi.

Molte delle scelte intraprese dallo sceneggiatore, oltre ad alcune scelte di regia, sia nell'articolazione della storia, sia nella costruzione dei personaggi sembrano scaturire direttamente dalla filmografia dei fratelli Coen, a partire dalla scelta dell'Io narrante, passando per lo sfrenato gusto verso il grottesco, fino all'utilizzazione di quella stessa iperbole narrativa capace di raccontare una storia assolutamente inverosimile e di renderla assolutamente credibile agli occhi del pubblico. Non ci sarebbe da meravigliarsi se uno spettatore, una volta uscito dal cinema, provasse a fissare una nuvola con l'intenzione di disgregarla. A questo si aggiunge anche la scelta del cast artistico.
Fra tutti primeggia senza confronto un irresistibile Jeff Bridges, già icona del cinema dei Coen, il cui personaggio può ricordare neppure troppo da lontano il Drugo (The Dude) de "Il Grande Lebowski" (1998).
Anche George Clooney interpreta un ruolo non troppo dissimile dall'Everett di "Fratello dove sei?" (2000), che si trova ancora una volta perduto in un'odissea esistenziale. Ottimi anche Kevin Spacey ed Ewan McGregor. Quest'ultimo in particolare regala al pubblico degli ottimi duetti insieme con Clooney.
Se la filmografia dei fratelli Coen si trova alla base del film, la sceneggiatura di Straughan si prodiga in citazioni cinematografiche a partire dalla saga di "Guerre Stellari", di cui si ricordi che McGregor ha interpretato tre episodi, alla serie televisiva de "I Simpson", a "Il silenzio degli innocenti" ("The Silence of the Lambs", 1991). Tutte le citazione, tuttavia, sono verbali e mai visive. Questo ricorso continuo all'immaginario cinematografico sembrerebbe suggerire un messaggio non troppo dissimile da quello contenuto nell'ultimo film di Quentin Tarantino "Bastardi Senza Gloria" secondo cui il Cinema è capace di sconfiggere anche la brutalità della guerra. Questo messaggio comunque è talmente sussurrato da in durre chi scrive nel sospetto di aver compiuto addirittura una sovrainterpretazione.
La regia del quasi esordiente Grant Heslov, più noto come attore, è semplice, priva di qualsiasi virtuosismo e si limita ad accompagnare la storia così come questa è raccontata dalla sceneggiatura, senza nulla aggiungere. Una regia formale e funzionale, perfettamente confacente a questo genere di commedie.

"L'Uomo che fissa le Capre" è una commedia di intrattenimento intelligente, scritta molto bene e con dialoghi brillanti. Gli innumerevoli spunti di riflessione sono suggeriti e non appesantiscono in nessun modo la narrazione cinematografica. Nel suo genere si tratta di un ottimo film sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello artistico.
Per quella fetta di pubblico che cerca risposte di tipo differente non resta che una cosa da fare:

"Chiederlo ad Angela Lansbury".

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 18/12/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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