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Buck è un giovane ragazzo sulla trentina, che dopo aver perso i genitori, cerca di gestirsi con un lavoro. Ma la sua vita viene sconvolta dall'arrivo della sorella minore Molly, appena uscita da un istituto di cura che ha chiuso. Molly è affetta da ritardi mentali, infatti, pur avendo il corpo di una ventisettenne, ragiona come una bambina di tre anni, inoltre ha difficoltà a rapportarsi col mondo esterno, essendo affetta da autismo. Potete immaginarvi che grosso peso sia occuparsi di una come lei, soprattutto quando si è soli e non si ha nessuno su cui contare.
Buck ce la mette tutta e la affida alle cure di babysitter oppure la porta in centri ricreativi per bambini, ma nulla sembra funzionare. All'improvviso da un ospedale arriva la notizia che esiste una cura, in via di sperimentazione, in grado (attraverso una piccola cellula del cervello) di permettere a Molly di vivere una vita normale.
Viene subito spiegato che l'intervento può essere rischioso, ma che qualora avesse successo, i cambiamenti sarebbero miracolosi e istantanei. Il tutto va come previsto e Buck può assistere alla rinascita della sorella. Una rinascita piuttosto graduale, infatti piano piano Molly inizia a leggere libri, parla con un linguaggio maturo, socializza con varie persone e trova pure l'amore. Per lei inizia una vita ricca di sfumature e vede il mondo, composto da mille ipocrisie e moralismi, attraverso gli occhi di un bambino. Questa è l'occasione giusta per rafforzare il suo rapporto con il fratello, che non la vede più come un vegetale, ma come un essere pensante da stimare e a cui voler bene.
Ma la cura sperimentale sarà completamente efficace, o forse Molly rischierà di ritornare alla sua condizione di partenza, da ragazza autistica?
Dalla colonna sonora iniziale "Onion girl" fino ai titoli di coda finali è per lo spettatore un viaggio emotivo, che non conosce limiti, che tocca le corde del cuore fino a far commuovere, grazie (soprattutto) alla prova di Elisabeth Shue, che riesce benissimo nel ruolo di protagonista. Una figura, quella di Molly, che non può certamente rimanere indifferente agli occhi di nessuno. Molto divertenti e simpatiche sono poi alcune scene da commedia, come quando Molly, avendo caldo, si spoglia nuda e va correndo per i corridoi d'ufficio, urlando "Molly hot, Molly hot" oppure quando tenta di baciare Sam e finisce per leccarlo su tutti i punti della faccia, per simulare una pomiciata amorosa (da lei probabilmente vista in TV).
Ciò che però forse funziona di più di questo film è la morale finale. Forse un po' retorica, ruffiana (per quanto odioso sia questo termine) e derivativa, oltre che prevedibile, ma certamente efficace. Esatto, Molly è la portatrice del punto di visto del regista, che voleva proporre una denuncia sociale alla società americana anni 90, molto attenta al progresso scientifico e poco alla tolleranza e al rispetto del "diverso", oltre che al suo riconoscimento in fatto di diritti sociali.
Molly, dopo la cura sperimentale, riesce infatti a cogliere le mille ipocrisie del mondo in cui vive, prima sconosciute perché estranea alla realtà e incapace di comunicare con essa. Ipocrisie che emergono dalla vita di tutti i giorni, la routine quotidiana in cui si dà poco spazio a cose importanti, immersi come si è in mille impegni, stremati da una vita spesso frenetica, che pone poco l'occhio sul valore affettivo dei rapporti (emblematica in questo senso la scena della biblioteca, in cui ognuno gira le pagine dei libri velocemente, senza leggerli, avvolto da un silenzio spettrale a testimoniare la superficialità dell'uomo odierno).
Molly si rende conto che chi non è autistico, è disonesto. E' una persona che, per adeguarsi alle convenzioni sociali, non esprime spontaneamente i suoi sentimenti, intesi come sintomo di debolezza, ma indossa una maschera di protezione. E così la rabbia, l'amore, la felicità vengono spesso repressi, messi da parte come se fossero sentimenti di serie B. Significa essere ipocriti con se stessi e con gli altri. Molly invece non è di quelle persone, lei, che prima, quand'era autistica, si dedicava unicamente allo zapping e a giocare con un nastro, legandolo ossessivamente al dito. Molly è spontanea perché non ha paura del giudizio altrui, anzi per lei "urlare, piangere, ridere" sono tutte manifestazioni di sentimenti che ci liberano da un grosso peso, ci rendono più onesti e ci fanno stare bene, quando servono. E forse è l'unica persona che abbia davvero capito come girano le cose, che abbia scandagliato la realtà, in mezzo al tumulto della folla americana, decifrandone i vari aspetti.
Duigan descrive una società che poco valuta dal punto di vista umano, abituata - grazie all'accesso alle tecnologie, risultato della globalizzazione- ad affidarsi solo ed unicamente alla scienza e al suo progresso. E così quella che può sembrare una condizione difficile (e anche oggi nel 2013) insanabile (l'autismo), al tempo era al centro di numerosi dibattiti scientifici, in cui vari medici, ritenendo di detenere la verità, "sballottavano" da un istituto all'altro i pazienti, trapanando le loro teste con cure sperimentali, in cerca di una unica, definitiva soluzione.
Certamente il messaggio finale è che la scienza, non solo fallisce, ma non è la soluzione ideale a tutti i problemi. In particolare per gli autistici è necessario sentirsi persone come le altre, non sentirsi perennemente giudicati "diversi": loro, anche se non lo possono comunicare, vorrebbero essere integrati nel tessuto sociale della società, vorrebbero essere trattati come degli umani e non come vegetali.
Questo film è stato oggetto di varie critiche, ma pur avendo dei difetti (che non si possono negare), riesce a lasciare il segno, anche a distanza di anni, coinvolgendo lo spettatore nel modo più sublime.
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Recensione a cura di dubitas - aggiornata al 22/05/2013 18.38.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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