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Allan (Jason Beghe), studente in legge, giovane e atletico, è urtato da una grossa auto durante una corsa nelle strade della sua città e diventa tetraplegico.
Dopo l'incidente la vita di Allan cambia, oltre a essere relegato in una sedia a motore il giovane perde la bella fidanzata che lo lascia per andare a vivere con il chirurgo che lo aveva operato.
La madre di Allan, del tutto isterica, mette a servizio del figlio un'infermiera, ossessiva e bisbetica (Christine Forrest), che diventa una sua fida confidente.
A confortare la sofferenza psicologica di Allan interviene un amico scienziato, che gli regala una scimmia, Ella, addestrata per aiutare le persone paralizzate. La scimmia è sottoposta dall'amico a una serie di iniezioni di siero, contenenti cellule di cervello umano, con lo scopo di studiare le conseguenti modificazioni psichiche e somatiche dell'animale.
La scimmia aumenta velocemente le doti di apprendimento, le sue capacità nel mettere in relazione parole e cose si accrescono a tal punto che Allan, avvertendo una sorta di presenza umana, trova un particolare aiuto in più, sentendosi amato e rispettato.
Le modifiche subite da Ella nella sua natura animale sono tali da preoccupare la stessa addestratrice Melanie Parker: i cambiamenti psichici sono enigmatici, sembrano svilupparsi in una forma primordiale, ma vicino al modo di agire dell'Io umano primitivo. Ella entra facilmente in sintonia con i pensieri di Allan, del quale diviene ad un certo punto un servitore integrale, lungo un gioco di identificazione e proiezione capace di cogliere in Allan le verità più riposte.
Subendo altre iniezioni di cellule di cervello umano la scimmia accresce la sua personalità ibrida, fino al punto di provare una intensa gelosia per le relazioni di Allan con altre persone. Essendo priva di sensi di colpa la scimmietta Ella, per sconfiggere la sua sofferenza-passione, mette in atto azioni vendicative semplici ed efficaci, ad esempio uccidendo le persone che in qualche modo la infastidiscono.
Ella a un certo punto cerca di sopraffare telepaticamente anche l'Io di Allan per sfuggire al proprio ruolo subordinato. Il legame con Allan quindi cambia, diventa ossessivo, in un certo senso conflittuale, pericoloso per la vita stessa del giovane.
"Monkey Shines" è un film horror-fantascientifico del tutto originale, anche se ha un debito con la letteratura perché l'idea di fondo è tratta dal libro di Michael Stewart.
La narrazione è sobria, costruita con tecniche visive in gran parte artigianali, il dialogo è scorrevole e ben teso, la drammatizzazione pur non essendo eccelsa non è da disprezzare e si svolge prevalentemente in spazi interni, chiusi, come è tipico nel genere horror che sembra trarre linfa proprio da situazioni ambientali ben definite che si configurano efficacemente nella retina dell'occhio per circoscrivere meglio la tensione, rendendola famigliare o relegandola, come spettacolo, in una sorta di anfiteatro immaginifico.
Il film però non ha avuto successo, ha lasciato in buona parte indifferenti sia il pubblico che la critica, forse perché il tema della riattivazione di un cervello umano dopo la morte, o la variante del suo inserimento graduale in un animale attraverso un siero che combina poi diversi elementi chimici, trova negli anni '80, da un punto di vista un po' più storico, un non senso logico.
In quel periodo l'immaginario collettivo era ancora piacevolmente occupato da "Blade Runner", e dalla serie di "Alien", film dominati dai temi del replicante e della clonazione, dell'alieno spaziale e del terrore biomeccanico proveniente dallo spazio, argomenti riferiti completamente al futuro.
Sono anni in cui regna, nel film strettamente commerciale, la fantascienza più legata all'ingegneria genetica, punto di contatto reale con alcuni aspetti della ricerca scientifica effettivamente in corso. Siamo quindi lontani dai grandi temi cinematografici ideati dalla letteratura classica che vertevano sulle fallite questioni scientifiche aventi per oggetto la riutilizzazione del cervello umano dopo la morte: temi svolti e rappresentati con trapianti completi del cervello preso da un cadavere e impiantato su un altro corpo o di alcune sue cellule trapiantate in altri individui, animali o persone, argomenti che hanno occupato tanto spazio nella storia della fantascienza-horror cinematografica ma che si sono in gran parte esauriti proprio negli anni ‘80.
Da un punto di vista un po' più psicanalitico il film sembra evocare per certi aspetti la questione dell'Altro, situato in un altrove psichico che è inconsciamente in noi, di una realtà primaria che avvertiamo come sconosciuta ma che è indistruttibile, perché originaria, vicina al mondo animale da cui proveniamo.
Una realtà di cui non abbiamo più coscienza se non quando si verificano delle condizioni particolari, di solito traumatiche come l'incidente di Allan che provoca una regressione psichica altamente infantilizzante, avvicinandolo a quelle origini istintuali dalle quali è più facile comunicare con il mondo degli animali.
L'Altro di Allan diventa allora un vero e proprio soggetto, con più poteri, capace di dominare l'Io con pulsioni primitive animistiche, telepatiche, cannibalesche, che dopo il tentato suicidio del giovane mettono in atto una sorta di autoterapia, alleviando le sofferenze di Allan grazie all'apporto di materiale psichico delirante.
Si instaura una vera lotta tra l'Io di Allan custode della ragione e delle facoltà più intellettuali, offeso dal trauma quindi impossibilitato a funzionare correttamente, e l'Altro soggetto, inconscio, che aspira a lenire il trauma con apporti pulsionali nuovi ricchi di immaginazioni primordiali intense, voluminose, appaganti per via fantastica ma appartenenti a un mondo che pur esiste, vero, semplicemente rimosso.
La scimmietta Ella consente allora ad Allan di vivere quel mondo che è emerso in lui dall'inconscio, in una sorta di vera e propria comunità animale, e qui scopriamo tutta l'estetica del film, il punto forte del racconto, quando Allan abbraccia Ella in una sorta di appagamento affettivo completo, semplice, in una assenza totale di pulsioni civili.
Ma la civiltà è forte, per lo meno quanto l'inconscio di Allan, e non si arrende agli effetti del trauma; la presenza femminile, l'amore che nasce tra Allan e la bella addestratrice di Ella rimette in gioco le cose, facendo evolvere le passioni verso direzioni del tutto inattese che costruiscono lo spettacolo del dramma finale.
Romero non ama ricordare "Monkey Shines", che a distanza di tempo avrebbe rifatto volentieri, esprimendosi in altre forme linguistiche, probabilmente più spettacolari e meglio drammatizzate. Ma forse ha torto nel ritenerlo un film minore perché una pellicola come questa, ricca di questioni psicologiche, tende col tempo, come normalmente accade nei racconti a sfondo psicanalitico, a essere rimosso dall'autore, per il motivo che nella scrittura narrativa ha trasposto diversi suoi aspetti emotivi e rappresentativi spesso emersi dall'inconscio, che per forza di cose col tempo vengono sostituite dal ritorno figurativo della normalità psichica rendendo stranianti, incomprensibili le precedenti scritture creative.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 24/11/2010 10.31.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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