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Non c'è persona sulla Terra che non conosca la storia del bambino che sognava di rimanere tale per sempre: Peter Pan. Ma quanti possono realmente vantarsi di sapere chi si cela dietro questo affascinante personaggio al quale tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo invidiato la spensieratezza e la disarmante capacità di sognare?
Marc Forster, già regista di "Monster's Ball", ci regala la storia di James Barrie, che di Peter Pan ne è il padre, adattando per il grande schermo la commedia teatrale di Allan Knee, "The man who was Peter Pan".
Reduce da un cocente insuccesso lo scrittore scozzese J.M Barrie, durante una visita ai giardini di Kensington in compagnia del suo fedele cane Porthos, fa la conoscenza della giovane vedova Sylvia e dei suoi quattro figli. Sarà questo l'incontro che cambierà radicalmente la sua vita.
Grazie ad essi, e alle lunghe giornate trascorse in loro compagnia infatti, la sua vena artistica ritrova nuova linfa. Purtroppo il fatto che egli sia un uomo sposato, e che gode di una certa popolarità, non fa che procurargli fastidiosi pettegolezzi circa la natura del suo rapporto con la famiglia Davies.
Questo però non ferma Barrie, il quale decide comunque di sfidare la morale chiusa e perbenista della Londra di primo Novecento continuando dritto per la sua strada, convinto della bontà delle sue azioni e del fatto che solo perseguendo questa via egli potrà infrangere i canoni della scrittura tradizionale, rinascere artisticamente e umanamente, e consegnare alla storia della letteratura qualcosa di veramente innovativo e rivoluzionario quali, di fatto, sono le avventure di Peter Pan.
La capacità con cui Marc Forster riesce a fondere due mondi completamente opposti tra di loro, come appunto lo sono la rigida e severa Londra e l'immaginifico universo fantasioso creato da Barrie nella sua mente, appare di una brillantezza e, al tempo stesso, di una lucidità assolute.
Questo, però, non è il solo merito che va attribuito al giovane regista svizzero, il quale riesce a plasmare e coordinare magnificamente un cast di prim'ordine. Il "materiale" a sua disposizione è infatti di prima scelta, a cominciare dal talento del "pirata" Johnny Depp, abile come al solito nel calarsi con la giusta convinzione e abnegazione nei panni del protagonista James Barrie, del quale riesce a rivelare tutta l'insicurezza e la malinconia, figlie di una tragedia come quella della perdita di un fratello in tenera età, ma anche e soprattutto la genialità e la capacità di immaginare una dimensione pura e fantastica in cui preservare l'innocenza e l'assenza di ipocrisia, sfornando una prova commovente e pienamente convincente, dimostrando ancora una volta il suo grande istrionismo, meritando in toto la candidatura all'Oscar che il ruolo gli valse.
Al suo fianco brilla il talento di una Kate Winslet che difficilmente sbaglia un ruolo; la fragilità, e al tempo stesso, la forza d'animo che riesce a donare al suo personaggio, è un qualcosa che lascia spiazzati e insieme affascinati.
Un fascino diverso suscita, invece, la prova del piccolo Freddie Highmore, qui al suo debutto, e autore di una performance superba. Diverso perché, mentre per la Winslet siamo ormai abituati a vederla recitare su certi livelli, sorprende assistere ad un tale trasporto nella recitazione da parte di un ragazzino alla sua prima esperienza per il grande schermo. Non è un caso che successivamente, il buon Johnny Depp lo consigliò al suo vecchio amico Tim Burton per il ruolo di Charlie nel remake de "La fabbrica di cioccolato". Peccato, però, che il piccolo Freddie da allora non abbia più raggiunto picchi di tale livello.
Il quadro è completato dai talenti di un'intensa Julie Christie, donna severa e incapace di vedere le reali esigenze della figlia; di Dustin Hoffman, coraggioso impresario dall' umorismo pungente e delizioso e dalla brava Radha Mitchell, quest'ultima nei panni dell'insoddisfatta moglie di Barrie.
Assolutamente deliziosa la colonna sonora composta dal polacco Jan Kaczmarek, al quale venne conferito l'Oscar nel 2005 per il suo splendido lavoro. Notevole è la maestria con la quale è riuscito a trasmettere ad ogni singola nota la dolcezza, l' innocenza, la fantasia, la curiosità e, a tratti, anche la malinconia, che attraversano questa pellicola, retta da una buona sceneggiatura che procede in un costante crescendo.
Il tutto viene degnamente incorniciato da una splendida scenografia che permette allo spettatore di apprezzare la bellezza e il glamour della Londra di primo Novecento.
La pellicola è, in sostanza, un chiaro omaggio all'innocenza fanciullesca e alla capacità di sognare, perché questo è il solo modo di percepire il reale senso delle cose, il vero valore dei sentimenti umani. Un elogio all'immaginazione, insomma, percepita in qualità di antidoto a qualsiasi tipo di violenza e sopruso, un veicolo di speranza e non di fuga.
Dietro tutto ciò si cela poi una verità indiscutibile: persino nei momenti più tristi e duri è possibile andare avanti, basta solo non smettere mai di sognare e avere sempre la forza di credere in ciò che si sogna. Questo che J.M. Barrie voleva insegnarci indicandoci quella seconda stella a destra.
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Recensione a cura di Luke07 - aggiornata al 14/10/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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