Recensione non e' peccato - la quinceanera regia di Richard Glatzer, Wash Westmoreland USA 2006
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Recensione non e' peccato - la quinceanera (2006)

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locandina del film NON E' PECCATO - LA QUINCEANERA

Immagine tratta dal film NON E' PECCATO - LA QUINCEANERA

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"Quinceanera" è una popolare festa messicana di origine azteca, che sancisce il passaggio delle ragazze dall'adolescenza all'età adulta, contemporaneamente al compimento dei 15 anni di vita.
I primi fotogrammi del film ci portano nell'atmosfera della festa, e precisamente nella comunità messicana di Echo Park, a Los Angeles.
E' un rito fastoso, dove la Quinceanera è vestita come una sposa tradizionale, con l'abito bianco, i ragazzi vestono per la prima volta di nero, e le damigelle portano un abito rosso come quello di Rita Hayworth nel celebre film "Gilda" (non a caso la Hayworth alias Cansino era di origine messicana).
La festeggiata è una ragazza bellissima, Eileen, sfoggia un meraviglioso sorriso, e inaugura le danze, i balli, i primi ammiccamenti di seduzione.

Improvvisamente, alla festa arriva Carlos, fratello di Eileen, ripudiato dalla famiglia per la sua omosessualità (o per la sua vita sregolata?), che viene letteralmente picchiato dal padre e allontanato in malo modo dalla festa.
Successivamente, l'abito bianco di Eileen servirà, con qualche rintocco, per la prossima Quinceanera, la cugina Magdalene, che però rimane "misteriosamente" incinta dal suo ragazzo, e vede sbattuta fuori di casa dal padre, un ottuso predicatore evangelico.
L'uomo ritiene la rivelazione uno Scandalo (anche perché la tradizione messicana pretende che la Quinceanera arrivi vergine alla festa per i suoi 15 anni), e Magdalene si ritrova a casa di un anziano e bonario zio in compagnia del cugino Carlos, anch'esso ripudiato dalla famiglia.
Nonostante le divergenze, i due si trovano nella stessa situazione, e non possono accusarsi di mera condotta morale in quanto entrambi hanno creato imbarazzo nella loro famiglia.
Carlos è un perdigiorno che lavora saltuariamente e compie qualche piccolo furto, quando fa la conoscenza di una coppia di vicini gay che lo invitano ad una festa, e lì finisce per rompere il meccanismo della "strana" coppia (aperta, ma a patto che tutto sia condiviso) facendo l'amore con uno dei proprietari della casa. E mentre Magdalene - un nome, un destino - viene abbandonata dal suo ragazzo, e spera di riconciliarsi col padre, la Sua festa si avvicina, ma cominciano ben altri problemi...

Se si volesse giudicare "a caldo" questo film, in maniera piuttosto fredda e impulsiva, si potrebbero esprimente parere non del tutto favorevoli.
Ma nell'analizzare il panorama della critica cinematografica "ufficiale" ci si trova davanti a un mare di lodi sperticate verso quest'opera di Glatzer e Westmoreland, ispirata - a detta degli autori - alle Kitchen Sink Stories degli anni Cinquanta e al cinema indipendente dell'epoca.
Pur trovandosi nell'impossibilità di mutare il giudizio della critica (o del pubblico americano, visto che nelle prime settimane di proiezione questo film ha avuto un successo notevole), spiace constatare che le riserve iniziali non sono affatto mutate, e a parere di chi scrive il Premio come miglior film indipendente al Sundance Festival 2006 appare decisamente eccessivo.
Indubbiamente la vita nella comunità messicana è raccontata con una certa capacità di affrontare le tematiche sociali che la contraddistinguono, anche se a volte la volontà di farne uno spaccato generazionale è molto forte (o involontaria?).

Il problema di questo film è che solo apparentemente ambisce a collocarsi come opera indipendente, scevra da giudizi morali o da compiacimenti sui vari "stili di vita".
Se è coraggiosa la scelta di raccontare la figura di Carlos come un "prototipo del ragazzo latino forte e virile", risparmiandoci le solite banalità sulla comunità gay fracassona ed esibizionista degli States, può risultare antitetico che il tizio in questione sia un "vitellone perdigiorno" che vive moderatamente alla giornata?
Piu' rappresentativa, e certamente molto più veritiera di quanto sembri, la vita delle coppie gay di Los Angeles sembra elencare quei vezzi narcisistici e quella superficialità Wasp che sembra reggere il confronto con le audaci amiche newyorkesi di "Sex and the city", ma giustamente senza lo smacco necessario per combattere e irridere al proprio desiderio di vanità.

Eppure il film è anche capace di lucide riflessioni sul valore della proprietà nella vecchiaia (l'anziano zio che non vuole abbandonare la propria casa), e del dogma religioso inteso sia come irritante ignoranza sui comportamenti sessuali (Magdalene impara da sola la spiegazione scientifica sul perché è rimasta incinta) sia come febbrile risorsa di speranza (il loco del vecchio zio nel giardino pieno di fotografie delle persone che ama ed ha amato).
Davanti a una serie di tensioni - conseguentemente o in parte sopite - l'anziano appare come un personaggio straordinariamente positivo e malinconico.
Non c'è una dichiarata invettiva sociale nel film, ma è intrinseca nei piccoli particolari: i conflitti di classe (Magdalene che non può permettersi una limousine per la sua festa, nè un vestito nuovo), o razziali (le difficoltà delle comunità di trovare una dimora), nella "città degli angeli".
Forse previdente nei confronti di quest'opera, che pure ha i suoi indubbi meriti, ci si riserva di contestare un finale tanto conciliatorio e vagamente ipocrita: se il titolo del film è emblematico, fa sorridere pensare che "i peccatori vengono messi nella condizione di redenzione" (da che cosa poi?) come suggeriscono gli autori del film.

Del resto, si respira, anche nella notevole sobrietà in cui si trattano certe tematiche (i dialoghi sono formidabili, e tutto il film vive un clima di complice ... spontaneità) un'amarezza di fondo (le vite in transito di Carlos e Magdalene nel loro momento di maggior difficoltà per esempio), quando non di autentica e acrimoniosa rabbia (Carlos picchiato e allontanato dalla festa della sorella Eileen, Carlos sfrattato dalla coppia gay con cui aveva fatto - un po' troppo forse - amicizia).
Purtroppo però, è necessario vanificare questi tentativi nobili quando i registi ricorrono al kitsch più devastante, soprattutto nel filmato della festa di Eileen: ma non è forse il rito stesso l'apologia del kitsch?
E' la percezione di un mondo che esplora una coscienza adulta, anche quando sarebbe doveroso riflettere per la propria ragione di vita: del resto quando una famiglia tradizionale impone la rottura degli equilibri e dei rapporti anziché il dialogo costruttivo, è un segno che qualcosa, nei legami familiari, non funziona come previsto. E mettiamoci dentro anche l'irresponsabilità di un padre che non riconoscerà probabilmente la/il figlia/o.
Tutto rimane sospeso, e il giudizio morale inferto ai due protagonisti è fin troppo severo davanti ai parametri non certo edificanti del mondo che li circonda.
Ma forse siamo sufficientemente egoisti per respingere la tesi di questo film e aberrare da vizi e virtu' degli altri popoli.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 22/09/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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