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Sono passati due anni da quando Josh Lambert (Patrick Wilson, "Watchmen" e "Hard candy"), con l'aiuto della medium Elise Rainier (Lin Shaye, "Tutti pazzi per Mary" e "Nightmare - Dal profondo della notte"), è riuscito a riportare dal mondo degli spettri il figlio Dalton.
Quella che sembra la nuova vita della sua famiglia, senza più brutti sogni, nè suoi, nè del piccolo, non è però come i protagonisti la immaginano. Tornati nella casa della madre di Josh, Lorraine (Barbara Hershey, "Il cigno nero" e "Un giorno di ordinaria follia"), in modo così da poter chiudere definitivamente con gli spaventosi avvenimenti passati, gli oggetti iniziano da subito a prendere vita, ed è stavolta la moglie, Renai (Rose Byrne, "28 settimane dopo" e "X-Men - L'inizio"), ad accorgersene per prima. Il pianoforte che suona da solo, il bambino piccolo trovato fuori dalla culla, fino ad una vera e propria "presenza" vista dentro casa.
Mentre Josh tenta in ogni modo di convincere la moglie che va tutto bene, è Lorraine a cercare delle risposte, dopo aver avuto anche lei un contatto tangibile con le forze oscure. Purtroppo Elise, che già l'aveva aiutata nel 1986, intuendo il poco piacevole dono di suo figlio, è morta durante la lotta che ha riportato indietro Dalton. Allora i suoi due aiutanti, Specs (Leigh Whannell, "
Le ricerche condurranno alla "vecchia signora" che vuole le vite dei protagonisti per tornare nel mondo terreno, a suo figlio Parker morto nell'ospedale dove lavorava Lorraine, ad una serie di mostruosi omicidi, ma anche al modo di liberarsi di tutto questo una volta per tutte.
James Wan. Questo nome occorrerà tenerlo bene a mente, perché, a quanto sembra, è intenzionato a fare sul serio con l'horror. I suoi film possono dividere, possono sembrare facili citazioni di illustri predecessori, possono non piacere, ma di sicuro non possono annoiare. Ripercorrendone la carriera compare per primo "Saw - L'enigmista", del 2004, che ha reso immortale il fatidico: "Voglio fare un gioco con te", pronunciato in modo metallico da Jigsaw dietro la ormai celeberrima maschera, con la sua macabra filosofia sulla vita e sulla morte. "Dead silence" arriva nel 2007, e porta con sè una di quelle filastrocche infantili, al tempo stesso bellissime e spaventose, anch'essa difficile da dimenticare che fa tanto horror anni '80, e che, rivedendolo ora, sembra molto il capostipite dei due "Insidious". Quando nel 2010 esce il primo film su Josh e la sua poco fortunata famiglia, James Wan arriva al meritato successo: elegante, pulito, schematico, utilizza inquadrature semplici al servizio di immagini che hanno il compito, loro sì, di spaventare. "The conjuring - L'evocazione" (2013) è forse quello riuscito peggio, perché sembra più l'allenamento per questo secondo capitolo della famiglia Lambert che non un'idea vera e propria. "Insidious 2 - Oltre i confini del male" risulta sicuramente più confusionario nel montaggio e nella sceneggiatura rispetto al primo, ma alla fine raggiunge il suo scopo e si esce soddisfatti dalla sala. O meglio, si esce coi capelli dritti...
Il recensore ritiene opportuno indicare, d'ora in poi nella lettura, elementi di SPOILER, che però a suo giudizio non peserebbero sulla visione.
Mettere paura oggi è esercizio complicato. Fondamentalmente il malese usa due espedienti. Quello più facile è il "buh" dell'uomo nero dietro la porta, il metodo usato per tutto il tempo in "Halloween", per intenderci, e che non sbaglia mai: stai vedendo una scena, è pieno di alberi, di muri, di pali, è buio, e mentre sei in tensione come una corda di violino, ecco che esce fuori l'urlo e il mostro. Saltare sulla sedia è matematico, non c'è scampo. Ma bisogna saperlo fare, ovviamente, altrimenti saremmo tutti potenzialmente dei Carpenter.
E qui ecco entrare in scena il secondo espediente: la tensione. Quella va creata, ed è in questo campo che Wan sembra sapersi realizzare pienamente. Se da "The conjuring" rimane impresso il battimani delle sorelle, stavolta tocca ad altri due giochi fornire la giusta cornice per provocare i sudori freddi: prima il classico "acqua, fuochino, fuoco" che avvicina la medium Elise alla "presenza", tramite le istruzioni date dal giovane Josh, in una sorta di trance indotta; poi il "telefono" usato dai figli Dalton e Foster, che usano due barattoli legati con un filo per comunicare da un letto all'altro.
Sebbene le idee sembrino inferiori rispetto a quelle del primo film, stavolta si ha la sensazione netta che Wan voglia fare sul serio quanto a tensione ed esplosione delle sue trovate: ad esempio i fantasmi dentro casa risultano molto più visibili, palpabili, addirittura violenti in alcune circostanze, e soprattutto sono molto, molto vicini. Ogni buon fanatico di horror sa che dentro l'armadio c'è il babau, e quindi sa che prima o poi uscirà fuori, eppure anche questa scena sembra quasi di vederla per la prima volta,quando davanti a Dalton si spalancano le ante e ne fuoriesce correndo una presenza. Oppure, ancora, l'avvertimento di una bambina, ovviamente fantasma, che intima a Specs e Tucker di uscire dalla sua stanza altrimenti sarà costretta ad ucciderli. E questi sono solo alcuni dei tantissimi elementi che, in 106 minuti, lasciano spazio a ben poco tempo per rifiatare prima di affrontare il successivo.
Ed è forse proprio per questo che stavolta, a fronte della grande tensione accumulata, Wan decide di regalarci un paio di battute dei protagonisti, una sorta di Groucho nelle storie di Dylan Dog, niente di eccessivamente comico, ma semplici "alleggerimenti" prima del vero finale che apre la strada al terzo capitolo. Come da regola del cinema horror...
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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 10/10/2013 18.22.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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