Voto Visitatori: | 5,74 / 10 (86 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 4,50 / 10 | ||
Fin dove sei disposto ad arrivare per conservare un segreto?
Ignorando la risposta a tale quesito, ci si trova a porre un'altra domanda: fin dove sono disposti a spingersi gli autori contemporanei per realizzare un thriller dal finale sorprendente quanto l'eiaculazione in un coitus interruptus?
Non si può certo pretendere grandi cose da un film, i cui autori hanno dichiarato con un compiacimento incomprensibile di aver diretto tre finali differenti con tre assassini differenti.
Questo bisogno orgasmico di ricercare un finale con un imprevedibile colpo di scena, che stupisca il pubblico, è divenuto una pratica fine a se stessa, piuttosto sgradevole e che non nobilita in nessun modo le pellicole i cui autori, evidentemente ormai privi di idee, decidono di ricorrere a tale logoro cliché.
Un buon thriller non viene affatto pregiudicato da un finale prevedibile, se detta prevedibilità è conseguenza di una meticolosa preparazione e disposizione di indizi, oltre che di una rigorosa progressione logico-narrativa dell'evoluzione della vicenda. Anzi, in questo caso la prevedibilità, intesa come caratteristica intrinseca del processo logico-deduttivo, diventa un merito degli autori, che si dimostrano onesti tanto nei confronti del pubblico quanto nei confronti della storia narrata.
Un thriller che abbia una storia solida è ben costruita, inevitabilmente non può avere che un solo finale. Il fatto che gli autori di "Perfect Stranger" abbiano potuto permettersi di girarne tre differenti è già un referente chiarissimo della mediocrità e della disonestà del prodotto. È vero che grazie ad un'attenta osservazione delle sequenze, specie di quelle iniziali, l'identità dell'assassino sia facilmente intuibile, ma questo avviene solo a causa della sconcertante banalità della storia narrata. Girare tre finali differenti e che siano comunque possibili e credibili, implicherebbe in realtà girare tre film differenti. Poiché questo non è avvenuto, allora balza agli occhi di come, fino ad un certo punto della progressione narrativa della pellicola (praticamente quasi fino allo scadere dei centodieci minuti di durata), l'assassino potrebbe essere davvero chiunque. Infatti il film è disseminato di indizi che secondo una chiave di lettura possono portare ad un personaggio piuttosto che ad un altro, tutto dipende esclusivamente dalle rivelazioni finali. Sono tutti indizi, benché labili, volti a creare sospetti che vanno al di là di qualsiasi forzatura narrativa.
Gli autori di "Perfect Stranger" hanno infine adottato una soluzione, che in questa sede è inutile raccontare ed analizzare, che mette a dura prova il senso di realtà del pubblico. Una soluzione forzata e quanto mai improbabile, ma al tempo stesso prevedibile e scontata. Lo spettatore più accorto si sentirà schernito, poiché è come se il regista si mettesse di fronte a lui e gli dicesse: "La storia è mia e faccio capitare tutto quello che mi pare".
La sceneggiatura scritta da Todd Komarnicki, da un soggetto di Jon Bokenkamp, non solo si dimostra profondamente disonesta, ma è anche piatta e logora. Essa trascura e banalizza l'approfondimento psicologico dei personaggi principali, e in particolare quello della protagonista Rowena (Halle Berry) e quello dell'ambiguo Miles (Giovanni Ribisi). Anche le tematiche dell'estraniazione urbana, del rifugio nel fittizio anonimato conferito da Internet, della superficialità dei rapporti umani, la dicotomia fra maschera sociale ed io profondo (si noti che Rowena assume sempre false identità, alla stregua di tutti coloro che nelle chat line si celano dietro un nickname, e dimostra un'inclinazione naturale alla menzogna e alla "falsa verità", di memoria egoyaniana), dello spiare la vita privata altrui per fini personali, a volte personalissimi, sono tutte presenti, ma nessuna di queste è affrontata con un minimo di serietà. Il cliché, trito e ritrito, del sospetto, della schermaglia amorosa, del gioco di seduzione (in vero poco seducente e non appassionante), del ribaltamento dei ruoli e dei fini, è esposto senza nessun guizzo creativo e non produce nello spettatore nessun coinvolgimento e nessuna tensione, neppure minima.
Anche l'aver ambientato la storia nel mondo della pubblicità, e quindi dell'apparenza, si rivela una pratica fine a se stessa e senza nessuno sviluppo né conseguenza.
James Foley, già regista dell'interessantissimo dramma "Americani" ("Glengarry Glen Ross", 1992) che però era stato scritto dal bravissimo David Mamet, di "A distanza ravvicinata" (1986), del dramma giudiziario "L'Ultimo Appello" ("The Chamber", 1996) e del divertissement "Confidence" (2003), con "Perfect Stranger" firma la sua undicesima prova cinematografica e forse, dopo il meritato flop di "Who's That Girl?" (1987), la peggiore.
Tuttavia Foley dimostra di conoscere molto bene il mestiere. La qualità visiva è di tutto rispetto e il livello complessivo della messa in scena è piuttosto buono. Purtroppo anche la regia si trova costretta a seguire la disonestà e la superficialità della sceneggiatura e del montaggio, subendone gli effetti deleteri. Infatti se il primo tempo del film è piuttosto interessante e capace di creare una certa aspettativa nel pubblico, il secondo tempo diventa assai noioso, banale e scadente. Non appassiona e quasi infastidisce, riuscendo ad esser al contempo lento ma affrettato, prevedibile ma improbabile, chiarificatore ma sconclusionato.
Le sequenze più affascinanti sono quelle dei titoli di testa e quelle dei titoli di coda (analoghe fra loro), tutto il resto è routine, anche se di buon livello.
Halle Berry e, in particolare, Bruce Willis compiono il proprio lavoro dignitosamente, ma senza particolare entusiasmo né partecipazione. I due attori si erano già incontrati e conosciuti sul set de "L'ultimo Boy Scout", diretto da Tony Scott nel 1991.
Si è dimostrato ancora una volta assai bravo Giovanni Ribisi, attore che calca la scena dall'età di nove anni e che, fra partecipazioni in serie e in film per la televisione e lavori cinematografici, può già vantare circa una settantina di interpretazioni. I film più celebri in Italia in cui lo abbiamo visto sono "Strade Perdute", "Salvate il Soldato Ryan", "The Gift", "Basic", "Lost in Traslation" e "Ritorno a Cold Mountain". Pur non rivestendo mai il ruolo del protagonista, Ribisi è sempre ben misurato e credibile, anche se spesso viene circoscritto a parti di giovane introverso, afflitto da problemi mentali o caratteriali. In ogni modo la sua è indubbiamente la migliore e la più convincente interpretazione del cast di "Perfect Stranger".
Rimane comunque assai gradita la presenza di Halle Berry, che fa un grande sfoggio della propria bellezza. Addirittura sembra che siano state tagliate dalla sceneggiatura, quindi mai girate, alcune scene più intime fra lei e Bruce Willis. L'attore avrebbe infatti dichiarato di sentirsi imbarazzato e in soggezione di fronte al fascino della collega.
Questo è il primo film ad essere girato al Ground Zero di New York dopo l'attacco terroristico del 2001.
Complessivamente "Perfect Stranger", è un filmetto che non presenta niente di originale né innovativo, con una trama sconclusionata, banale e pasticciata. Anche la tanto sbandierata novità dell'assassino che si cela dietro l'anonimato di Internet non è affatto nuova. Basti pensare a "Il Cartaio" di Dario Argento, al risibile "Viol@"di Donatella Maiorca o all'adolescenziale "Nickname: Enigmista" di Jeff Wadlow, senza dimenticarsi del divertente interludio di "Closer", fra Jude Law e Clive Owen.
Oltretutto il ritmo della narrazione, passato il primo tempo, sconfina nello sbadiglio e un film, che non dovrebbe aver nessun'altra pretesa se non quella di divertire, finisce con l'annoiare.
"Tutti hanno un segreto!", grida Miles.
Noi vorremo scoprire quello di alcuni autori, che riescono ancora a spillare soldi ai produttori.
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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 19/04/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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