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Corea del Nord, anni '70.
Siamo in un regime totalitario, che rievoca fantasmi di orwelliana memoria, sotto l'egemonia di Kim II Sung; suo figlio Kim Jong Il, futuro dittatore del paese, è Ministro della Propaganda del Partito.
Si narra che sia un grande appassionato di cinema, fan di Elizabeth Taylor e Sean Connery, si dice abbia una videoteca con più di 10.000 titoli. Questo futuro dittatore si prende anche la briga di scrivere un libro sull'importanza del cinema, in cui teorizza come necessaria "una trasformazione rivoluzionaria della pratica della regia" affinché questa diventi lo strumento principale della Propaganda e, attraverso i film, si trasformi la gente del popolo in veri comunisti.
C'è però un problema che gli impedisce di raggiungere il suo fine: in Corea del Nord non c'è una scuola cinematografica con registi all'altezza del compito. Bisogna assolutamente risolvere questa situazione diventata ormai insostenibile.
Niente di più semplice: nella vicina Corea del Sud c'è un'industria cinematografica molto florida con tanti bravissimi registi; perché non rapirne uno dei migliori, tanto a loro a che serve? Uno in più, uno in meno, non fa differenza.
Detto fatto, il proattivo Kim manda i suoi simpatici scagnozzi nel Sud a rapire il famoso regista sudcoreano Shin Sang-ok e sua moglie, l'attrice Choi Eun-hee. Shin è autore di una ventina di film di successo, definito in patria l'Orson Welles del cinema asiatico; la notizia del suo rapimento fa scalpore a sud, mentre a nord non se ne sa nulla.
Shin viene accolto nel palazzo imperiale dal simpatico Kim con tutti gli onori immaginabili, gli viene concesso il grande privilegio di vivere nella residenza estiva del dittatore, trattato con ogni genere di riguardo, con l'unico inconveniente di non avere il permesso di uscire.
Chissà perché gli ingrati ospiti dopo qualche giorno tentano la fuga, la qual cosa provoca, nel permaloso Kim, un certo risentimento. La coppia è rinchiusa in cella di isolamento, formata a dovere secondo i principi del comunismo e rilasciata dopo soli quattro anni. Shin e sua moglie, rieducati a dovere e un po' dimagriti, sono di nuovo accolti a corte del generoso Kim, che in tutta franchezza gli dice: "I nostri registi non hanno idee nuove, abbiamo bisogno di qualcuno che diriga una serie di film di propaganda".
Non lesinando sulle spese, mette a disposizione del regista un conto in una banca austriaca di due milioni e mezzo di dollari. La coppia trascorre così in Corea del Nord otto anni della propria vita, costantemente vigilati, senza la minima libertà ma nel lusso più sfrenato. In quel periodo girano moltissimi film, di cui lo stesso regista è molto soddisfatto. In effetti, con una pistola perennemente puntata contro, la concentrazione e la creatività non possono permettersi distrazioni e non è difficile credere che uno tra i quindici film che Shin ha girato per il Regime, "Pulgasari", sia ritenuto dal regista il suo miglior film di sempre.
È proprio durante il suo "capolavoro", però, che Shin riesce finalmente a fuggire, lasciando il film incompleto. Il regista continuerà la sua carriera in America con il nuovo nome di Simon Shen, realizzando nel 1996 anche un remake americano chiamato "Galgameth". Il volitivo Kim Jong Il invece non si perde d'animo: fa completare "Pulgasari" ad un altro regista e qualche anno dopo subentra al padre come simpatico dittatore della Corea del Nord.
Corea del Nord, dinastia di Koryo (918-1391 dC).
Il popolo langue, oppresso da un sovrano malvagio che gli ruba le pentole e arnesi per fabbricarsi armi. Il povero fabbro Takse lavora nella sua officina assistito da baldi giovani tra i quali Inde, innamorato di sua figlia Ami. Arriva il crudele governatore coi suoi sgherri, causando la ribellione di Inde e dei suoi amici, tutti segretamente partigiani del popolo. Ahimè, il saggio Takse viene imprigionato e muore per le legnate e la fame, non prima però di aver plasmato col riso ricevuto di nascosto da sua figlia una statuetta di un mostro bicornuto sulla quale invoca uno spirito misterioso.
Ami si riprende il cadavere dell'anziano genitore ed il pupazzetto mostruoso, il quale, come si scoprirà, non è altro che il mitico Pulgasari ("immortale"). La bella fanciulla un dì si punge il ditino con uno spillo, e una goccia di sangue cade sul pupazzetto-golem che, come per incanto, prende vita. Tosto si mette a sgranocchiare gli spilli del cestino da cucito della ragazza, simpatico e vivace come una specie di Pokemon. Ma i giorni da Pokemon finiscono presto, poiché Pulgasari ha un appetito formidabile per il ferro, che lo trasforma rapidamente in un vero e proprio mostro gigante e, visto che i soldati del governatore incombono, Pulgasari prende le difese dei contadini atterrendo i soldati cattivi ed infliggendo loro sonore batoste.
Vani sono i tentativi del perfido re e dei suoi generali di far fuori il mostro-torone di ferro, Pulgasari sbaraglia l'esercito e infine arriva a scovare il sovrano nel suo stesso palazzo, schiacciandolo finalmente come una formica.
A questo punto le cose potrebbero anche andare bene se non fosse che Pulgasari ha sempre fame e nessuna intenzione di cambiare regime alimentare. i contadini inizialmente lo sfamano facendogli mangiare gli strani cannoni del vecchio Re ma, resisi conto che il mostro non si sazierà mai, si vedono costretti ad accettare il fatto che ora hanno un problema peggiore persino del vecchio tiranno. Ami allora decide di ricorrere alla soluzione estrema, una mattina si mette a suonare una campana di ferro per attirare Pulgasari e quando il mostrone arriva per fare colazione con la campana Ami si infila dentro di essa venendo così inghiottita dal mostro. Lì invoca il mostro ordinandogli di lasciare in pace i contadini e le loro zappe.
L'esorcismo va a buon fine e il mostro si sgretola perdendo tutto il suo ferro, rimane solo il fantoccetto originale che si smaterializza e finisce nel grembo di Ami, morta sul mucchio di ferraglia.
Adesso a voi decidere quale delle due trame trovate più intriganti. Di certo è impossibile giudicare il film senza conoscere ciò che c'è stato dietro. Pulgasari è diventato, grazie soprattutto all'incredibile storia vissuta dal regista, un cult movie, l'unico film nord coreano proiettato all'estero. Uscito nel 1986, nessuno sembra sapere se il film sia stato effettivamente proiettato in Corea del nord, ma di certo il regime ha provato a venderlo all'estero e solo nel 1998 è stato proiettato in Giappone con discreto successo. Nelle sale di Seul comparirà solo nei primi anni del 2000, venendo quasi completamente ignorato dal pubblico. Il film in sé è ben lontano dal poter essere definito un capolavoro come affermato dallo stesso regista; trattasi di un accettabile Kaiju eiga (film di mostri giganti), caratterizzato da un messaggio fortemente politico.
Non a caso ribattezzato il "Godzilla" comunista, "Pulgasari" è la metafora nemmeno troppo nascosta del socialismo che sconfigge il capitalismo, dando speranza ai contadini e agli operai. Ma, come lo stesso comunismo, una volta ottenuta la vittoria diventa insostenibile da mantenere, soffocando a sua volta i contadini che aveva portato alla riscossa. Questo è il messaggio che il regista cerca di portare dietro all'apparenza del film di propaganda ed è forse questa la vera ragione per cui il film non è forse mai stato proiettato in patria.
Per lo spettatore occidentale, alcuni effetti speciali sono davvero ridicoli, in particolare le scene di guerra in cui il nostro mostriciattolo affianca gli esseri umani. Si salva la caratterizzazione del pupazzo che è stata fatta dallo stesso team di "Godzilla" del 1985 e anche gran parte degli attori, che sono stati importati dagli studios giapponesi. Inoltre l'enfasi riservata al messaggio politico può risultare un po' stucchevole.
Ad ogni modo, sarà per la sua genesi, sarà per un po' di sano feticismo, il film ha un suo fascino latente e il nostro kaiju ha una simpatia innata.
Molte le sequenze memorabili, tutte con protagonista Pulgasari: le scene iniziali del baby mostriciattolo, davvero adorabile, il primo attacco ad un soldato con la spada (terrificante), Pulgasari che mangia i missili del sovrano nemico e li risputa al doppio della velocità.
Appena il nostro eroe esce di scena però il film cala vistosamente: insopportabili le lunghe sequenze alla "Kurosawa" con i contadini che cantano e ballano (Kim Jong Il scrive, nel suo libro sull'arte del cinema, che ogni film deve contenere delle parti musicali).
In conclusione, ogni giudizio sul film è imprescindibile dalla realtà in cui è stato concepito, una realtà molto più assurda della storia stessa, che crea a prescindere un forte legame empatico tra lo spettatore e il film, un legame che è stato creato anche tra il regista e la sua stessa creatura. Un regista che non ha mai voluto disconoscere la sua opera, ma che anzi l'ha sempre amata visceralmente, considerandola il suo capolavoro assoluto. Un giudizio che potrebbe anche far sorridere, ma che nessuno di noi potrà mai capire a fondo, un giudizio che merita comunque il massimo rispetto.
Pulgasari è il lavoro di un "artista" costretto a creare con una pistola puntata sulla testa, ed è per questo motivo che non potrà mai essere valutato in maniera normale e oggettiva, perché non c'è normalità in tutta questa storia. Anzi l'unica cosa 'normale' alla fine è il film, ed è proprio questa normalità a diventare eccezionale.
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Recensione a cura di bungle77 - aggiornata al 30/03/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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