Recensione quando il giorno incontra la notte regia di Teddy Newton USA 2010
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Recensione quando il giorno incontra la notte (2010)

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locandina del film QUANDO IL GIORNO INCONTRA LA NOTTE

Immagine tratta dal film QUANDO IL GIORNO INCONTRA LA NOTTE

Immagine tratta dal film QUANDO IL GIORNO INCONTRA LA NOTTE

Immagine tratta dal film QUANDO IL GIORNO INCONTRA LA NOTTE

Immagine tratta dal film QUANDO IL GIORNO INCONTRA LA NOTTE

Immagine tratta dal film QUANDO IL GIORNO INCONTRA LA NOTTE
 

La Pixar sfoggia spesso nei cortometraggi una libertà espressiva totale, sulla scia del cinema come creazione di nuovi mondi, alla Méliès.
Ma la libertà dimostrata con il suo ultimo corto (scritto e diretto da un esordiente alla regia, in casa Pixar: Teddy Newton – teniamolo d'occhio) possiede un genio superiore: tanto da permetterci di affermare che, nei lungometraggi Pixar, a tale genio sono comparabili, per inventiva poetica, forse solo le intuizioni "chapliniane" da film muto della prima parte di "Wall-E".

"Quando il giorno incontra la notte" ha preceduto la visione in sala di "Toy Story 3". Si apre su di un gallo che canta, all'interno di una fattoria. Accompagnati dalla tecnica 3D (sfruttata magnificamente per tutta la durata del corto), un vertiginoso carrello all'indietro rasoterra ai campi racchiude la visione del paesaggio agreste entro quello che è un vero e proprio schermo nello schermo: una sagoma antropomorfa.
Da questo momento, per tutta la durata del corto, guarderemo attraverso lo "schermo nello schermo" costituito da questo e da un altro personaggio, che comparirà a breve. Sono i due protagonisti del film: li chiameremo "Giorno" e "Notte".
Attorno alle loro sagome, che costituiscono delle finestre, dei veri e propri schermi cinematografici, il quadrilatero dello schermo reale è riempito da un'unica tinta nera, equivalente al buio di una sala.
Entro le sagome, invece, possiamo assistere a immagini che si sviluppano in storie con la profondità del 3D, resa più che mai vertiginosa dallo stratagemma di racchiudere il tutto entro due sagome in continuo movimento (il che consente di modulare l'ampiezza del campo visivo: primigenio piacere di estendere l'immagine, esaltato anche dagli effetti tridimensionali).
Le sagome dei due personaggi sono sufficientemente "piene" da poter contenere immagini coerenti, e sono più o meno grandi quanto più o meno sono in primo piano (a volte eccedono lo schermo, o uno di loro lo riempie del tutto per brevissimi attimi).

Primordi e avvenire del Cinema, in unico corpo

Il film è visivamente complesso da seguire: difatti le scene, che si susseguono molto veloci, quasi sempre son due scene diverse tra loro (in ciascuna delle due sagome). Per restare alla metafora metalinguistica, si tratta spesso di due film in contemporanea. A queste due visioni contemporanee si aggiunge quella che le racchiude entrambe: ossia l'interazione fra i due personaggi Giorno e Notte, la quale si sviluppa in una storia autonoma, alimentata dalle immagini che si susseguono entro i loro due corpi-schermi.

Giorno e Notte non parlano mai. Gli unici suoni che sentiamo dentro il film (i quali tra l'altro, tranne una sola significativa frase pronunciata verso la fine da un'antenna radio, non sono mai parole) sono suoni "diegetici" alle vicende che vediamo scorrere entro le due sagome. A questi suoni si aggiunge la musica, extradiegetica, che appartiene alla vicenda di Giorno e Notte.
Un miracolo di complessità ridotta a una semplicità che si intuisce e funziona benissimo sin dal primo istante.
Dicevamo che Giorno e Notte si esprimono solo a gesti: con i movimenti delle loro sagome, con gli occhi e con la bocca (occhi e bocca sono gli unici elementi dei loro corpi che vediamo tratteggiati in dettaglio – quelli più espressivi).
La vicenda di Giorno e Notte è una tipica slapstick comedy, ed è Cinema Muto.
La trovata – geniale – di questo cortometraggio è di aver saldato in un unico film i primordi e l'avvenire del cinema: il MUTO e il 3D (le cui potenzialità "spettacolari" sono – giustamente – sfruttate appieno dalle immagini che vediamo susseguirsi entro le sagome-schermo costituite dai due personaggi).

Il cinema può parlare, con eguale efficacia, con le sue tecniche di base (due semplici sagome tratteggiate a matita, che interagiscono senza l'uso di parole), così come con quelle più avanguardistiche (il 3D). L'importante è farlo bene.
"Quando il giorno incontra la notte" lo dimostra, meravigliosamente, usando al contempo entrambe le tecniche. E per di più, racconta una storia meravigliosa.

La paura dell'ignoto e l'incontro con il diverso

Giorno si risveglia al canto del gallo. Si stiracchia (sentiamo un muggito); va in bagno (una piccola cascata); respira a pieni polmoni (il vento agita le fronde degli alberi); espira (il vento soffia forte tra gli alberi, nella direzione in cui Giorno ha espirato).
Dopo una corsetta (alcune persone fanno jogging), si imbatte in Notte.
Notte sta dormendo: dentro di lui, al chiaro di luna, delle pecorelle saltano placide una staccionata.
Incuriosito da quel paesaggio che gli è estraneo, Giorno lo scruta, poi osserva se stesso... e si scopre diverso. Fa dei tentativi per spiegarsi il fenomeno (il paesaggio infatti è lo stesso: prati di campagna), ma non ne viene a capo: quando frappone una parte di sé tra noi spettatori e Notte, le pecorelle non ci sono e sulla staccionata brilla il sole. La cosa lo spaventa un po'.
A noi invece appare chiaro che il film sta tematizzando la relatività, sotto la forma letterale del "guardare la stessa cosa sotto due luci diverse".

Giorno una buona volta si decide: tocca Notte per svegliarlo. Mentre Notte si ridesta, le pecorelle smettono di saltare la staccionata e si disperdono spaventate.
Adesso i nostri eroi sono entrambi svegli: estranei l'uno all'altro, si sogguardano sospettosi, girando in cerchio senza sfiorarsi. In contemporanea, sentiamo le cicale (dentro Giorno) e una civetta (dentro Notte), mentre vediamo sia il sole, nell'uno, sia la luna, nell'altro.
La luna incuriosisce Giorno. Prova a toccarla, e la sua prima reazione è di scherno. La diversità, quando non è compresa, viene derisa.
Giorno e Notte sono come due bambini che non si conoscono, e si rapportano con timidezza e diffidenza. Così fanno gli adulti. Ma negli adulti, la paura del diverso può generare ben più gravi fenomeni. Fenomeni mostruosi. Ed è alludendo a quei mostri (razzismo, xenofobia) che questo magnifico corto parla al suo pubblico adulto.

Notte, offeso dalla presa in giro della luna, mostra a Giorno un cielo stellato.
Ha inizio l'ingaggio. La prima fase di interazione assume la forma della sfida.
Giorno gonfia il petto, ma riesce solo a provocare un temporale.
Notte ride (un nugolo di paperelle lo attraversa starnazzando). Giorno si arrabbia (un ronzare di api). Notte passa alle mani (si alza in volo uno stormo di gru). I due sono passati allo scontro fisico. Le percosse di Notte provocano in Giorno la caduta di un abete ad opera di un tagliaboschi (quando l'abete collassa al suolo, Giorno ne segue la caduta).
Ogni dettaglio è curatissimo: il prato su cui avviene la lotta ha i fiori schiusi, entro Giorno, o racchiusi in boccioli, entro Notte.
Ben presto i due finiscono in fondo al mare, precipitando insieme da una scogliera.
Tornati sulla terra, sulla spiaggia Notte vede in Giorno una ragazza prendere il sole. Ne è folgorato: cerca di "appropriarsene" ma, saltando sopra Giorno, ora quello stesso tratto di spiaggia è deserto, di notte.

Questo episodio fa sì che Giorno si renda conto delle proprie capacità: da ora, l'interazione si fa costruttiva. Giorno dunque trascina Notte verso una piscina attorno alla quale prendono il sole e si divertono ben sei ragazze. Notte strabuzza gli occhi estasiato (in lui un coyote ulula felice alla luna); ancora una volta, prova a sostituirsi a Giorno buttandolo fuori dallo schermo. Ma adesso la piscina, di notte, è coperta da un telo e le ragazze sono scomparse.

Anche Notte diviene allora creativo. Desta la meraviglia di Giorno con lo splendore di tante lucciole. Giorno osserva contento. Notte, ormai amico, lo sollecita a fare di meglio. E Giorno si produce in un arcobaleno.
Non è più una sfida: è un gioco! E occorre essere in due, perché sia vero gioco...
Il gioco nutre la conoscenza reciproca, solidifica l'amicizia.
L'arcobaleno ha estasiato Notte, che ora fa esplodere fuochi d'artificio... I due son sempre più presi dalla loro creazioni (che ormai producono sempre più agevolmente). Giorno dà vita a un'intera pattuglia acrobatica; Notte inventa il cinema: un drive-in.
Giorno, dopo essersi fermato un attimo ad assistere, mangiando pop corn, inventa Las Vegas.
Ma Notte, che ormai sa il fatto suo, gli fa capire che Las Vegas è molto meglio di notte, con le sue luci. Giorno ne conviene: i due danzano, e mentre girano su se stessi tenendosi per mano, Las Vegas sul fondo è insieme notturna e diurna, in sincronia con la parte inquadrata entro ciascuno dei due.

Durante la danza Giorno si allunga nel deserto, a ricomprendere un'antenna radio: è da lei che sentiamo pronunciare la frase, didascalica, che racchiude il senso dell'opera:

"Paura dell'ignoto!
Hanno paura delle nuove idee. Sono pieni di pregiudizi. Non si basano su qualcosa di reale ma sul . Quello che fanno, è attenersi a ciò che è familiare.
Sapete... per me, le cose più belle di tutto l'universo, sono le più misteriose
".

Giorno e Notte sorridono, d'accordo.
Queste parole possono essere lette anche come un inno alla sperimentazione in campo artistico.
Proprio mentre sono in ascolto, il sole sorge dentro Notte, e tramonta dentro Giorno.
I due sono abbracciati: li divide un'unica linea che attraversa verticalmente lo schermo. Metà sole la percorre in salita, l'altra metà in discesa, sino a che le due metà di sole si incontrano. Nel frattempo i colori del paesaggio si son fatti sempre più uniformi, sino a coincidere.
Giorno e Notte si osservano stupefatti, assumono un'espressione di pura gioia ed esaltazione... e si abbracciano come vecchi amici che si ritrovano dopo tanto tempo.

Intanto, il sole dell'uno ha continuato la sua ascesa, l'altro la discesa.
I colori si invertono; Giorno diventa notte, e Notte giorno. L'incontro-condivisione è durato pochi attimi.
Quando termina l'abbraccio, hanno dapprima un sussulto nel ritrovarsi diversi, poi, subito compreso cosa è successo, si indicano a gesti che parlano chiaro: "io son diventato com'eri tu, e tu com'ero io". Non ne hanno timore.
E' ovvio che il film allude, anche, al colore della pelle.

L'idea che sostiene il cortometraggio è molto lirica: la possibilità che il giorno e la notte s'incontrino per un istante in un'alba/tramonto comune, lungi dall'essere sdolcinata, è un inno al Sogno di cui il cinema – quello migliore – è sempre un potente creatore.
Il sogno di potersi incontrare e abbracciare in un momento magico in cui la nostra diversità scompare e condividiamo un'intima unità, per poi arrivare a riconoscere possibile persino invertire i punti di vista, e vivere ciò che abbiamo invidiato all'amico, cui lasciare vivere, contenti, ciò che sinora è stato solo nostro.
Ci son riusciti questi due buffi bambinoni; ci riescono i bambini: possibile sia, per noi adulti, tanto difficile?

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Recensione a cura di Stefano Santoli - aggiornata al 11/11/2010 11.05.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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