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"Eppur si muove", "civis romanus sum", "alea iacta est", "divide et impera": ci sono frasi fatidiche, del genere di queste, che sembrano segnare il destino delle genti e degli individui. Ne è piena la storia, e ben lo sanno le religioni e i grandi poteri politici fondati sulle ideologie, che le usano per asservire i loro sottomessi (fedeli, sudditi, o cittadini che siano) con la forza della suggestione. Lo sanno pure i predicatori delle sette diaboliche, quando iniziano le loro liturgie con frasi minatorie del tipo: "Nel nome di Satana.".
Ebar Soraya iti dogon, che in mandingo significa "Quando sei nato non puoi più nasconderti", suona probabilmente come una di quelle frasi: una maledizione, o un anatema, di fronte al quale l'uomo, nella sua pochezza, si sente soccombere di fronte allo strapotere del fato, senza via di fuga; in quello stato di annullamento di fronte alla grandezza del divino che Feuerbach battezzava per sempre come "alienazione". La cosa sta a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che l'uomo è identico a qualsiasi latitudine sotto la luce del sole; e che riti, miti e insegnamenti non hanno bandiere, nel primo e nel terzo mondo; se è vero che anche qui la sapienza ancestrale dell'inconscio collettivo passa attraverso frasi "fatidiche " come quella sopra citata.
La quale poi assurge addirittura a nome di battesimo, prefigurando il destino di chi lo porta in chiave onomantica! Nomen est omen... nel tuo nome il tuo destino, come succede col nome Giovanni: Javeh ahnan... e cioè, Dono del signore... Dio è stato misericordioso! Nel film Ebar soraya... è il nome di un povero immigrato di colore conosciuto in maniera fortuita, che rimane impresso nella mente del giovane protagonista.
Il ragazzo, di ricca famiglia borghese padana, cade in mare durante una minicrociera col padre, e viene salvato da un barcone di poveri clandestini, abbandonati in mare dagli scafisti. E di qui comincia il dramma, ma anche la sua palingenesi. A contatto con un mondo di disperati diventa innanzitutto "altro dalla sua famiglia", e cioè finalmente "adulto" (e la madre piange proprio per questo... ma lo facessero tanti ragazzi d'oggi!).
Ad un tempo, poi, conosce la realtà del mondo... che non è solo quello avanzato, ma anche il terzo, povero e lacero, al limite della sopravvivenza; che ogni giorno mira a sfangarla come il piccolo protagonista, di notte, in mare, gridando invano al padre, nell'attesa di affogare! La drammatica vicenda lo induce a una coscienza sinora sconosciuta, sensibilizzandolo a nuovi concetti di solidarietà: "Dove è il problema? - dice ai genitori - Perché non li adottiamo?" con l'ingenuità del Candide volteriano, stupito dalle bassezze del mondo.
Per concludere, infine, pessimisticamente, con un nulla di fatto: lui stesso e la giovane amica, prostituta bambina per necessità, seduti e piangenti per terra, a cospetto di un futuro che non cambierà. Questo il succo del racconto, intriso di doloroso e rigido realismo, come sempre nei lavori di Giordana. Ma il film non è solo questo, come sostengono alcuni detrattori, muovendogli ingiuste critiche sul piano formale; come se la decima musa, l'arte cinematografica, si riducesse a meri aspetti tecnico-iconografici, di piani e di riprese (convinzione diffusissima tra i giovani cinefili post-sessantottini di oggi, che con tale pseudo-cultura evitano di studiare e di leggere!!).*
Il cinema, ahi loro, è ben altra cosa: metafora del reale per sua essenza, non potendo "fotografare" le descrizioni tipiche del racconto letterario. In altre parole, mentre questo, al di là del momento descrittivo, e cioè raccontati tutti i preamboli, può ricorrere o meno alla metafora (soprattutto in poesia), il cinema è solo immagini! E dunque deve invertire il processo: attraverso le immagini fare scaturire il racconto! Ove ci riesca diventa sterile cercare i meri difetti di forma (magari uno strabismo di Venere!); cosa che fa abitualmente chi non ha abbastanza spessore, attenzione o profondità di pensiero per penetrare i significati del racconto attraverso il filtro dell'immagine (in movimento)!
Chi invece sia in grado di farlo, troverà nel film di Giordana un affresco grandioso dell'umano e dell'epoca attuale: dove i disgraziati sulla tolda del barcone abbandonato simboleggiano tragicamente la povertà del terzo mondo (con toni da inferno dantesco), il sodalizio profondo e disilluso del protagonista col giovane mariuolo rumeno incarna il valore dell'amicizia (con accenti da epos omerico), mentre l'inquietante scoperta del "mondo come è" nel giovane benestante tocca da vicino l'esperienza dolorosa di ogni adolescente. Il tutto con una suprema delicatezza e sobrietà nella rappresentazione dei personaggi, assolutamente credibili anche sotto il risvolto puramente psicologico (i genitori, i loro amici, i giovani rumeni, il sacerdote benfico).
Una storia di vita e di ambiente di respiro universale ed eterno, con una rappresentazione globale di un paese e di un'epoca, ma al tempo stesso del mondo intero, come succede nel grande romanzo letterario... dove contano infine i significati, e non l'angolazione delle riprese!
* vedi l'ex ministro della cultura Veltroni! Né laureato, né diplomato... ma semplice "operatore cinetv!!"
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 14/02/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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