"Quei loro incontri" non è un "film" come gli altri, ma un oggetto non identificato che si basa esclusivamente su un rapporto monolitico e personale con la ricerca della comunicazione visiva e (ahimè) letteraria.
Presentato in concorso alla 63esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ha ricevuto ampi consensi da parte della critica, e ricevuto dalla giuria il leone speciale per la miglior regia.
Daniele Huillet e Jean Marie Straub non sono certi autori alle prime armi, ed è facile identificarli come artisti controcorrente che si muovono nei territori della sperimentazione, sfiorando a tratti l'avanguardia e il modo manich eistadi "fare cinema" che ha i suoi risvolti maggiori, per esempio, nella factory di Andy Warhol o nella ricerca comunicativa del francese Godard, soprattutto quello più oltranzista e velleitario.
"Quei loro incontri" si basa su cinque episodi tratti dai "Dialoghi con Leucò" di Cesare Pavese, testo scritto dall'autore nel dopoguerra, tra il 1945 e il 1947, opera di grande coraggio e spessore che si basava su una riflessione "arcaica" della vita e della morte, della guerra e del destino delle singole persone, preferendo al realismo solenne dei pensatori di quegli anni in Europa un approccio radicale e atemporale con i Miti dell'antica Grecia.
Non sarebbe ardito ritenere che per l'epoca in cui fu scritto, tutto questo risultasse ben poco ortodosso e divergente dal pensiero corrente.
Huillet e Straub sembrano perfettamente consapevoli dei compromessi dell'Arte Cinematografica, e dei limiti di libertà espressiva dell'artista nel confronto con tutto ciò che viene ostacolato o privato della sua forma originaria.
Il punto è che "Quei loro incontri" è un'operazione velleitaria che costringe lo spettatore a provare rimorso per la sua tangibile incapacità di coglierne il senso.
Se davvero i due autori sono - a quanto dicono - totalmente liberi di approdare a un'idea di "cinema" tanto indipendente da risultare anarchico ad ogni forma di integrazione con il conformismo, verrebbe da chiedersi che ci facevano in concorso in un festival come quello di Venezia, e per giunta autorevolmente premiati dalla giuria per l'ipotetico "coraggio".
Se poi dovessimo accrescere la dimensione di una società che non pensa e non legge (tantomeno il povero Pavese) e che è astrusa da ogni forma di arte sperimentale, questo film ha sicuramente sbagliato obiettivo, perchè in questo modo lo spettatore comune si allontana idealmente e culturalmente da tutto ciò che appartiene alla sperimentazione pura e che in realtà, proprio per la sua ricerca espressiva, dovrebbe preservare un certo interesse "di culto".
"Quei loro incontri" dimostra invece un generale disprezzo per lo spettatore, costringendolo a sentirsi "depurato" dalla sua percezione, e perdendo fra l'altro di vista l'occasione di esprimere l'importante messaggio del testo di Pavese.
Huillet e Straub hanno deciso di compiere un'operazione radicale, com'è nel loro stile, affidando a cinque coppie composte da personalità qualunque (cioè non attori, ma semplici e dimessi paesani della campagna Maremmana, fra cui un capostazione) il compìto non facile di rileggere, in una fissità rigorosa quanto questo tipo di cinema, i "Dialoghi" di Cesare Pavese.
Un film insopportabile, un tentativo snobistico e irritante di rovesciare il concetto dell'arte al servizio di una sorta di Oratorio all'aperto, e che comprensibilmente è astruso forse sia agli spettatori comuni sia di quelli che - anche attraverso un cinema d'elite - tentano comunque di comprendere la qualità intrinseca delle direzioni artistiche più spiazzanti.
Un'opera che ha ricevuto accoglienze fredde dal pubblico - com'era prevedibile - e che invece è stato riconosciuto come un "capolavoro" dagli addetti ai lavori, in sostegno di questa corrente di pensiero che vuole liberare ogni tipo di arte dall'influenza malsana della sua funzione "commerciale".
Certo, se ne potrà cogliere il paradosso, il gusto della dissacrazione anche nelle dichiarazioni ufficiali (come quella, esecrabile, in favore del terrorismo: "finchè esisterà l'imperialismo americano non ci saranno mai troppi terroristi") per comprendere meglio la "nobiltà" di pensiero di questa coppia di autori francesi.
"Quei loro incontri" è il segno più aberrante dell'inconciabilità del mezzo cinematografico con lo spettatore, e probabilmente era questo il primario obiettivo dei registi.
Se poi davanti al rifiuto ideologico per questo film diventeremmo tutti più stupidi e conformisti, non può, una volta tanto, che farci piacere.
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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 10/04/2007
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