Recensione quel che resta del giorno regia di James Ivory Gran Bretagna, USA 1993
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Recensione quel che resta del giorno (1993)

Voto Visitatori:   7,98 / 10 (61 voti)7,98Grafico
Voto Recensore:   9,00 / 10  9,00
Migliore attore straniero (Anthony Hopkins)Migliore attrice straniera (Emma Thompson)
VINCITORE DI 2 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Migliore attore straniero (Anthony Hopkins), Migliore attrice straniera (Emma Thompson)
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locandina del film QUEL CHE RESTA DEL GIORNO

Immagine tratta dal film QUEL CHE RESTA DEL GIORNO

Immagine tratta dal film QUEL CHE RESTA DEL GIORNO

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Immagine tratta dal film QUEL CHE RESTA DEL GIORNO

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James Ivory nasce a Berkeley in California il 7 giugno del 1928 da padre di origine irlandese e madre discendente da una famiglia anglo- francese; dotato di grande sensibilità e preparazione culturale ha basato la scelta dei suoi film sulla complessità e sulla raffinatezza dei testi letterali dai quali ne ha tratto le trasposizioni; da sempre avvalsosi della preziosa collaborazione della scrittrice Ruth Prawer Jhabvala, sceneggiatrice della maggior parte dei suoi film, Ivory raggiunge la fama internazionale nel 1985 con "Camera con vista" uno spaccato dell'Inghilterra del ventesimo secolo per poi tornare all'adattamento di tre romanzi dall'ambientazione decisamente anglosassone: "Maurice" e "Casa Howard" di Edward Morgan Forster e "Quel che resta del giorno" dello scrittore giapponese Ishiguro Kazuo; è di quest'ultimo lavoro che parleremo in questa sede.

Cosa resta del giorno? Proviamo a domandarcelo quando intorno a noi si è fatto buio; il tramonto è piacevole da vedere ma è un momento triste, segna il passaggio tra la bellezza dei colori ed il nero delle tenebre che ci avvolgono in attesa di un alba nuova, di un nuovo sorgere del sole; ma c'è qualcosa paragonabile all'imbrunire della natura, qualcosa che ad un certo punto della nostra esistenza può avvenire dentro di noi: il tramonto dell'anima. E così, un giorno, ci si mette in viaggio su una lussuosa automobile e ci si immerge nel paesaggio e nelle riflessioni, una di queste dà il titolo a questo magnifico film.

La voce fuori campo di Miss Kenton (Emma Thompson) ci porta a conoscenza di un periodo (venti anni prima) nel quale la donna ha prestato servizio come governante nella bellissima Darlington Hall al fianco del maggiordomo Mister Stevens (Anthony Hopkins); siamo negli anni che precedono la seconda guerra mondiale, il proprietario della villa, Lord Darlington (James Fox), è un nobile inglese simpatizzante della Germania di Hitler e per questo, spesso, intrattiene rapporti, organizzando cene e balli, con numerosi ed influenti diplomatici tedeschi; la voce si interrompe e le immagini ci riportano al presente, mister Stevens, ancora in servizio nella villa, confessa al nuovo proprietario, l'americano Mister Lewis (Cristopher Reeve) la volontà di incontrarsi con l'ormai ex governante Miss Kenton per convincerla, considerate le sue indiscusse qualità, a tornare a Darlington Hall; "sua signoria" approva e concede una breve vacanza a Mister Stevens cedendogli in prestito la sua Bentley. L'uomo si mette in viaggio ed apre il libro dei ricordi.

Il soffocante universo domestico di Mister Stevens è racchiuso tra le mura di Darlington Hall: la ragione della sua esistenza è l'abnegazione al lavoro per il quale ha rinunciato a qualunque impulso alla vita; il senso del dovere e l'assoluta fedeltà riposta nei confronti del padrone sono sufficienti a far sì che l'uomo conduca una vita annaspando nel niente, carezzando gli anni che inesorabili passano, a fare della propria vita una rinuncia. Ma anche il metallo più resistente se viene inciso con una punta di diamante si intacca, e l'arrivo a Darlington Hall di Miss Kenton ha l'effetto di un'onda d'urto provocata dallo spacco di un tuono: attraversa l'incredibile corazza di mister Stevens e gli arriva al cuore.

Costantemente alla ricerca di una identità culturale, Ivory la trova nella grande tradizione letteraria europea che sempre lo ha affascinato, soprattutto dopo l'incontro con la già citata scrittrice tedesca che gli ha permesso di mettere a confronto delle realtà tanto diverse come quella americana, quella indiana (il regista ha girato due film in India ed un documentario sulla città di Delhi, essendone rimasto piacevolmente colpito) e quella europea; nessuna meraviglia quindi che il regista americano abbia scelto il percorso psicologico e sentimentale del protagonista di un romanzo di chiara matrice anglosassone scritto da un oriundo giapponese.

"Quel che resta del giorno", per merito anche della straordinaria interpretazione di Hopkins e della Thompson, è il film che meglio ha descritto e trasmesso quello che da sempre ostacola la genesi di un amore: l'impossibilità di confessare i propri sentimenti. E' questo autismo sentimentale che regala i momenti più belli del film, sin dalla scena in cui Miss Kenton sorprende Mister Stevens a leggere un libro nella sua stanza ed incuriosita ed attratta gli si avvicina fino a quasi sfiorarlo: la frase "questi sono i miei momenti di intimità, li state invadendo" pronunciata dall'uomo, è accompagnata da uno sguardo profondo, che rivela l'implosione del desiderio, la totale repressione delle passioni; la stessa inibizione soffocherà Mister Stevens venti anni dopo nel commovente addio alla fermata dell'autobus che riporta a casa Miss Kenton.

Il film si dispone su due piani paralleli: quello storico, in cui il nazismo incombe minaccioso sull'Inghilterra e sull'intera popolazione mondiale, e quello sentimentale, che predomina, lasciando la tragedia della possibilità di un conflitto sullo sfondo e mettendo in primo piano le storie individuali del microcosmo racchiuso nei saloni e nelle cucine di Darlington hall.

Si potrebbe parlare dell'interpretazione degli attori, di James Fox, di Cristopher Reeve, di Hugh Grant, della bella Lena Headey, attori di tutto rispetto ma che qui ruotano come satelliti intorno a due stelle di straordinaria brillantezza come Anthony Hopkins ed Emma Thompson, autori di un'interpretazione magistrale, incredibilmente ignorata durante la cerimonia degli oscar nonostante le nomination ottenute.

La regia è estremamente raffinata ed elegante, tanto da sfiorare il calligrafismo, coadiuvata da una sceneggiatura impeccabile e da una asciutta costruzione della struttura narrativa del film dove ad emergere sono le inquadrature ed i dialoghi.

Un film quindi malinconico, a tratti commovente, che scava nell'animo umano fino ad arrivare ai misteri reconditi dei sentimenti: Mister Stevens rappresenta metaforicamente il colombo che nel finale rimane imprigionato all'interno dell'enorme salone di Darlington Hall, ma dove l'animale, dopo una serie di tentativi, trova una finestra aperta e riesce a volare alto nel cielo; le remiganti dell'uomo non sono invece mai riuscite ad aprirsi: nessun volo spiccato, il suo gelido cuore non glielo ha permesso.

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Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 03/03/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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