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"Qualche uomo ha il dono particolare di saper rinunciare una volta a se stesso, prima che la passione ed il vizio lo conducano verso un altro essere umano o verso un'idea umana"
Da "Il cuore è un cacciatore solitario" di Carson McCullers
Un romanzo, un film, entrambi rendono evidenti gli schemi oltre i quali un meccanismo può rompersi. L'inizio è già la fine, o meglio ne annuncia l'imminente sipario. Tutti i protagonisti, a cominciare dall'inquietante soldato E. Williams, sono destinati a soccombere metaforicamente nello spazio ristretto e monolitico di un campo militare della Georgia. In realtà una vera e propria fine è predestinata a due soli personaggi, ma l'assenza di contatto con il mondo esterno rende tangibile la prospettiva di un epilogo annunciato.
Scritto nel 1940, "Riflessi in un occhio d'oro", il romanzo di Carson McCullers, suscitò all'epoca della sua uscita diverse polemiche. Come osava questa femminista ante litteram, più o meno dichiaratamente bisessuale, sfondare una porta "intoccabile" come quella dell'esercito? E come poteva, davanti a una guerra già scoppiata, infangare l'eroismo di tanti ragazzi partiti per il fronte per una "nobile causa" con una torbida storia di perversioni e omosessualità latente? C'era forse già nella McCullers l'allusione a una fine, al tramonto di un'epoca, il giudizio impetuoso e liberale nei confronti di una generazione vinta, annientata, perduta nella guerra.
E' attraverso una strana congettura coniugale che nasce "Reflections in a golden eye", nella rievocazione di una vicenda realmente accaduta su un soldato arrestato in una base militare con l'accusa di voyeurismo (il marito della McCullers conosceva a fondo gli ambienti militari e raccontò alla moglie questa storia).
26 anni dopo fu la stessa autrice a occuparsi della sceneggiatura del film, poco prima della sua scomparsa, in collaborazione con Tennessee Williams. Ovviamente gli anni non passano invano e Hollywood poteva affrontare più liberamente certe tematiche senza correre il rischio di passare sotto il visto aberrante della censura.
La storia racconta la vita tediosa all'interno di una base militare attraverso le caratterizzazioni di alcuni insoliti personaggi. Il capitano Penderton, sposato con la bella Leonora, è un uomo complesso, ambivalente, fortemente compromesso tra il dovere militare - spesso inferiore alle sue ambizioni - e un difficile rapporto coniugale. Leonora, che ha una relazione con il suo miglior amico, il maggiore Langdon, appare come una trentenne borghese "condannata" a una realtà a cui non vuole appartenere. E' facile pensare - leggendo il romanzo - che la McCullers provi un'innata solidarietà femminile verso questa moglie fedifraga, al contrario di Huston (il regista del film) che, da autentico misogino, ne accentua la peccaminosità, rivelando soprattutto la sua aridità affettiva, la sua crudeltà pregiudiziale.
Diciamo che questo è l'aspetto più interessante del film rispetto al romanzo, perché il testo originario si soffermava maggiormente sulla solitudine di una donna che si sente disprezzata dal marito. La McCullers evita di accanirsi su di lei. Leonora è in questo senso antitetica alla fragilissima Alison, "amica" e moglie del suo amante, il maggiore Langdon.
L'aggressività espressiva di Leonora contrasta con l'atteggiamento vibratile e depressivo di Alison, ma in un certo senso questi due opposti femminili sono antitetici e complementari. Se Leonora soffre a modo suo per l'indifferenza del marito, Alison cerca l'autodistruzione come difesa remissiva ai tradimenti del consorte. E' probabile che questa giostra sconfinata di insoddisfazioni porti due donne diverse e rivali a cercare un difficile contatto che non avranno mai.
Alison è depressa, costretta spesso a lunghi ricoveri in lussuose cliniche private e viene assistita da un eccentrico filippino, Anacleto, che sembra aver penetrato ogni minimo segnale emotivo della donna, ricettivo a tutte le sue difficoltà. E' talmente bravo a capirla che suscita la gelosia e l'antipatia di Langdon, forse indirettamente conscio delle sue responsabilità morali. Langdon si sente in qualche maniera giudicato più da Anacleto che dalla stessa moglie.
In tutta questa galleria di nevrosi e insoddisfazioni, prevale la figura ombrosa e inquieta di un introverso e bellissimo soldato, E. Williams, che diventa suo malgrado oggetto del desiderio del capitano Penderton, malgrado il giovane sia feticisticamente attratto dalla conturbante Leonora.
Il personaggio di Penderton, pensato in un primo momento per una personalità caratteriale fragile come quella di Montgomery Clift (morto tragicamente poco prima delle riprese) è assai sfaccettato. E' un uomo alla deriva come uomo e marito, soggiogato sia da una repressa omosessualità sia da una forma frustante di narcisismo, che collima con l'accettazione quasi passiva di un potere che non riesce obiettivamente ad esercitare.
Il titolo del film e dello stesso romanzo alludono a un dipinto di Anacleto che riproduce un uccello variopinto con un occhio d'oro frontale, la cui simbologia allude proprio al soldato Williams ed evoca vagamente "L'uccello di fuoco" di Stravinskij, scritto nel 1914.
"... un uccello di fuoco appare nel giardino segreto volteggiando tra gli alberi ..."
Dalla trama del balletto "L'uccello di fuoco" di Igor Stravinskij
Premesso che il testo della McCullers è un capolavoro della letteratura americana e il film di Huston "solo" un buon film, la riduzione cinematografica offre ad alcuni attori, soprattutto Marlon Brando e Liz Taylor, la possibilità di esprimersi davvero al massimo. Le critiche hanno messo in rilievo soprattutto la grottesca enfatizzazione dei personaggi rispetto al contesto originario, che in poche parole esprimono soprattutto la riprovazione morale di Huston, rispetto magari alle intenzioni della McCullers e di Tennessee Williams.
Huston calca maggiormente la mano sull'aspetto torbido della vicenda, facendo quasi trionfare la disonestà "virile" del maggiore Langdon rispetto allo stesso Perderton.
Al tempo stesso, la figura del soldato Williams, "dissociato" perenne che vive in simbiosi con un celato disprezzo verso l'umanità, diventerebbe ai giorni nostri una specie di icona gay, viste le sue frequenti notturne cavalcate a cavallo, in costume adamitico.
Huston stesso aggiunge una sequenza, quella delle frustate di Leonora al marito, dopo che l'uomo ha percosso duramente il suo cavallo, inesistente nel romanzo della McCullers.
"Riflessi in un occhio d'oro" è pertanto una storia di segreti inconfessabili, di reticenze, di repressioni morali del tutto pertinenti al più classico degli ambienti militari.
Se il film non riesce a trasmettere compiutamente questo vortice di pensieri celati (un regista contemporaneo come Malick saprebbe farlo, sicuramente) certamente non è altrettanto sprovvisto sul piano tecnico e sull'uso magistrale del mezzo cinematografico.
Sia le immagini delle cavalcate notturne del soldato, sia la terribile, bellissima sequenza finale mettono in luce il talento sperimentale di Huston, la capacità di sostenere desiderio e magnetismo, orrore e (s)confessione in due diversi, emblematici riflessi.
Il film, che a tratti può sembrare grottesco o delirante, ha in realtà una sua personalità ben distinta, che lo rende a tratti memorabile. L'unicità del tema trattato rivela alla fine ben poche affinità con altri film, forse solo con il più recente "Streamers" (1983) di Robert Altman.
Il rapporto tra Penderton e il soldato semplice è spesso un atto di supremazia, di sottomissione, di codici militari applicati. Tutto questo mette in rilievo la rigidità univoca del capitano rispetto ai suoi torbidi desideri, mentre il giovane Williams appare introverso e riflessivo, malgrado coltivi un segreto spaventoso che rivela non certo la sua remissività, ma una sorta di crudeltà istintiva.
La negazione della natura umana qui finisce inevitabilmente per catturare il voyeurismo, a differenza dell'esibizionismo disperato di Alison e dei suoi "folli" gesti atti a sollecitare, odiosamente, la giusta attenzione per il suo dolore "privato". E' evidente che sia il capitano Penderton che il suo "oggetto del desiderio" hanno qualcosa in comune: entrambi cercano di dominare i loro istinti che cercano di restringere nello spazio ristretto dei loro rispettivi ruoli. Per una grande nazione come l'America tutto questo doveva essere sconcertante, ma quando il segreto sul passato di Williams viene allo scoperto, è facile ironizzare amaramente sulla figura tipica di un soldato yankee. Perché è logico credere che il lato più oscuro della personalità del ragazzo sia più ammissibile rispetto all'attrazione sessuale "proibita" di Penderton. Un uomo potenzialmente in grado di uccidere sarà sempre e comunque un soldato idoneo alla causa degli eserciti.
A Carson McCullers, autrice di altri romanzi straordinari come "Il cuore è un cacciatore solitario" e "La ballata del caffè triste", va il merito di aver raccontato le fragilità di un "potere" messo a nudo al di là dei ruoli prestabiliti, e della forza annientatrice dei cosiddetti "subalterni".
A Huston, forse, anche solo il coraggio di aver trasmesso agli spettatori i cliché divistici ed esistenziali di alcuni straordinari interpreti, come l'aderenza permissiva di Brando, la sguaiata inquietudine della Taylor, le nevrosi inibite di Julie Harris.
Per certi versi qualcosa di vicino all'Idea Umana idealizzata dalla scrittrice più invadente e corrosiva d'America.
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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 27/05/2011 14.53.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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