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Ginger Rogers e Fred Astaire sono stati due maestri del ballo. Clive Nicoll ed Elsa Cast (Adrien Brody e Sarah Polley), sono due avidi e ostinati maestri dello splicing, l'unione di parti di DNA presi da organismi differenti. Gli scienziati hanno tra di loro un legame sentimentale. Clive è un uomo che difficilmente dice di no, e lei (sopraffatta dall'odio e dall'avversione per la figura della madre) è tanto riluttante all'idea di avere dei figli veri, quanto intraprendente e risoluta nello sperimentare il complicato concepimento in vitro di un feto misterioso che sembra un bulbo atipico, scisso in due parti uguali ma di sesso opposto, chiamate appunto Ginger e Fred.
L'embrione ricavato con un esperimento parallelo grazie all'introduzione di cellule umane viene al mondo, e ha sembianze un po' bizzarre. La testa è quella di un coniglio spellato, e saltella come un cangurino con le zampe di gallina. Elsa riversa su di lui tutto l'amore negato alle altre creature umane, idealizza l'opera come fosse qualcosa di più di un animale domestico, e lo tratta come un vero e proprio frutto del suo grembo.
Il copione, intanto, espande la già esasperata componente nevrotica e sciocca dei due poveri amanti, in preda a vere e proprie "follie d'inverno", visto che fuori è tutto innevato. Poi ci mette al corrente che il "lui" è in realtà una "lei" a cui viene dato il nome di Dren, ovvero la scritta al contrario di N.E.R.D. Quest'ultimo è l'acronimo del centro di ricerca presso il quale lavorano gli studiosi, ma anche la prima parola che l'esemplare, già bambina, compone (segnale primitivo di intelligenza) con le lettere dello Scarabeo, e ha, come sappiamo, il classico significato di inetto, sfigato (che l'autore abbia voluto dirci qualcosa?).
Il fascino e al contempo il limite della frastagliata sceneggiatura di Natali è quello di aprire le porte a tanti argomenti quali il rapporto tra gen(etica) e scienza, biologia e finezze scientifiche, tragedie familiari irrisolte e maternità proibite, psicanalisi e filosofia, e di non riuscire a trattarne nessuno in modo compiuto. Giusto qualche spruzzata qua e là che suscita molto interesse ma che fa rimanere un po' con l'amaro in bocca visti i deboli risultati.
Nonostante si parli quasi continuamente di nuove scoperte, di modelli multispecie, di morfogeni e di organismi all'avanguardia creati artificialmente, il film ha poco dell'acuta analisi di Cronenberg ne "La mosca", e quasi niente della lucida follia di Lynch in "Eraserhead", tanto per rimanere in territorio canadese o nordamericano. Ritorna l'azzardo di un paragone solo per l'archetipo della malattia e della mostruosità generate dalla specie familiare umana, la più temibile fra tutte quelle idealizzabili.
Poco approfondita è anche l'idea secondo la quale dall'animale ibrido sarebbe possibile estrarre agenti e proteine curatrici che combatterebbero le malattie del bestiame e, forse, dell'uomo.
L'origine di una nuova specie rimane un sogno; la genetica dovrà ancora aspettare, così come le potenti ditte farmaceutiche desiderose solo di conquistare la piazza a danno dei concorrenti.
Dal momento che i Nostri sono costretti a trasferire l'invenzione dai laboratori alla fattoria di campagna, l'attenzione sembra sulle prime venire un po' meno; Dren appare sempre più come una femmina ferina avvolta da un curioso fascino diabolico e da un vago sentore di minaccia. I "coniugi" si perdono a rincorrere la loro pargoletta come fosse una bambina bizzosa in stile Bjork, dallo charme sempre più conturbante. Non manca neppure un ballo romantico con Clive (richiamante ancora una volta Ginger e Fred) sulle note di "Begin the beguine", un parallelismo tra la storia vissuta durante l'infanzia/ adolescenza di Elsa, e una complicazione sentimentale con tanto di (ri)congiunzione carnale.
Natali fa di tutto nel tentativo di svignarsela dal classico film di genere, tessendo un drammatico viaggio evolutivo. Un "ballo sul mondo" disinvolto e pericoloso, che rischia di calpestare l'equilibrio naturale dell'universo, collaudando esperimenti biologici nel nome dello sviluppo e approdando a incesti, fortuiti risvolti edipici e morti causate dell'aculeo velenoso e "scorpionato". Il tutto scandito da una regia tollerabile non scevra da tempi morti, e da una direzione di attori scissa tra la citrulla fissità di Brody e la scaltra profondità della Polley.
Quelli di Natali, entrato di diritto tra gli autori più interessanti dopo lo splendido "The Cube", sono mondi chiusi, spazi confinati dove far svolgere l'azione; entrare e uscire da queste barriere è difficile. Alla fine c'è sempre qualcuno costretto a continuare l'avventura in solitaria, catturato da una spirale filosofica e immaginifica, che stavolta ha la forma del DNA.
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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 24/08/2010 18.51.00
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