Recensione the american regia di Anton Corbijn USA 2010
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Recensione the american (2010)

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locandina del film THE AMERICAN

Immagine tratta dal film THE AMERICAN

Immagine tratta dal film THE AMERICAN

Immagine tratta dal film THE AMERICAN

Immagine tratta dal film THE AMERICAN

Immagine tratta dal film THE AMERICAN
 

"The American è un thriller che non può passare inosservato perché si segue tutto di un fiato sorprendendoci per originalità delle scene e scorrevolezza; il film è una felice combinazione tra intreccio narrativo, che sa essere intrigante rispettando le giuste misure di un gusto sul genere ben collaudato, e tipologia degli spazi-luoghi così come appaiono in fotografia, che ne accolgono con effetto realistico i vari contenuti.

Squisita la regia di Corbijn, che merita stima e considerazione per le riprese fotografiche, sempre di grande valore estetico, a volte al punto tale da lasciare stupiti per efficiente semplicità e ovvietà geniale delle inquadrature rispetto ai dettagli dell'azione in corso. Stupisce come si possano fare film così belli rinunciando ai canoni più usuali del frastornante thriller del cinema postmoderno.
Corbijn rinuncia al digitale in virtù di una sua precisa scelta tecnica, a lungo meditata, prediligendo il realismo dei colori e la nitidezza delle immagini del tutto prive di rumori fotografici, offerti dall'analogico, alla comodità di ripresa del digitale, non sempre in grado di riprodurre la realtà così come essa effettivamente è per quanto riguarda luce, colori e panorami.
Corbijn crede che grazie all'incisione della luce sulla materia chimica della pellicola, tracciante una sorta di solco, l'analogico possa mantenere un contatto reale con la luce, una continuità vera che si riflette nello sviluppo della fotografia, cosa che non può avvenire nel digitale dove la luce viene tradotta in immagine con degli algoritmi matematici.

Il film è apprezzabile anche per la delicatezza recitativa, che avviene all'interno di una riuscita composizione narrativa che ne stimola l'espressività. Il racconto è basato su quattro elementi di fondo che sembrano essere alla base della qualità spettacolare ed estetica della pellicola.
Il primo elemento richiama per molti versi il cinema western, ed è quello dello straniero, in questo caso l'americano Jack (Clooney), un killer su commissione che fugge da un tragico e non riuscito lavoro in Svezia per arrivare, in piena incognita, con l'intenzione di nascondersi per un po' di tempo, in un piccolo borgo dell'Abruzzo, Castel del Monte, a pochi passi dalla già terremotata L'Aquila, portandosi dietro tutto il suo problematico passato gravemente appesantito da sensi colpa per aver ucciso, per una banale logica di precauzioni professionali, una donna con cui aveva un rapporto; un arrivo il suo che finirà per sconvolgere, come accade nella maggior parte dei film western, la tranquilla routine di quel paese.
Un secondo elemento riguarda l'oggetto estetico della fotografia e precisamente l'originalità e la bellezza del paesaggio abruzzese, per il suo riuscito contrasto tra grandi città americane evocate dall'immagine di Clooney, e da cui proviene il suo personaggio Jack, e la bellezza degli storici borghi abruzzesi in cui vengono eseguite gran parte delle riprese, incluse le importanti scene di inseguimento nei vicoli semibui di Sulmona e Castel del Monte.
Il terzo elemento è più filosofico: riguarda il rapporto tra il bene e il male, la loro combinazione impossibile, cioè come può comportarsi un uomo che, dopo aver tanto ucciso per denaro, decide innamorato di scegliere la strada del bene rompendo con il proprio passato. La sua nuova scelta può arrivare fino in fondo come è nelle intenzioni del suo Io o rimane a metà strada, incompiuta, dissociandolo ancora più pesantemente per tutto il resto della sua esistenza?
Il quarto elemento riguarda il finale del film, che sapientemente il regista Anton Corbijn lascia in sospeso guadagnandosi tutta la stima della critica più esigente e la riconoscenza dell'inconscio degli spettatori, che anziché godere colpevolmente per il successo finale di un ex killer, vedranno oscillare in un bilico felicità-infelicità ad alta tensione il suo cambiamento di vita, un tempo peccaminosa.

Nel paese dell'Abruzzo in cui si è trasferito dopo il fallimento della missione in Svezia, Jack accetta l'incarico di costruire un'arma letale, oscura, indecifrabile, per un contatto tenebroso, con Mathilde (Thekla Reuten).
La protezione di Jack, tra le montagne d'Abruzzo, da chi vuole eliminarlo durerà poco: un killer gli dà la caccia e lo ha scovato. Jack non ha pace, e per non allarmare la popolazione con il suo vero passato è costretto a sopportare l'insistente amicizia di un prete del posto, Padre Benedetto (Paolo Bonacelli) spacciandosi per un fotografo di una rivista americana venuto a riprendere le bellezze del posto. La solitudine lo porterà quindi ad avere una coinvolgente relazione amorosa con una bella prostituta locale, Clara (Violante Placido).
Quando Jack decide di chiudere con il passato, abbandonando il suo sporco lavoro, si vedrà preso mortalmente di mira dal suo capo-interlocutore diretto e da Mathilde stessa, cosa che lo costringerà per sopravvivere ad apportare una scaltra modifica al fucile che sta per vendere a Mathilde. Jack infatti intuisce che l'arma potrebbe essere usata contro di lui.
Riuscirà a salvarsi?

Dopo il successo del suo primo lungometraggio, il pluripremiato "Control", un film biografico in bianco e nero dallo stile free cinema impregnato di iperrealismo alla Ken Loach, il regista Anton Corbijn cambia completamente genere realizzando un film profondamente diverso.
"Ho cominciato a leggere varie sceneggiature di thriller", spiega il regista. "Mi interessava molto il tema centrale di "The American", un solitario in cerca di redenzione dai delitti commessi – e mi ha colpito anche la tensione che c'è nella storia d'amore del romanzo "A Very Private Gentleman" di Martin Booth. Generava suspense, ma offriva anche l'occasione di riflettere. Per oltre 35 anni ho fatto il fotografo ritrattista; il cinema è per me una nuova avventura. Sto ancora cercando un mio stile. Ritengo che The American si avvicini a Control nell'idea del tentativo di cambiare la propria vita; come puoi provare a fare del bene dopo aver fatto del male? Potrai superare alcune cose che hai dentro di te e che ti definiscono?"

Per la musica di "The American" Corbijn si è avvalso della collaborazione fraterna di Herbert Gronemeyer, suo geniale e fedele sostenitore. Secondo Corbijn le musiche di Herbert "convogliano le emozioni in alcuni punti particolari del film. E' per lo più a pianoforte, ed aggiunge moltissimo alla storia. La musica di Herbert ti aiuta anche a capire meglio quello che accade nella testa di Jack, come, ad esempio, quando è completamente solo e sta fabbricando le armi".

Ha suscitato scalpore tra i critici e i cittadini aquilani l'esclusione del film dalla programmazione dell'ultima mostra di Venezia appena conclusasi; la giuria presieduta da Quentin Tarantino l'ha ritenuto troppo lento.
Clooney, come promesso dovrebbe però essere presente alla prima del film all'Aquila, nella speranza di risollevare lo spirito dei terremotati e degli abitanti dei paesini che hanno tutti in un modo o nell'altro collaborato al film di Corbijn.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 15/09/2010 14.41.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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