Recensione the women regia di Diane English USA 2008
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Recensione the women (2008)

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locandina del film THE WOMEN

Immagine tratta dal film THE WOMEN

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Immagine tratta dal film THE WOMEN
 

Un remake a lungo corteggiato e progettato, arriva nelle sale in un periodo in cui i produttori hanno presunto, forse con eccessiva sicurezza, che gli spettatori potessero essere pronti ad accettare un plot che, come suggerisce il titolo, fosse una finestra esclusiva sul mondo delle donne.
Trainato dal successo e dalla simpatia ormai collaudata del pubblico verso l'ironico "Sex and the City", ormai approdato alla versione cinematografica, "The women" si basa dunque su questi presupposti.

Mary Haines ha una vita apparentemente perfetta e invidiabile, sposata con un ottimo partito, madre di un amabile adolescente, circondata da amiche e mondanità. La casualità vuole che la manicure sveli alla sua amica Sylvie e poi a lei che suo marito ha una relazione con la commessa della profumeria.
Dopo aver ascoltato i consigli della madre e delle amiche, Mary dovrà decidere come reagire alla situazione, riflettendo sul suo matrimonio quanto sulla sua vita. Riuscirà a trovare se stessa rinforzando la sua autostima, ormai libera di scegliere senza insicurezze.

Con ambiziose pretese di rinfrescare un classico come "The women" di George Cukor, datato 1939, e col buon proposito di attualizzare contesto e gergo femminile, questo prodotto finisce per essere una mescolanza insipida di stereotipi e prevedibili circostanze in cui si muovono antipatiche donne in carriera americane.
Cukor, abile osservatore del mondo femminile ("Piccole donne", "Nata ieri" tra i numerosi altri), fu capace di mostrare un vivace quadro di donne in preda ad imprevisti relazionali, arricchendo i personaggi di sfumature ironiche e acute.
Nel film diretto dalla regia ordinariamente televisiva di Diane English, si assiste a una sfilata di ovvietà rinforzate da un ostinato snobismo di alta borghesia in cui non è pensabile neanche l'approvazione o l'empatia verso le protagoniste.

Il paragone appare dunque inutile per via della palese differenza di visione e realizzazione della storia. Poche sono i cambiamenti che la English fa alla trama originale e tutti assolutamente non funzionali alla trama né originali, tanto da ritenersi apprezzabili separatamente. Tra questi, l'amica dichiaratamente lesbica di Mary e il finale, di cui si accennerà di seguito.

Il cast, in preda a un certo autocompiacimento, si avvale del reclutamento di Meg Ryan nel ruolo della prima donna, nella parte che fu di Norma Shearer.
Anacronistica fidanzatina d'America, ormai orfana delle commediole romantiche che le venivano cucite addosso negli anni Novanta, Meg Ryan non riesce, neanche alle soglie dei cinquant'anni, a uscire da quell'eterno ruolo di ragazza acqua e sapone e a rivelare doti attoriali che possano far intravedere in lei un barlume di versatilità.
Perennemente imprigionata in espressioni standard di stupore, serenità o fierezza, non regala alcuno spessore al personaggio di Mary, che apparirà perciò piatto e paralizzato. Alcuni momenti dei dialoghi, in cui Mary parla di sé, sembrano sistemati ad hoc per giustificare l'atteggiamento passivo e pigro di Meg Ryan nei confronti della recitazione.

Nei panni dell'amica più stretta Sylvie c'è Annette Bening, brava ed efficiente nel ruolo di una donna in carriera fredda e lucida, tanto tristemente simile alla Samantha di "Sex and the City".
Mentre ad incarnane la fascinosa arrampicatrice sociale, rivale di Meg Ryan, abbiamo Eva Mendes, appena visibile in un tale marasma di cliché comportamentali e lontana anni luce dalla versione di Joan Crawford. A quest'amante esuberante venne dato maggiore risalto nella sceneggiatura del film di Cukor che spiccò comunque grazie anche all'incredibile personalità dell'attrice.
Jada Pinkett interpreta invece il ruolo dell'amica lesbica, che stupisce per la superficialità con cui è ritratta, grottescamente caricaturale per quel finto atteggiamento mascolino.

Il cast è comunque l'unico elemento che regge in piedi la baracca, traballante e insicura. I luoghi comuni nei dialoghi quanto nelle ambientazioni patinate si sprecano e non c'è possibilità di redenzione.
Vorrebbe essere un graffiante spaccato sul pianeta femminile con battute, che però non sanno neppure strappare un sorriso, e vorrebbe aspirare a quell'ironia sottile che possa compiacere e allo stesso tempo punzecchiare le donne spettatrici per i loro difetti e i loro atteggiamenti.
La trovata, ripresa dal film di Cukor, di non far apparire nemmeno un uomo durante tutta la vicenda, neanche sullo sfondo, tra i passanti o tra i clienti dei locali dove si svolgono le scene, è l'unica curiosità che può stimolare l'occhio del pubblico, facile alle distrarsi dinnanzi alla pochezza di contenuti della vicenda.

Ed è su questo punto che la sceneggiatura azzarda un cambiamento: Edie, ulteriore amica di Mary, partorisce un maschio sul finire della storia. E sarà lui il solo componente dell'altro sesso che apparirà nel film. Il neonato, tra l'altro si dimostra ben più capace di attirare l'attenzione del pubblico per l'articolazione della scena, rispetto allo sciocco gineceo che gli ruota attorno e che ha tediato il pubblico per tutta la durata del plot.

Concludendo, "The women" è il perfetto esempio di remake non riuscito, incapace di mettersi alla pari dell'originale, e di cui se ne consiglia la visione solo per incalzare la propria curiosità incoraggiandola a conoscere la versione di Cukor.

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Recensione a cura di ele*noir - aggiornata al 07/01/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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