Recensione todo modo regia di Elio Petri Italia 1975
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Recensione todo modo (1975)

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locandina del film TODO MODO

Immagine tratta dal film TODO MODO

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"Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli imputati e quivi accusati di una quantità sterminata di reati... "
Pier Paolo Pasolini

E' il 28 agosto 1975 quando Pier Paolo Pasolini invocava un processo pubblico alla Democrazia Cristiana, appena qualche mese prima di essere barbaramente ucciso all'Idroscalo di Ostia in circostanze piuttosto controverse.
Sempre nello stesso anno la Democrazia Cristiana si trovava in grosse difficoltà dovute all'esito negativo prima delle elezioni politiche, che segnavano una fortissima avanzata del Partito Comunista, e dalla cocente bocciatura del referendum sul divorzio al quale alcuni grossi nomi, come quello di Fanfani, avevano investito molto per poi rimanere a bocca asciutta.

In tale contesto Petri adatta per grande schermo l'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia mettendo in scena un feroce atto di accusa verso un'intera classe dirigente, al governo sin dal secondo dopoguerra ininterrottamente da trent'anni, in cui troppi erano ancora i problemi irrisolti e nulla o quasi era stato fatto per risolverli. Ormai dopo trent'anni di potere, la classe politica dominante era occupata maggiormente verso il mantenimento del potere in perpetuo.
Una classe politica autoreferenziale, una casta legata ancora alle sue radici cristiane solo in apparenza, ma che sotto la maschera cercava di svicolarsi anche dall'ingombrante presenza della Chiesa cattolica come istituzione.
"Todo modo" quindi è un'istantanea su un potere marcio e dilaniato dalle lotte intestine e pur senza nominarla apertamente, appare fin troppo evidente che il soggetto in questione è la grande "balena bianca" democristiana e Aldo Moro, mai nominato anch'esso, il suo "presidente".

Un gruppo di uomini politici, rappresentanti del partito di maggioranza che da trent'anni governa l'Italia, si rinchiude in un convento costruito nel sottosuolo di una pineta per il periodico corso di esercizi spirituali condotti dal gesuita Don Gaetano, mentre il paese è messo in ginocchio da un'epidemia.

"Todo modo" rappresenta, sotto certi aspetti, la fine di una fase molto feconda per il cinema italiano, quello del cinema politico, iniziato nel 1961 con Salvatore Giuliano di Francesco Rosi proseguito sotto l’egida dello stesso regista napoletano in aggiunta a nomi molto importanti come appunto Elio Petri, Gillo Pontecorvo passando anche per Damiano Damiani e Citto Maselli.
Il contesto storico per una pellicola come "Todo modo" non era certo dei più favorevoli. Già era percepibile quell’aria di "compromesso storico" tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, il cui fautore principale era lo stesso Aldo Moro e il film di Petri non era certamente un esempio nel cercar di buttare acqua sul fuoco, tutt’altro.

Fin dall’inizio siamo trasportati in un’atmosfera spettrale di strade semi deserte con ripetuti annunci di una misteriosa epidemia che sta propagandosi nel paese. Lo stesso albergo Zafer, luogo scelto per l’annuale periodo degli esercizi spirituali, ha una tipologia piuttosto anomala: una costruzione che si sviluppa interamente verso il basso, dalla struttura labirintica e dotato di camere che non sembrano stanze di un albergo quanto più simili alle celle di un convento.
In questo luogo convergono i più alti rappresentanti del partito oltre naturalmente esponenti illustri a loro modo collegati dalla stessa matrice cattolica: banchieri, grandi industriali, giornalisti, magistrati, alti dirigenti statali. Tutti accomunati dalla detenzione e dall'uso del potere in misura più o meno grande, con lo scopo di purificarsi per il tramite degli esercizi spirituali.
Ben presto però la pratica degli esercizi è solo una copertura per una ridefinizione dei ruoli, per una nuova spartizione della torta pubblica determinata da un nuovo riequilibrio dei rapporti delle varie correnti all'interno dello stesso partito, come era ad uso si tempi della Democrazia Cristiana, tutt'altro che un blocco monolitico, anzi un vero parlamento a sé stante all'interno dello stesso Parlamento costituzionale.

I due attori principali di questa nuova ridefinizione sono da una parte Don Gaetano, prete gesuita e direttore degli esercizi spirituali e il Presidente del partito. Intorno a queste due figure principali si gioca in un certo senso la leadership carismatica nei confronti dei convenuti.
Don Gaetano utilizza la forza psicologica degli esercizi spirituali come un guinzaglio per imporsi su quel gruppo di persone che dominano la maggior parte dei centri vitali del paese: politica, imprenditoria e informazione. Si serve della stessa ipocrisia dei convenuti, del loro bisogno di purificarsi dai peccati derivato dall'uso dell'esercizio del loro potere per imporre la propria leadership, assecondando la sua personale sete di potere.
Lui stesso o per interposta persona (il "Lui", misterioso e influente personaggio politico interpretato da Michel Piccoli) vuole porre il suo personale sigillo sul cambiamento da operare all'interno del partito. E' pienamente consapevole della profonda corruzione dei notabili, della loro impossibilità ad essere redenti, ma al tempo stesso si autodefinisce un "prete cattivo" che non ha paura di sporcarsi le mani, perché in fondo sono stati i "preti cattivi" a fare la storia della Chiesa, a confermare ed esaltare la sua santità.
"Mediazione e mutamento nella strategia della stabilità"

Grazie alla straordinaria interpretazione di Gian Maria Volontè, si erge la figura del Presidente, uomo che si pone come il fulcro per la creazione dei nuovi equilibri di partito, equilibri delicatissimi che si possono spezzare in un istante, dove la singola frase o la singola parola, mal interpretati come pesanti allusioni, possono distruggere il lavoro di lunghi ed estenuanti compromessi faticosamente trovati tra le varie correnti di partito.
Modellato sulla figura di Aldo Moro, ma con movenze e talvolta pungente ironia tipicamente andreottiana, il Presidente del partito rappresenta trent'anni di malgoverno del paese, una vita dedicata alla mediazione in maniera totale all'interno delle correnti di partito, tanto da compromettere ogni sua funzione propositiva relegata ormai alla propria dimensione onirica ed inconscia.
Un uomo impotente e frustrato che repelle qualsiasi contatto fisico, dalla psiche dissociata dal dualismo tra ciò che desidera e l'impossibilità di operare una qualsiasi scelta di ordine politico che possa scontentare qualcuno. Una moltitudine di erezioni mancate come poi sottolineerà a Don Gaetano. Un camminare perennemente sul filo del rasoio ormai insopportabile, evidenziata dall'enfasi in cui recita delle semplici preghiere, simile a degli orgasmi mai raggiunti.
Desideri inappagati che nemmeno la presenza della moglie Giacinta, unica presenza femminile del film, riescono a lenire fino in fondo. Dopotutto la stessa personalità di Giacinta è annullata in funzione del marito, votata al desiderio di vederlo ai vertici della Stato.
Di fronte a tale sfascio in cui gli onorevoli si azzuffano come animali e dal raggiungimento della consapevolezza che nessun cambiamento potrà avvenire, il Presidente opera in modo da annullare lentamente Don Gaetano, facendogli terra bruciata intorno e usurpandone il ruolo. Con Don Gaetano fuori dai giochi, il Presidente sarà l'unica figura ad assurgere al ruolo di unico pastore del gregge.
Un piano semplice ed ispirato dalle parole di Ignazio di Loyola, fondatore dell'ordine gesuiti, dove la metodologia per il raggiungimento dell'obiettivo risiedono nel senso di responsabilità del singolo individuo.

"Todo modo para buscar la voluntad divina"
Ignazio di Loyola

Il motto del fondatore dell'ordine dei Gesuiti è la chiave per dipanare, se così vogliamo dire, la falsa trama gialla che si innesca nella seconda parte del film. Falsa nel senso che si tratta soltanto di una sequenza di uccisioni, mai annunciate e mostrate da Petri nel loro svolgersi, annullando qualsiasi suspence e raffigurando sempre il "dopo" con la semplice scoperta del cadavere, spesso in una postura sconcia, a sottolineare maggiormente la bassezza morale dei cosiddetti notabili di partito e con evidenti segni dell'epidemia che dall'esterno comincia a dilagarsi anche all'interno dell'eremo sotterraneo dello Zafer seguendo uno schema che ricorda "La maschera della Morte Rossa".
Tutta la sequenza di omicidi ha un ordine prestabilito ben preciso che, prendendo spunto dal motto "Todo modo para buscar la voluntad divina", decide chi debba essere ucciso creando un effetto domino.
Infatti estrapolando le lettere degli acronimi dei vari enti di cui i convenuti sono presidenti o amministratori delegati ed i legami tramite partecipazioni azionari reciproche, si riesce a scoprire il perché sia stato ucciso una persona piuttosto che un'altra, ma anche a prevedere con una certezza molto alta chi è sotto il mirino del misterioso assassino.

Il Presidente quindi mette in moto quella che può essere considerata una solenne cerimonia sacrificale di purificazione del partito: un atto politico in piena regola rivestito da un significato divino, dettato dal motto di Sant'Ignazio di Loyola e soprattutto dettato dalla propria coscienza etica ed individuale che si concluderà con il sacrificio di se stesso sull'altare del tanto agognato rinnovamento (annullamento) del partito. Raggiunge così l’obiettivo di coniugare entrambi gli aspetti, politico e religioso, a scapito di Don Gaetano il quale pur partendo dal lato opposto, quello religioso, mirava a rivestire le sue azioni di un significato politico.
E’ interessante e curioso inoltre che solo due anni dopo l’uscita del film si verificherà nella realtà il finale opposto proposto da Petri: il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, verrà ucciso dalle Brigate Rosse, ma con l’avallo di gran parte del suo stesso partito che, dietro la facciata della linea di fermezza nei confronti dei terroristi, era realmente spaventata dalla politica del "compromesso storico" ideata da Moro.

"Todo modo" non è un film di facile lettura, infatti la sua struttura assai complessa e stratificata permette una lettura a vari livelli a scapito però di una scarsa linearità narrativa. Tuttavia a distanza di oltre trent'anni possiede ancora una forza visionaria di prim'ordine che ne fanno una pellicola molto particolare e per certi versi molto attuale.
Petri sceglie volutamente una cifra stilistica votata al grottesco portandolo ad eccessi molto elevati e, con l'ausilio della scenografia curatissima, per quanto apparentemente scarna, di Dante Ferretti e dalla fotografia dominata da grossi contrasti di luce da parte di Luigi Kuveiller crea un'atmosfera straniante all'interno dell'albergo Zafer, quasi astratta che forma un contesto tragico e funereo che decreta la morte vera propria della politica in cui questi piccoli grandi uomini di partito vengono visti, o meglio smascherati in tutte le loro nefandezze e rendendoli ridicoli oltre ogni misura.

Detto di Gian Maria Volontè e di Marcello Mastroianni tutto il cast di attori offre una prova d'insieme eccellente, ma merita una citazione particolare Ciccio Ingrassia nel ruolo di Voltrano, certamente la sua migliore prova di attore.

La scelta operata da Petri può apparire eccessiva e fuori luogo e che può prestare il fianco a molte accuse (cosa che accadde ovviamente all'uscita del film) di fanatismo ideologico, ma se andiamo alla memoria del processo Cusani, in piena Tangentopoli, dove si vedeva un pezzo da novanta come Forlani con la bava ai lati della bocca, non si può certo nascondere l'effetto ridicolo che suscitò in molti che lo videro in diretta televisiva.

"Todo modo" scatenò all'epoca polemiche roventi da entrambe le parti: da destra per ovvie ragioni e una certa freddezza da sinistra, per motivi soprattutto di opportunità visto che, come detto sopra, il compromesso storico non era solo una voce di corridoio bensì un progetto molto concreto sotto l'egida di Aldo Moro, poi naufragato con il rapimento e la successiva uccisione dello statista democristiano.
Le polemiche sono molte volte fonte di pubblicità che in molti casi sono in grado di fare la fortuna, anche e soprattutto commerciale, di un film. In questo caso però la pellicola di Petri subì un destino di oblio che dura ancora tutt'oggi vista la sua difficile reperibilità e i pochi passaggi televisivi.
Da rilevare inoltre il ritrovamento del negativo della pellicola custodito alla Cineteca Nazionale, bruciato. Analogo destino anche al suo autore, Elio Petri, uno dei nostri migliori autori in assoluto e con il passare degli anni messo forse un po' troppo in un angolino, poco citato dalla critica ufficiale e praticamente quasi sconosciuto alle nuove generazioni.

"Ogni mezzo per realizzare la volontà divina"

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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 30/04/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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