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"C'è un tempo per il denaro, c'è un tempo per la violenza, c'è un tempo per la musica e per ricominciare a vivere"
C'è veramente tempo per tutto. C'è un tempo per l'indifferenza e c'è un tempo per l'amore, c'è un tempo per il dolore e c'è un tempo per la gioia; così come c'è un tempo per redimersi e per rimediare ai propri errori, anche se il lato oscuro del nostro vissuto, "il battito che il cuore ha saltato" (è questo ciò che sottintende il titolo originale del film, "De battre mon coeur s'est arréte"), non si può cancellare ed è sempre lì, per ricordare a ciascuno di noi ciò che siamo stati e per allontanarci inesorabilemte da quello che si vorrebbe disperatamente essere, in attesa che qualcosa o qualcuno possa ricondurci a quello che sarebbe dovuto essere se avessimo seguito il percorso che era stato tracciato per ciascuno di noi.
Poi, improvvisamente, un giorno basta un segno inatteso, un ricordo, una frase, un incontro, un volto affiorato dal nulla e dai contorni incerti, come le luci al neon che illuminano le notti cineree e cupe delle strade sporche e pericolose delle banlieu parigine e che si rincorrono sul parabrezza dell'auto sportiva di Thomas, per ricordarci gli errori commessi ma anche per lanciarci un'ancora di salvezza, che ci permette di isolarci dal mondo che ci circonda (in cui affari, amori, interessi si intrecciano in un groviglio profondo che ottunde i sensi e la memoria) facendoci recuperare il senso profondo delle nostre azioni e quel "battito che il cuore ha saltato".
È una gradevolissima sorpresa questo "Tutti i battiti del mio cuore" che Jacques Audiard, che aveva convinto tutti con il precedente "Sulle mie labbra", ha tratto molto liberamente da un piccolo film americano degli anni '70 ("Rapsodia per un killer", di James Toback, con un giovane Harvey Keitel), ma è anche un film complesso ed emotivamente ed emblematicamente coinvolgente, uno di quei film che riescono a scavare nell'animo e costringono lo spettatore a seguire tutto il percorso attorno a cui il dolore e la violenza, gli errori e le aberrazioni si sublimano nella forza pacificatrice della musica.
Un dramma dalle atmosfere forti e volutamente sgradevoli, aspro ed angosciante, difficilmente catalogabile, a metà strada tra il noir ed il thriller passando per il gangster movie, come, forse, solo i cineasti transalpini sanno ancora fare; il crudele ritratto di un mondo e di un gruppo, meschino e avido, complesso e variegato, fatto di violenza, di brutalità e di sopraffazione (con le donne, con i più deboli, con i diseredati), ma fatto anche di armonia e di bellezza, di certezze che si sgretolano e di consapevolezze che si recuperano.
Due opposti che si attraggono e si respingono, come il dolore e la gioia, come l'amore e l'odio, annullando principi e passioni che non fanno in tempo ad esplodere, ma che restano dentro, a rivoltare l'animo, più forti di qualsiasi ragionamento, più deboli di qualsiasi convinzione, più affascinanti di qualsiasi seduzione.
È la storia di due universi parallelli e di due passioni umane, che tengono vivo il mondo e sui quali si fonda e si regge la natura umana.
È la storia di un antieroe inquieto e furibondo, con il mondo e con se stesso, la storia di Thomas, ventottenne parigino, controverso, tormentato e senza scrupoli, desideroso di diventare concertista come la madre, scomparsa tempo prima, ma destinato a seguire le orme del padre maneggione, trafficando nel racket della speculazione edilizia, comprando, nei vari angoli della periferia parigina, immobili fatiscenti ed occupati da diseredati senzatetto, per rivenderli subito dopo averli brutalmente liberati dagli occupanti abusivi; attività questa che gestisce in società con altri due giovani come lui, sempre al limite della legalità, sempre combattuto ed in bilico tra le sue due opposte anime: quella impulsiva e violenta della sua attività ed ereditata dal padre; e quella talentosa e sensibile di amante della musica classica, ereditata dalla madre.
Nella vita di tutti i giorni Thomas è un poco di buono: passa le serate in sorditi bar di secondordine frequentati da varia umanità, a bere e a farsi di coca, in compagnia dei due suoi amici e soci in affari; questo quando non è impegnato in spedizioni punitive per sfrattare con metodi violenti le case dei poveri senzatetto, che occupano abusivamente gli immobili oggetto delle sue losche attività.
Anche con le donne i suoi rapporti sono conflittuali ed impulsivi, e spesso di vera e propria sopraffazione: ama segretamente la moglie del suo socio in affari, impenitente dongiovanni, ma nasconde alla donna i reiterati tradimenti che impunemente commette il marito; offende l'amichetta del boss russo con cui è destinato a scontrarsi, tiranneggia la sua insegnante cinese di pianoforte.
Proprio così, la sua insegnante di pianoforte, la sua ancora di salvezza e la sua arma di riscatto, conosciuta grazie al vecchio agente della madre, incontrato una sera, per caso, il quale, memore della sua passione per la musica, lo convince che potrebbe diventare quel pianista di talento che ha sempre sognato di essere, se solo si decidesse a riprendere quegli esercizi di pianoforte che altre esigenze e altre opportunità avevano tenuto lontano dalla sua vita, precipitandolo negli abissi della sua identità.
Forse perchè stanco della vita che conduce o forse perchè affascinato e contagiato dalla bellezza e dall'armonia della musica di Bach, che esegue ossessivamente, nella musica Thomas trova quella pace interiore che gli permette il controllo di sè e che ha sempre inconsciamente sperato di raggiungere.
In attesa di prepararsi per un'audizione si affida, allora, alle cure di una donna, prendendo lezioni da una musicista cinese, che si è appena trasferita a Parigi e non parla una parola di francese, una di quelle persone che in altra situazione non avrebbe esitato a scacciare violentemente. La musica diventa così il loro linguaggio comune, il tramite con il quale comunicare e superare le differenze caratteriali: lui collerico e scostante, lei pazientissima e tenace, capace di tenere testa alla sua irascibilità.
Ma la musica diventa anche il mezzo che lo distingue e lo allontana dai vecchi amici e dalla materialità del suo mondo, tutto dedito alla logica del profitto ad ogni costo, lo isola e lo rende più vulnerabile e più forte al tempo stesso; diventa il mezzo con cui entrare in rapporto con se stesso e riscoprire la forza del controllo di sè, per trovare quella pace interiore di cui, forse, anche inconsapevolmente, ha sempre avuto bisogno. È però difficile sfuggire ai propri trascorsi ed al proprio destino, e il passato oscuro riemerge in tutta la sua drammatica brutalità quando il padre, approfittando del rapporto di dipendenza del figlio, non lo coinvolge pesantemente nei suoi affari, costringendolo a fare il lavoro sporco e a risolvere i suoi loschi traffici che lo porteranno a scontrarsi con un boss della malavita russa, uno dei tanti personaggi ambigui con cui il padre si mette continuamente nei guai.
Il riscatto dovrà passare attraverso la tragedia e un furioso desiderio insoddisfatto di vendetta, sintetizzata da quelle sue mani ferite e sporche di sangue che volano leggere sui tasti del suo pianoforte, a sottolineare che la passione per la musica è l'unico imput che possa "far ripartire il suo cuore".
A dare volto, furori e tormenti al personaggio di Thomas, Jacques Audiard ha voluto il giovane attore Romain Duris, a cui va riconosciuto molto del merito dell'autenticità del film, capace di alternare, al disincato di una vita difficile afferrata con sordita violenza e tanta rabbia in corpo, momenti di smarrita tenerezza, quando la musica, unico antitodo alla virulenza, gli accende l'animo rivelandogli un mondo interiore, delicatissimo e sensibile, più forte di qualsiasi ragionamento, più forte di qualunque passione.
Difficile dimenticare i suoi rabbiosi scatti d'ira, le sue spedizioni punitive, le sue pulsazioni furenti; così come è difficile dimenticare il suo volto quando, rapito, ascolta le note delle sinfonie di Bach e di Chopin, mentre, impercepibile, la vita della città gli scorre davati agli occhi, quasi a significare che solo diventando spettatore di se stesso può lasciarsi alle spalle la sua "vecchia" identità e ricominciare una nuova esistenza, nella quale stemperare tensioni e rabbia, in una idea pacificata di umanità.
Il merito maggiore della riuscita del film va però al regista Jacques Audiard, che ha saputo imprimere al film un ritmo costante di tensione e una forza a tratti fin troppo angosciante, con alcune sequenze visivamente molto coinvolgenti, quando la magia della musica si spegne nelle mani insanguinate del protagonista, quando il cuore si ferma per un attimo, per trovare un nuovo ritmo e poter ricominciare a battere.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 23/09/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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