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Nel 2005 il regista Radu Mihaileanu, dopo il successo di "Train de vie" (98) e prima dell'interessante "Il concerto" (08), gira il suo quarto film, il primo della storia dedicato alla migrazione degli ebrei-etiopi in Israele, una vicenda altrettanto tragica, ma non ugualmente conosciuta, di quella dell'Olocausto, adottando una formula narrativa che suscita emozioni negli spettatori in sala, coinvolgendoli nel profondo della loro sensibilità.
Gli avvenimenti di cui parla il regista rumeno di origini ebraiche partono dal 1984, quando centinaia di migliaia di africani di diverse nazionalità, spinti dalla fame e dalle carestie, lasciano i loro paesi d'origine per emigrare a nord, nei campi profughi del Sudan.
Tra loro ci sono 8000 Falasha (etiopi di colore, di cultura e di religione ebraica, mitici discendenti di Re Salomone e della Regina di Saba) in fuga dall'indigenza e dalle guerre civili che flagellano il paese del dittatore Menghistu, i quali, appena giunti in Sudan, si trovano a dover fare i conti con l'ostilità delle autorità mussulmane e integraliste del luogo.
Per soccorrerli il governo di Tel Aviv dà inizio ad una spettacolare operazione denominata "Operazione Mosè" (seguita poi da altre due, rispettivamente denominate "Operazione Giosuè" e "Operazione Salomone"), che prevede il loro trasferimento in massa nella "terra promessa" delle loro leggende, salvandoli così da una vita di miseria e di sofferenze, ma non da una difficile integrazione.
Confuso tra questa umanità di disperati c'è un bambino di colore di nove anni, Salomon, figlio di una donna etiope non di religione ebraica.
Convinto dalla madre a fingersi falasha, viene affidato da quest'ultima ad una donna ebrea che ha perso da poco suo figlio, affinchè lo porti con sé in Israele e lo salvi da una vita di miseria e, forse, da un futuro di morte.
"Va, vis et deviens" - Vai, vivi e diventa (trasformato in italiano in Vai e vivrai, titolo suggestivo, ma che gli fa perdere l'immediatezza e la forza evocativa della vicenda narrata nel film, che, invece, il titolo originale possiede) sono le parole di saluto e di benedizione laica con cui la madre si separa dal figlioletto, quando lo consegna alla donna, che lo porterà con sé in Israele, dove lo denuncerà come figlio proprio.
Giunti in Israele, però, la donna muore di malattia e il bambino viene accolto in un istituto per orfani, dove conoscerà le prime forme di discriminazioni e di razzismo.
Seguiremo, quindi, le sue vicende attraverso tre capitoli, efficacemente sottolineati dai tre imperativi del titolo originale, "vai, vivi e diventa", che corrispondono ai tre periodi della vita del protagonista che ci vengono mostrati: la partenza e lo sradicamento dalla propria realtà, la difficile integrazione nel fondamentalismo della società israeliana e, infine, la maturazione e la presa di coscienza della propria identità.
Per questo avrà bisogno di una grande forza di volontà e una forte determinazione per superare gli ostacoli e i traumi che le sue scelte comporteranno.
Primo tra tutti il trauma del segreto sulla sua appartenenza, con la quale dovrà imparare a convivere, non essendo egli nè orfano, nè ebreo, come dovrà far credere per tanta parte della sua vita.
E la rinuncia alle sue radici, alla sua cultura e alla sua fede sarà, per lui, come perdere una seconda volta la madre. Una madre quasi sublimata nei suoi ricordi e fatta rivivere nella luna, alla quale rivolge appassionati monologhi ("non voglio cambiare, altrimenti quando tornerò non mi riconoscerai"). Ma in Israele il bambino ha la fortuna di essere adottato da una famiglia di israeliani non praticanti di origine francese, aperta e progressista, che lo ribattezza Schlomo, in cui una madre protettiva fa da contrappeso ad un padre amorevole e un nonno saggio; dove cresce con il senso di colpa per il fatto di nascondere a tutti un segreto, nella ricerca continua di quell'identità che non ha e che deve imparare ad avere.
Cresce in mezzo alle guerre, all'amore per una ragazza (Sarah), che diverrà sua moglie, agli studi religiosi e al disprezzo che alcuni (tra cui il padre di Sarah) hanno per lui (perché è nero, e non bianco).
Imparerà a fingere di essere ebreo, troverà il calore e l'affetto di cui ha bisogno, ma conoscerà il razzismo e l'integralismo religioso. Schlomo reagisce a tutto ciò impegnandosi nello studio, che vede come un'arma di riscatto e per dimostrare a tutti di essere ebreo, migliore di tanti altri, anche a costo di studiare molto bene la Torah e conoscerne a fondo le leggi per poterne disquisire come un vero giudeo.
Mentre cresce sotto la guida del nonno adottivo, che gli insegna il senso di condivisione della terra, e del rabbino etiope, che gli insegna ad essere se stesso, gli echi di guerra cominciano a farsi sentire, acuiti dagli scontri con i palestinesi, che si susseguono quotidianamente.
Schlomo capisce che è arrivato il tempo di aiutare gli altri e dare un senso alla propria vita. E allora dapprima va a lavorare in un kibbutz, poi si trasferisce a Parigi per studiare medicina e ubbidire, così, all'ultimo ordine della madre: diventa.
Quando torna prende servizio nelle fila dei "medici senza frontiere", ma viene ferito mentre cerca di soccorrere un bambino palestinese. Poco dopo si sposa con Sarah, il grande amore della sua giovinezza, alla quale racconta il suo segreto.
Su consiglio della moglie decide di andare alla ricerca delle sue origini, ed è proprio in un campo profughi che può finalmente ricongiungere i fili della sua esistenza e presentarsi alla madre, certo di non essere né un ebreo, né un etiope, ma semplicemente un uomo che ha realizzato pienamente un progetto di vita.
Il film di Mihaileanu si presenta come un dramma familiare, tutto giocato sullo sfondo della tragedia di un popolo in fuga dalla fame, dalle malattie, dai pregiudizi razziali.
In mezzo c'è Israele e la sua complessa e tormentata storia politica, con le sue contraddizioni e il suo fondamentalismo, con le sue guerre che procurano migliaia di vittime nei territori occupati, e con la follia del suo razzismo di fondo che vuole cacciare i bambini di colore dalle scuole.
Mihaileanu fotografa con grande lucidità una realtà in cui si susseguono scontri fra bianchi e neri, ortodossi e laici, fanatismi religiosi e frustrazioni dilaganti, nel contesto delle proteste politiche e dei raid aerei, nella disillusione di quanti vorrebbero andarsene da quella terra per non consegnare i loro figli ad un futuro da soldato, ma non possono per non darla vinta ai "signori della guerra".
Il regista ci consegna un film fatto di semplici emozioni, concentrandosi più sulle sensazioni che sull'approfondimento degli argomenti, basato su tre diversi capitoli della vita di Schlomo, utilizzando tre attori per interpretare il personaggio: Moshe Agazai (infanzia), Moshe Abebe (adolescenza) e Sirak M. Sabahat (età adulta). Ogni capitolo culmina con il momento in cui il protagonista deve affrontare le sue paure più profonde e i suoi desideri più autentici. Ma " Vai e vivrai" è anche un film molto ambizioso, il primo film in cui gli ebrei non sono visti come oggetto di discriminazione, ma come razzisti e xenofobi essi stessi, in cui si raccontano vent'anni della grande illusione della sinistra israeliana (quelli della storica stretta di mano tra Rabin e Arafat, spazzati via dal colpo di pistola di un giovane fanatico ebreo), girato per farci riflettere su alcune pagine poco conosciute della storia più recente, fatta di lacrime e sangue, dove non esistono più ragioni e torti, dove restano soltanto vittime incolpevoli, dove soggiace un'umanità dimenticata.
In definitiva "Vai e vivrai" è la storia di chi, come Schlomo, ricomincia da zero, rinascendo in una nuova terra.
Alla fine resterà il ricordo di aver vissuto sulla propria pelle le vicende di un ragazzo in fuga per costruirsi un futuro.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 11/07/2011 15.23.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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