Recensione viale del tramonto regia di Billy Wilder USA 1950
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Recensione viale del tramonto (1950)

Voto Visitatori:   9,18 / 10 (196 voti)9,18Grafico
Miglior sceneggiaturaMiglior scenografiaMiglior colonna sonora
VINCITORE DI 3 PREMI OSCAR:
Miglior sceneggiatura, Miglior scenografia, Miglior colonna sonora
Miglior film drammaticoMiglior regista (Billy Wilder)Miglior attrice in un film drammatico (Gloria Swanson)Miglior colonna sonora (Franz Waxman)
VINCITORE DI 4 PREMI GOLDEN GLOBE:
Miglior film drammatico, Miglior regista (Billy Wilder), Miglior attrice in un film drammatico (Gloria Swanson), Miglior colonna sonora (Franz Waxman)
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locandina del film VIALE DEL TRAMONTO

Immagine tratta dal film VIALE DEL TRAMONTO

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Immagine tratta dal film VIALE DEL TRAMONTO

Immagine tratta dal film VIALE DEL TRAMONTO
 

"Viale del tramonto", uscito nel 1950, è uno splendido film dalle venature noir in bianco e nero, scritto e diretto dal grande e indimenticabile regista austriaco Billy Wilder; sicuramente è l'opera cinematografica che con più potenza nella storia del cinema è riuscita a rappresentare il dramma e la tragedia di alcune star del muto degli anni '20, protagoniste e vittime nello stesso tempo di un successo mondiale esaltante, unico, che all'improvviso, per l'irruzione di nuove tecnologie, si dissolveva nel nulla, lasciando solo ossessioni, ricordi e dorate immagini di vita prigioniere di un passato fragile, barrato dal tempo, incapace di ricomporsi con il presente.

Negli anni '20 e '30, con il passaggio dal muto al sonoro, l'industria del cinema costringeva molti suoi interpreti a lunghe riqualificazioni professionali che non sempre erano accolte positivamente dagli attori, che si vedevano costretti ad apprendere velocemente modi di recitazione del tutto nuovi, rivoluzionari, a causa dei quali i risultati ottenuti dalle vecchie star potevano essere inferiori a quelli conseguiti da attori sconosciuti.
Le attrici di successo, orgogliose per la notorietà acquisita con i metodi tradizionali, si sentivano mortificate dal dover intraprendere un percorso formativo pieno di incognite, che portava lontano da quanto già appreso prima nell'arte cinematografica. Alcune, forse le più sensibili, decidevano di abbandonare definitivamente il cinema, scivolando inevitabilmente nel dimenticatoio o in gravi forme di paranoia.
L'anonimato in cui precipitavano certi illustri personaggi della celluloide diveniva col passare del tempo fonte di frustrazione e di patologie psichiche anche gravi, costringendo gli attori a comportamenti non del tutto razionali, a volte addirittura controproducenti perché segnati da una oscura violenza verso se stessi.
Frequenti e rumorose erano le loro uscite pubbliche sotto il segno del protagonismo, con al centro vistosi scenari, eclatanti affermazioni, scene trasgressive e scandalose, capaci in qualche modo di richiamare l'attenzione dei media e dei giornalisti su di sé, facilitando il ritorno alla notorietà.

Tra le principali innovazioni nelle tecniche recitative conseguenti al passaggio dal muto al sonoro va evidenziato che veniva del tutto abolita la gestualità mimetica, che attraverso il suo vasto repertorio espressivo, tra cui quello legato agli sguardi modulati dall'inflessione degli occhi e dei muscoli del viso, era riuscita per anni a trasmettere intense emozioni, affermandosi nel pubblico come un vero e proprio linguaggio artistico.
Le moderne tecniche, in virtù di un sonoro perfettamente sincronizzato con lo scorrere della pellicola, riproducevano le parole e i gesti così come essi si presentavano nella realtà, inglobando anche i suoni e i rumori attigui al punto di ripresa; nei film aumentava quindi a dismisura la verosimiglianza delle scene con le realtà del mondo esterno.
A distanza di anni si può dire con certezza che il risultato più rivoluzionario ottenuto dal sonoro riguarda l'arricchimento espressivo del linguaggio per immagini; la possibilità cioè, del tutto sovversiva a quei tempi, di colmare la distanza tra gli idiomi caratteristici della finzione filmica e quelli riscontrabili nella realtà.

Il film di Billy Wilder colpisce subito per la straordinaria composizione dell'intreccio, in cui gli ingredienti psicologici ben si coniugano con lo scandire dei tempi di scioglimento delle tensioni portate al loro apice in corrispondenza del tragico, cioè in correlazione con quella zona del piacere più legata all'effetto di purificazione che l'atto tragico, come nell'antica Grecia, rilascia dopo la sua rappresentazione.
L'intreccio tiene desta l'attenzione e l'emotività del pubblico per tutta la durata del film; la sua filigrana significante e filosofica nasce da una sceneggiatura sopra le righe, ricca di parole ricercate con estrema cura, priva di giri oziosi, in grado di non appesantire mai le scene e scorrere con facilità come raramente accade in un film tanto ambizioso.
Il regista nel film è molto attento a non raffreddare lo spettatore con divagazioni sceniche da rebus o storie parallele posticce, frammentarie, ingannatrici; Wilder mantiene sempre un unico e chiaro filo conduttore che riesce a toccare i tasti giusti, quelli facenti parte delle più note illusioni e speranze del vivere umano, così spesso minacciate dalla disillusione, e finisce per creare un'atmosfera memorabile, in cui i personaggi rimangono sempre in bilico tra la vita e la morte, il successo e la sconfitta, la gloria e l'umiliazione.

Il film descrive in modo eccellente, inconsueto, difficilmente oggi eguagliabile, la disumanità affaristica del cinema degli anni '40 e ‘50, avvalendosi anche di una recitazione esemplare, straordinaria, pienamente riuscita, favorita da una preziosa simbiosi biografica tra le vite reali degli attori ed i personaggi da loro interpretati nel film.
Nel film di Wilder Gloria Swanson interpreta la star in crisi Norma Desmond, affiancata da un grande William Holden nel ruolo di Gillis, amante della donna, mediocre scrittore, e il geniale Eric von Stroheim, nel ruolo del domestico Max von Mayerling, che era stato il primo marito della diva nonché il regista che la la aveva lanciata nel cinema.
Nella vita reale Gloria Swanson (nel film Norma Desmond) è stata effettivamente un'attrice di successo del muto, diretta anche da Eric von Stroheim nel film "Queen Kelly" del 1928. Le proiezioni che si vedono nella villa di Norma Desmond appartengono davvero a pellicole interpretate da Gloria Swanson: nel film la Desmond ama rivederli per compiacere se stessa e gli ospiti del suo illustre passato.
Lo spettatore viene letteralmente rapito dal racconto, fin dall'inizio, immergendosi passo passo, senza riserve, in tutte le vicende e nei più minuscoli dettagli, lasciandosi trasportare in un altrove particolare, poco frequentato dall'immaginario, molto lontano dalle consuetudini della vita normale, ma capace di fargli provare l'impeto di alcune passioni provenienti dall'intricato e affascinante mondo del cinema.

Eccellenti nel film il montaggio e l'originalità di alcune tecniche narrative, come la voce fuori campo dello scrittore ucciso, Gillis (William Holden) che, dopo essere stato colpito a morte da Norma Desmond, finendo nella piscina, inizia a raccontare il film accompagnato dal fischio assordante delle sirene della polizia.
Norma Desmond interpreta il ruolo di vittima illustre del cinema, divenuta grazie alla celluloide famosa e ricca ma incapace di accettare fino in fondo i limiti posti inesorabilmente dal trascorrere del tempo. È una donna ormai sulla cinquantina, abbandonata da tutti, che vive da anni separata dal mondo in una decadente villa gotica di Holliwood, divenuta a lungo andare triste metafora dello stato di decadenza psichica dell'attrice.
Norma è tormentata da ossessivi ricordi scolpiti come in una roccia nel suo glorioso passato, e periodicamente è assalita da prolungati deliri paranoici durante i quali crede di essere ancora grande, amata e rispettata come un tempo. Il male psichico di cui è affetta è in realtà un male storico, biografico, ma ha raggiunto una gravità tale che all'esaurirsi del delirio di grandezza l'attrice è spinta al suicidio.
La villa dell'ex diva, situata nel "Viale del Tramonto" ("Sunset Boulevard") di Holliwood, appare, alla vista attenta di un ospite, divisa in due: all'interno è molto bella e ospitale, addobbata da arredi lussuosi e di ottimo gusto, mentre all'esterno si presenta abbandonata, priva di cure.
La cinepresa mostra i resti della piscina e del campo da tennis, entrambi ormai in rovina e frequentati dai topi, simboli di un presente in crisi, di una realtà carica di angosce paralizzanti, lontana da quel passato pieno di vita, ricco di energie quotidiane, animato da grandi e plausibili progetti cinematografici, che spesso risplendeva della presenza gioiosa, mondana, di illustri amici, quasi tutti noti personaggi del cinema.

Un giorno Gillis (Wiliam Holden), protagonista maschile del film, mediocre scrittore di sceneggiature e ricercato per debiti, mentre è seduto al posto di guida dell'automobile, meditando sul suo fallimento a Holliwood, decide di ritornare nella città di origine, per riprendere il suo modesto lavoro di redattore a 35 dollari alla settimana.
Sorpreso per strada dai suoi creditori, a cui dovrebbe consegnare l'automobile, Gillis fugge, divenendo protagonista di un movimentato inseguimento. All'improvviso, dopo aver forato una gomma e aver intravisto una stradina laterale, sterza rumorosamente a destra nascondendosi provvidenzialmente alla vista dei creditori. La via imboccata lo conduce direttamente alla villa della famosa diva Norma Desmond.
Tra i due nascerà un rapporto morboso, incentrato al principio sull'affidamento a Gillis dell'incarico di scrivere una sceneggiatura, quindi sulla seduzione operata dallo scrittore sulla diva al solo fine di poter beneficiare degli sfarzi di una vita che non gli appartiene. L'epilogo del rapporto vedrà Gillis sbattere in faccia all'ex star l'illusorietà del mondo che si è costruita per proteggersi, causando una folle reazione della donna che culminerà con tre colpi di pistola all'indirizzo dell'amante, mentre questi si apprestava ad abbandonare la villa.
All'arrivo della polizia e dei media, Norma Desmond, in preda al delirio, recita il rituale del suo grande ritorno alla notorietà, scendendo con tutto il fascino della superbia delle star le scale della villa, attorniata da poliziotti, giornalisti, fotografi, illuminata sul volto dai potenti fari degli operatori televisivi e cinematografici. Una scena memorabile, una vera e propria icona del cinema di quegli anni; la cinepresa si sofferma a lungo sullo sguardo della diva, che è convinta di iniziare finalmente a recitare in un nuovo film di Cecil B. De Mille, e mentre scende lentamente le scale, con il volto splendente di luce, l'ombra della morte dell'uomo appena ucciso sembra farla rinvenire dal delirio, ricordardole l'impossibilità di proseguire la recitazione e la necessità di entrare funestamente nell'immaginario di un lutto patologico.

"Viale del tramonto" è un film dal genere inclassificabile, lontano dalle numerose tipologie narrative espresse dalla settima arte fino agli anni '50. Può essere visto e interpretato da diverse angolazioni, tutte plausibili, che dimostrano la versatilità del film, straordinariamente capace di suscitare numerose e disparate riflessioni.
L'opera di Wilder ha indubbiamente dei tratti da commedia drammatica frammista a melodrammatica, esposti però con un gusto letterario particolare, un po' romantico e psicanalitico, molto di moda all'epoca. Ma il film brilla soprattutto per la sua autoreferenzialità, per come riesce a porre al centro del racconto, con efficacia, il cinema. Viene infatti presa di mira l'impietosa macchina Hollywoodiana degli anni ‘40 e ‘50, un'industria di portata commerciale internazionale, in grado di far sognare ed esaltare le star più accreditate dal mercato ma nello stesso tempo capace di distruggerle, negando loro, dopo anni di successo incontrastato e di notevoli affari cinematografici, la possibilità di mantenere un rapporto con il cinema vivo e creativo.
Come tutti i film autoreferenziali "Viale del tramonto" è una pellicola analitica, con una storia vera e nuova, fresca e imprevedibile, sorprendente e critica, che si situa al di là di tutto ciò che nell'industria cinematografica appare stereotipato e classificabile: ordinato secondo le migliori esigenze di mercato.
Forse questo spiega il suo irraggiungibile successo di pubblico e di critica.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 19/11/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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