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"Vincere" è un film convincente e riuscito anche se probabilmente, come molti film sulla nostra storia, finirà presto nel dimenticatoio, snobbato dagli italiani delle ultime generazioni che amano solo le problematiche del presente recidendone inspiegabilmente le radici e le cause che affondano nel passato.
Questo film è stato selezionato dalla giuria di Cannes e invitato in concorso all'ultimo festival, dove non ha per niente sfigurato, sfiorando anzi la rosa dei palmares.
Marco Bellocchio interpreta a suo modo, da artista di razza, ma avvalendosi anche di una ricca documentazione, la storia della relazione tra Benito Mussolini e Ida Dalser, il cui rapporto ha portato alla nascita del figlio Benito Albino, in un primo momento riconosciuto dal padre e poi dallo stesso per sempre rinnegato.
Nelle fasi iniziali della pellicola Bellocchio ci immerge in atmosfere enfatiche, dai forti tratti futuristi, rumoreggianti di ideologie popolari, efficaci nel dare trasparenza di un'epoca con il linguaggio più pittorico della pellicola, in cui sono presenti chiaroscuri e mezzi toni sempre ben modulati tra colori più contrastati indici di una viva speranza.
Una pagina di storia molto suggestiva, dai contenuti metonimici e metaforici ricchi, mai disposti casualmente, composti sempre con estrema cura, capaci di rilasciare informazioni di pregio su un passato memorabile.
Il racconto filmico entra quindi subito nel vivo con una lunga ripresa di ambientazione prevalentemente politica, tra la sede del partito socialista e la redazione del suo quotidiano, siamo nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, Mussolini è direttore dell'"Avanti!", giornale che raccoglie nelle masse popolari molte speranze progressiste e riformiste, ben sostenute da un partito socialista di grande autorevolezza etica.
Nel film Ida Dalser è una delle tante donne militanti nel partito socialista, che trova in Benito Mussolini, aspirante leader politico dai tratti fortemente autoritari, l'uomo della sua vita, corrispondente ai suoi ideali più spirituali e al bisogno inconscio di vivere una passione erotica a lungo agognata.
Mussolini è un militante socialista con un forte carisma ideologico; la sua grinta piace alle donne, e in ogni relazione sociale e politica, giornalistica e accademica, lascia un segno indelebile che si traduce subito in un pensiero innovativo o in un progetto politico nuovo.
Ida fa di tutto per farsi notare da lui, giungendo infine, con successo, a proporgli una storia d'amore, una relazione completa, assoluta, che risulterà anche fortemente erotizzata. I due diventano amanti solitari, privi di ogni equilibrio emotivo, tormentati dalla passione politica, atei, ossessionati da un grande obiettivo sociale e istituzionale da raggiungere in breve tempo, essi sono fortemente uniti da un'idea politica certa, totalitaria.
Il racconto filmico si sofferma anche sulle inquietudini di Mussolini, su alcuni suoi gesti simbolici svelatrici di parti oscure della sua personalità, come quando sfida Dio in pubblico, invitandolo a ucciderlo entro cinque minuti pena il disconoscimento obiettivo della sua esistenza. Benito appare nel film come nella vita reale, sempre esuberante, eccessivo, fortemente condizionato dalle proprie bellicose pulsioni, e dalla poco lucida ambizione politica.
Il direttore dell'"Avanti!" decide a un certo punto di andare contro le delibere prese dal Partito Socialista sulla guerra, provvedimenti alla cui formazione lui stesso aveva contribuito appoggiando il documento politico del partito, diventando un convinto interventista, con la motivazione che secondo lui la guerra del 1915 sarebbe stata l'ultima in Europa perché risolutiva, risanatrice dei mali più strutturali delle società; una guerra in un certo senso rivoluzionaria perché in grado di portare in ogni nazione, pur nell'ambito di un sistema economico liberale, il popolo al potere, unico soggetto politico in grado di imporre e mantenere con autorevolezza quei valori spirituali più legati all'amor di patria e alla giustizia sociale.
Mussolini, in pieno disaccordo con i socialisti, esce quindi dall'"Avanti!" e fonda un nuovo giornale dal titolo "Il popolo d'Italia", preparando un progetto politico nuovo che avrà in seguito, in ogni parte d'Italia, vasti consensi, giungendo addirittura a risultati insperati che hanno dell'incredibile perché segneranno per lungo tempo la storia d'Italia.
Ida Dalser contribuisce al costoso progetto politico e editoriale di Benito senza alcuna riserva, vendendo i suoi beni e dimostrandogli una solidarietà affettiva straordinaria che forse è stata decisiva per la felice messa in moto delle più importanti idee politiche di Mussolini.
Dalla relazione dei due nasce un figlio, Benito Albino, riconosciuto da Mussolini, che accetta anche di sposare Ida in chiesa con rito cattolico.
Partito per la guerra, Mussolini fa perdere a Ida ogni traccia di sé, finendo al termine del conflitto in un ospedale, ferito. Ida riuscirà a trovarlo e a raggiungerlo all'ospedale ma rimarrà delusa della visita perché scoprirà che Benito ha un'altra moglie, Rachele, lì presente. La scoperta suscita un forte contenzioso tra le due che si trasforma subito in dramma: il confronto tra Ida e Rachele è magistralmente rappresentato dai due attori, con numerose sfumature e tensioni. Benito respingerà Ida.
Dopo questa angosciata scoperta di bigamia, inizia per la Dalser una vita nuova, lastricata da un lungo e interminabile calvario teso alla conquista anche minima di una riconsiderazione affettiva da parte di Benito sia per lei che per il figlio. Ida è ancora innamorata del Duce e respingerà sempre ogni offerta in denaro per mettere a tacere la storia.
Con la presa del potere da parte del Duce e l'instaurazione di nuovi rapporti dello stato Italiano con il Vaticano, desideroso quest'ultimo di influenzare lo stato in una politica etica nuova dove al centro fosse situata la famiglia cattolica, la morale cristiana, Benito si vede costretto a rimuovere ogni traccia della sua scomoda storia, e cancellerà con i suoi più stretti collaboratori ogni prova di quanto accaduto.
Benito, per impedire che Ida potesse parlare della relazione con la gente, prende simultaneamente decisioni ancora più drastiche, del tutto disumane, facendo praticamente morire l'ex amante e suo figlio Benito Albino in manicomio: la scelta dell'internamento con diagnosi di follia per Ida liberava il Duce da ogni possibile strumentalizzazione politica del suo difficile rapporto sentimentale.
Il film comunque non è politico ma soprattutto esistenziale: al centro della narrazione Bellocchio mette il dramma di due persone colpite dalla sfortuna e dalla viltà di un uomo, vessate da un tragico destino, colpevoli solo di essere entrati casualmente in relazione, in modi diversi, con una persona che sarebbe diventata potentissima e intoccabile, fragile e compromessa eticamente con il Vaticano, capace per ambizione di essere cinico e crudele e che avrebbe portato con la dichiarazione di guerra a immani tragedie sociali, lutti e miseria di ogni genere.
"Vincere" è un titolo ironico, sarcastico, che praticamente dice tutto sul film, preannunciando agli spettatori sia le conseguenze tragiche di quella parola sia il suo senso più retrospettivo legato al percorso esistenziale oscuro di chi giungerà a pronunciarla.
Il ruolo di Ida, la protagonista, interpretato da Giovanna Mezzogiorno, lascia stupefatti per intensità drammatica e credibilità scenica, un effetto ottenuto grazie all'eliminazione di ogni sfumatura emotiva o esistenziale dalla vita del personaggio, tenendo sempre al centro della scena il dolore e la speranza della donna, con tutta la sua voglia di lottare per ottenere anche solo il piacere di un'identità di madre legittimata dalla comunità. Ida a un certo punto cerca esclusivamente il libero riconoscimento istituzionale del frutto di un amore del passato del quale sapeva benissimo non poteva pretenderne più il ritorno.
La Mezzogiorno si conferma con questo film come la migliore attrice italiana drammatica, degna di un paragone cinematografico anche con Anna Magnani.
Filippo Timi convince sempre di più, interpretando con pregevole verosimiglianza sia Mussolini che il figlio adulto Benito Albino, e confermando le sue doti di grande versatilità recitativa. Con questo film si candida per il futuro più immediato a un ruolo di protagonista del cinema italiano impegnato.
Il film, grazie alla collaborazione con l'Istituto Luce, alterna a scene costruite sul set brevi documentari dell'epoca, discorsi famosi del Duce con protagonisti le folle e i simboli del presunto Impero. L'idea funziona, perché rafforza la credibilità della narrazione: il suo voler rimanere ancorata a un'epoca precisa, senza tradire dettagli culturali o verbali del presente.
Bellocchio, forse inconsapevolmente, è riuscito a dare con questo film l'ultimo colpo di grazia al mito del fascismo e dell'autoritarismo politico, svelandoci realtà umane pre-regime e durante il regime così orribili e impensabili da rendere sempre più certa l'idea che a una democrazia imperfetta come la nostra, dove comunque la divisione dei poteri e la libertà di stampa sono garantite, non esistono alternative se non un impegno costante, dialettico e militante per correggerne i difetti.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 04/06/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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