Recensione world invasion: battle los angeles regia di Jonathan Liebesman USA 2011
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Recensione world invasion: battle los angeles (2011)

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locandina del film WORLD INVASION: BATTLE LOS ANGELES

Immagine tratta dal film WORLD INVASION: BATTLE LOS ANGELES

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Immagine tratta dal film WORLD INVASION: BATTLE LOS ANGELES
 

Nell'estate del 2011 alcuni meteoriti irrompono nell'atmosfera terrestre e cadono, frenati da una forza misteriosa, nei pressi di alcune grandi città sparse per gli Stati Uniti, tra queste Los Angeles.

Nascosti al loro interno vi sono strumenti bellici, armi da combattimento, cloni-soldati alieni che si riversano nelle metropoli formando un esercito coordinato da segnali elettronici, provenienti da astronavi madri in grado di svolgere anche la funzione di veri e propri carri armati volanti.
L'esercito alieno ingaggia una rapida e brutale guerra di invasione contro i civili e i soldati americani.

Lo scopo degli invasori è di impossessarsi dell'acqua terrestre, bene prezioso, necessario al mantenimento della loro vita corporea, ambientale, e al funzionamento dei mezzi bellici di conquista e difesa.

Per affrontare gli alieni, a Los Angeles vengono utilizzati anche i marines, pronti a dar battaglia alla fanteria aliena; tra i marines che giungono a Los Angeles c'è Michael Nantz (Aaron Eckhart), sergente che sta per andare in pensione dopo che i suoi superiori, pur riconoscendogli un passato di valorose imprese, l'hanno ufficialmente catalogato come prodotto militare scaduto, a causa di una scelta erronea da lui compiuta in un importante combattimento che è costata la vita a due marines.

Egli si ritrova suo malgrado di nuovo in battaglia, a causa dell'incalzare degli avvenimenti. Los Angeles è ormai una città deturpata che sta per cadere sotto i colpi assestati dalle forze nemiche. Il sergente Nantz nel suo reparto viene sostituito da un altro sottoufficiale e passa quindi in un diverso plotone comandato dal giovane tenente Martinez (Ramon Rodriguez) divenendone l'aiuto.

La missione affidata al tenente Martinez consiste nel liberare cinque civili, di cui tre bambini, una bella veterinaria e un uomo di colore, rifugiatisi miracolosamente presso la sede della polizia, situata nei pressi di Santa Monica, tra immani rovine murarie e sotto il tiro a distanza degli alieni.

I marines, in buona parte ignari delle reali fattezze degli alieni, visti solo in televisione in ripresa diretta e da una certa distanza, hanno l'ordine di sparare contro tutto ciò che non è umano e cercare di capire, durante il combattimento, i punti deboli delle armi e delle funzionalità anatomiche-fisiologiche degli alieni, sia per venire a conoscenza di come possono essere facilmente uccisi sia per comprendere con certezza il momento della loro morte nel combattimento, evitando così sorprese spiacevoli alle spalle. Riuscirà il plotone dei marines a portare in salvo i civili senza subire grosse perdite? E a scoprire qualche punto vulnerabile sia nei corpi degli alieni che nei loro mezzi da combattimento, tali da consentire una contro offensiva dell'esercito degli Stati Uniti su vasta scala?

Film molto premiato al botteghino dal pubblico americano, inspiegabilmente bocciato dalla critica cinematografica europea. Eppure "World invasion" è indubbiamente il miglior film del genere fantascientifico catastrofico degli ultimi quindici anni, superando, per l'avvincente trama, anche "Independence Day" del 1996.

Numerosi quindi i pregi: pathos dello spettacolo elevato, montaggio sopra le righe, musiche appropriate che suscitano immagini drammatiche parallele al film, ritmo invidiabile, a tratti superlativo per questo genere, storia ben localizzata, semplice, senza variazioni o allargamento di intrecci, che ne avrebbero sfilacciato e rallentato lo scorrere narrativo togliendo unità e univocità di senso al racconto (è questo il lato negativo ad esempio di "Independence Day") e disperdendo inoltre la comprensione.

Nel film d'azione la storia semplice e territorialmente ristretta è l'ideale per mettere in risalto l'atto più specifico, minuto, risaltando l'effetto psicologico e spettacolare del suspense veloce nonché delle tensioni.

Grazie a una più prolungata apertura delle finestre di tempo sceniche, riferite alla messa a fuoco dei personaggi, l'identificazione con i protagonisti e la proiezione dell'immaginario degli spettatori sullo schermo spiccano per la loro maggior intensità, portando l'inconscio dei presenti in sala a combinare felicemente il proprio film immaginifico, legato alle esperienza di vita e al gusto personale, con quello reale della pellicola. L'effetto della sintesi è il piacere per il film.

Film equivocato da numerosi critici, a cui è sfuggito il senso più profondo dell'opera. Essi hanno relegato frettolosamente la pellicola nel già visto, e forse addirittura nel più volte ripetuto.

Questo film sembra voler ribadire come la guerra non sia un male assoluto, nel senso che, interpretata nelle sue logiche più profonde, può portare a svelare parti di sé sconosciute, che riflettono nodi di questioni filosofiche ed esistenziali di indubbia oggettività.

I limiti energetici e di approvvigionamento generale del nostro pianeta sono noti, acqua e petrolio sopra tutti, il diritto di tutti alla felicità ed ad amare la vita può portare quindi a una proposta di razionalizzazione delle risorse che se non accettata da tutti non può che far scivolare verso la lotta armata generale.

E allora cosa resta da fare se non la guerra quando, finite le proprie risorse d'acqua, un pianeta che come quello del film anela alla vita, le trova in un altro mondo come il nostro? O la morte per depressione o la guerra per vivere. L'importante in guerra è rispettare le regole.

L'originalità di questo film sta nel aver posto in evidenza i limiti in cui gli abitanti di un pianeta si muovono e vivono, sia sul nostro che su quello più immaginato degli alieni. Che non sono solo limiti di risorse, ma anche di civiltà, di razionalità, di uguaglianza e correttezza istituzionale. Si fanno le guerre per porre rimedio a qualcosa, per ristabilire degli equilibri perduti o per affermare un'ideologia. La guerra è vero è un'aberrazione, ma in stretta relazione con i lati più oscuri del nostro cervello, quelle parti di sé così buie e importanti che neanche la civiltà riesce a tenere in quiete per lungo tempo, quindi inutile meravigliarsi di tanto male, i presupposti sono nel nostro DNA nel gioco bizzarro della natura più evoluzionistica.

Ecco allora anche spiegato, almeno in parte, il piacere di vedere sequenze filmiche di guerra ben dosate, dall'azione rapida, congegnate in funzione di un puro divertimento. Il film di guerra piace perché estrae e sublima in qualche modo le parti più inibite dello spettatore ben civilizzato.
I film di guerra come questo di Liebesman smitizzano la facilità di vivere delle nazioni, richiamando alla verità di come la felicità sui pianeti sia per pochi privilegiati. Grandi masse vivono di stenti, subordinate a un lavoro che non piace, succubi del potere, con la prospettiva di vivere la vecchiaia con ulteriori disagi e nell'ingiustizia più allarmante.
La civiltà sembra ribadire Liebesman non è altro che un forzoso collante tra classi molto disuguali tenuto in piedi da sussidi e stipendi poveri e in essa, quando i limiti delle risorse esplodono del tutto,la guerra garantisce nuovi equilibri, in base anche al comportamento più o meno valoroso di ciascuno in battaglia e all'intelligenza dei comandanti.
La guerra è sempre anche una speranza di cambiamento del sociale.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 09/05/2011 15.18.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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