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L'idea di girare un film in America, che sposasse senza riserve la causa dei giovani non omologati dal "sistema", incentrato sulle vicende personali e particolari di una giovane donna e di un ragazzo, era venuta ad Antonioni durante una delle sue permenenze negli Stati Uniti.
Ma è stata la scoperta di un luogo chiamato Zabriskie Point, nel cuore della Death Valley, la Valle della Morte, il punto di massima depressione geologica degli Stati Uniti, che ha fatto concretizzare l'idea e ha gettato le basi di quello che, a ragione, può essere definito l'espressione massima di un autore al culmine della sua percezione creativa, sui temi e le contraddizioni del nostro tempo, in un paese come l'America che è il luogo dove si concentrano allo stato puro alcune verità essenziali, ma anche il paese dove si dilata metaforicamente la realtà che configura il dramma esistenziale di molti.
Certo con "Zabriskie Point", Antonioni non esaurisce tutto quello che può essere detto sull'America, sui giovani e sulla società dei consumi, sulle tradizioni americane e sulla faticosa ricerca del nuovo.
"Zabriskie Point" è una storia semplice che parla di cose complesse, è una favola e una fantasticheria, un sogno e una profezia, un'astrazione e un'utopia, per cercare di dipanare il filo di un discorso che si sviluppa attorno ad una realtà difficile e violenta, che quotidianamente assedia la vita delle nuove generazioni e invalida sul nascere le loro speranze di cambiamento delle strutture della società.
Il film non si incentra tutto attorno alla vicenda di Daria (Daria Halprin) e Mark (Mark Frechette) - i due giovani, sconosciuti protagonisti - e di qualche altro soggetto più o meno sistemato all'interno di questo tipo di mondo.
E in parte non è neppure un film sulla contestazione giovanile, che a quel tempo scuoteva l'America e non solo l'America. Ma è un film che, pur partendo da un meeting studentesco, segue un itinerario completamente diverso, per parlare di libertà individuale e di libertà assoluta.
Il sogno, impossibile, di chi fugge dal denaro, dal consumismo, dall'establishment, dal potere, e lo annienta solo nell'immaginazione.
Attorno a questa utopia c'è il paesaggio, ci sono le montagne, il deserto, le città, le foreste di cactus, ma anche i ghetti, la gente che soffre, quella che si rivolta, quella che sa e capisce ma non ha la forza di ribellarsi, quella che forse è colpevole. C'è tutto questo perché sono l'anima e la linfa di questa America innocente e violenta.
Poi c'è la Death Valley e il punto Zabriskie che ne è il cuore e che dà il titolo al film: "Una zona - dice il cartello letto dalla ragazza - di laghi antichissimi prosciugati da 5/10 milioni di anni. I loro letti sono stati spinti verso l'alto dalle forze del sottosuolo e corrosi dal vento e dall'acqua".
E infine ci sono loro, Mark e Daria, due giovani in fuga, consapevoli o inconsapevoli, dalle rispettive realtà e al di fuori da ogni immaginabile schema.
È in quel punto, da primordi della terra, che Daria e Mark si incontrano e si amano sulla sabbia e nella polvere, si allacciano liberamente, felici di essersi conosciuti e di essere scampati per il momento ai valori opprimenti e repressivi della società dei consumi.
Così la Valle della Morte si trasforma, ai loro e ai nostri occhi, nella Valle dell'Amore, e come per incanto o per magia, accanto a loro, altre coppie, altri gruppi di amanti sorgono dalle dune e dai costoni; decine di immaginarie coppie si moltiplicano, si accoppiano, si rotolano nella polvere, liberi e indisturbati, incuranti di tutto e di tutti, in religioso silenzio, senza rumore, senza bisbiglio alcuno, come in un nuovo Paradiso Terrestre, un nuovo Eden, astratto, primordiale, liberatorio, surreale, eterno.
È la prima delle due sequenze oniriche alle quali sono legati la forza e la straordinarietà del film.
Quando nella sequenza onirica conclusiva, il dolore di Daria per la fine di Mark completerà il processo di annientamento della sede del "sistema", culminante, come in un castigo biblico o un'apocalisse post-atomica, nella ripetuta esplosione di una villa posta sul costone della collina, il processo di distruzione del capitalismo trionfante sembrerà completato, mentre nella valle, come lapilli, ricadono frammenti di oggetti, macchine, strumenti, simboli del benessere e del dominio ideologico.
Così, quando la ragazza, dopo aver assistito all'esplosione provocata dalla forza del suo dolore, si allontana, con un lieve sorriso, sulla sua vecchia auto, nel canyon scende il più rosso, infuocato, sanguigno dei tramonti, preludio dell'inizio dell'apocalisse del mondo.
Tutto ciò, ovviamente, è più poesia che sociologia, è più simbolismo che ideologia, ha più una risonanza etica che politica. Eppure "Zabriskie Point" (insieme a "Deserto rosso") è forse il film più politico di Antonioni, beninteso nella forma astratta, che la sua visione pessimistica della società e dell'incomunicabilità umana, consentiva al suo cinema.
La riflessione del regista ferrarese sull'America prende spunto dalla contestazione giovanile di fine anni '60, che all'epoca scosse gli Stati Uniti e quasi tutti i paesi occidentali. A Los Angeles, dove l'Università è spesso teatro di scontri tra studenti e forze dell'ordine, nel corso dell'ultima assemblea, mentre gli studenti sono riuniti per discutere delle strategie di difesa e di lotta da adottare uno di loro, Mark, stufo delle solite sterili contestazioni, alla domanda di uno studente nero, se c'è qualcuno tra i bianchi disposto a morire, risponde: "si, ma non di noia" e si allontana dall'aula.
Si reca quindi alla stazione di polizia per andare a trovare un suo amico, fermato dalle forze dell'ordine, dove viene fermato a sua volta. Invitato a declinare le sue generalità, dice di chiamarsi Karl Marx, e un poliziotto, senza titubanza alcuna, ne prende nota.
Rilasciato va a comprare una pistola, che l'armiere gli vende quando apprende che intende usarla contro i neri. Successivamente quando la polizia assalta con lacrimogeni la sede dell'Università e un poliziotto uccide un manifestante di colore, Mark vorrebbe vendicarlo, ma è preceduto da un compagno che a sua volta uccide l'uomo.
Conscio della gravità di quanto accaduto e sentendosi fisicamente in pericolo, si allontana dal luogo dei disordini e comincia a vagare per la città. È senza soldi ed ha fame, tenta di farsi dare un panino da un salumiere che glielo rifiuta. Chiama allora casa sua e il suo coinquilino lo informa di essere stato riconosciuto, di essere sospettato come esecutore della sparatoria e di essere ricercato dalla polizia.
Non gli rimane che fuggire per tentare di mettersi in salvo. Si reca allora all'aeroporto e si impadronisce di un piccolo aereo privato custodito in un hangar, e si alza in volo verso il deserto.
Contemporaneamente Daria, la ragazza, segretaria di un'azienda, si mette in viaggio in macchina verso Poenix, dove ha un appuntamento di lavoro col suo capo (e forse anche suo amante).
Dopo essersi fermata in una baracca che funge da bar, aver telefonato al capo e chiacchierato con un vecchio cowboy e un ex pugile suonato, viene infastidita da alcuni ragazzini handicappati, spediti dalle rispettive famiglie nell'inferno di quel luogo "ameno".
La traversata del deserto è una lunga e metaforica sfilata di simboli consumistici: cartelloni pubblicitari, messaggi reclamistici, slogan promozionali . Intanto Mark continua a volteggiare libero nel cielo, fino a quando non scorge dall'alto l'auto solitaria della ragazza che corre veloce sulla strada, tra la sabbia.
Comincia così a compiere spericolate acrobazie nel tentativo di spaventare il guidatore, ma poi si accorge che al volante c'è una giovane donna e comincia a corteggiarla dando inizio ad un metaforico flirt tra aereo e macchina. Poi le lancia un drappo rosso e a segni fa capire alla ragazza la sua volontà di atterrare, lei intuisce subito le sue intenzioni e lo aiuta nell'atterraggio, disegnando sulla sabbia il punto esatto in cui deve toccare terra.
Una volta sceso dall'aereo i due fanno conoscenza ed entrano subito in confidenza, poi lui le chiede un passaggio fino alla prossima stazione di servizio per cercare del carburante, ma a metà strada, nel punto chiamato Zabriskie (da cui il titolo del film), si fermano e cominciano ad esplorare i luoghi più nascosti della Death Valley, a giocare come due adolescenti nell'infanzia dei tempi, a rotolarsi nella polvere, ad amarsi come fossero soli sulla terra, novelli Adamo ed Eva nel loro personale Paradiso Terrestre.
E quando la sensualità dei loro corpi si moltiplica sotto il sole rovente e dal nulla, altre coppie di amanti sorgono, si fondono e si uniscono in tanti amplessi collettivi, la Valle della Morte si trasforma nella Valle dell'Amore. Ed è il trionfo dei sensi ed il sorgere di un ipotetico universo rinnovato.
Tornati in strada si imbattono in un poliziotto di pattuglia, che rischia di essere ucciso da Mark, terrorizzato all'idea di essere stato riconosciuto ed arrestato. I due ragazzi tornano, quindi, all'aereo e lo dipingono con colori sgargianti ed allegri, poi si separano e Mark decide di tornare indietro e restituire il velivolo, mentre Daria invece prosegue il suo viaggio verso Poenix, per raggiungere la villa del suo capo.
Arrivato all'aeroporto, appena sceso dall'aereo, però Mark viene freddato da quello stesso potere al quale si era ribellato, senza avere il tempo di dimostrare, forse, la sua innocenza. La polizia diffonde la notizia dell'uccisione di Mark e Daria l'apprenderà dalla sua autoradio mentre è ancora in viaggio verso la sua meta finale.
L'apocalittica scena finale, come innescata dal dolore della ragazza, chiude il film, mentre il tramonto colora l'orizzonte del deserto di rosso sangue e il cielo si riempie dei frammenti inutili degli oggetti del benessere che l'esplosione disperde in giro, come tanti coriandoli colorati e luccicanti, trasportati lontano dal vento.
Catarsi del dominio economico e del consumismo, che l'uomo stesso ha costruito e dentro i quali ha annullato i suoi ideali.
Ricco di metafore e di allusioni, in Zabriskie Point si scontrano due visioni del mondo contrapposte: da un lato chi ha il potere (anche economico) in mano e lo esercita a sua immagine e somiglianza; e dall'altro chi questo potere lo subisce, sognando, magari, di cambiarlo modellandolo secondo i suoi ideali e la sua ideologia.
Nello stesso tempo il film di Antonioni è anche un percorso individuale di libertà, ed un itinerario di emancipazione da quei valori borghesi, che conducono alla perdita di centralità dell'uomo e al suo annientamento, in un mondo che non concede più nulla ai sentimenti.
Come quasi tutti i suoi lavori, anche Zabriskie Point non è un film facile da comprendere ad una prima, distratta visione: lo stile freddo, il simbolismo insito, l'immaginario profetico, l'astrazione utopica, il pessimismo cosmico, l'incomunicabilità umana, ne fanno un film difficile ed affascinante, che meglio sintetizza, però, il pensiero cinematografico di Michelangelo Antonioni.
La sostanza e i termini di raffronto su cui si basa il suo cinema ci sono tutti: l'amore e la fuga, le scelte individuali e il consumismo, la morte e la sessualità, il sogno e l'utopia, la società capitalistica e i suoi simboli repressivi.
Tutti temi che riesce a plasmare in modo ineccepibile, rendendo il suo cinema un'esperienza unica e avvincente, capace di regalare agli spettatori momenti che rimangono impressi nella memoria.
Convinto divulgatore del pessimismo esistenziale, da sempre attento alle problematiche e alle difficoltà dell'uomo moderno, con questo film Michelangelo Antonioni si fa esploratore di un linguaggio nuovo e si fa portatore di nuovi valori, che prescindono da quella visione pessimistica della società che tanto aveva contraddistinto le sue opere precedenti.
Qui la bellezza, la vitalità, la sensualità, l'immaginario dei protagonisti si impongono sugli evidenti mali della società, tutta basata sul benessere materiale e sulla perdita dei valori autentici. Non a caso Zabriskie Point è il primo film di Antonioni che si fa portatore dei valori e della forza della ribellione: l'esplosione finale della villa, come atto di dissenso verso un simbolo (o il simbolo) del capitalismo trionfante, condannato a disintegrarsi per far posto a una nuova società e forme di vita nuova.
Nichilista, forse, ed anarchico come il Mark Frechette, interprete della pellicola, un condensato di sensualità e trasgressione, disprezzo delle convenzioni e ribellismo giovanile, ragazzo americano, bello e dannato, il quale, dopo una breve stagione in Italia (è stato anche l'interprete del film "Uomini contro" di Francesco Rosi e di "La grande scrofa nera" di Fillippo Ottoni), è ritornato in America, dove, dopo aver donato tutti i soldi guadagnati con il film di Antonioni ad una comunità hippy, si è fatto coinvolgere nel tentativo di rapina ad una banca di Boston nel corso del quale è rimasto ucciso un complice, freddato dalla polizia.
Condannato a quindici anni, è morto a soli ventotto anni, in un carcere del Massachussets, vittima di un incidente nella palestra della prigione, le cui circostanze non sono state mai del tutto chiarite.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 19/02/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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