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Rispetto al "trionfo della volonta'" non ci troviamo di fronte ad un film di propaganda ma alla genesi del documentario sportivo. La Riefenstahl riprende in maniera superba tutte le discipline di atletica, comprese quelle con protagonista Owens ovviamente, con tecniche all'avanguardia che ancora oggi vengono utilizzate. Certo oggi siamo abituati ad un ritmo piu' accelerato e magari la lunga sequenza dedicata ai lanci annoia un po'. Imperdibili i primi 20 minuti invece, con la storia delle olimpiadi e il viaggio della fiaccola olimpica rappresentato con immagini e musica.
Mettendo da parte ciò che riguarda la figura controversa della Riefenstahl, bisogna dare atto che Olympia pone le basi per la codifica del documentario sportivo dal punto di vista della regia e del montaggio, ripresi in blocco più tardi con l'avvento del mezzo televisivo. Ogni volta che vediamo un qualsiasi meeting di atletica, l'esaltazione del gesto sportivo, la fatica dell'atleta, le reazione del pubblico, non si può negare che Olympia ne rappresenti l'origine. Regala momenti di indubbio fascino che l'estetica della regista tedesca mostra in tutta la sua evidenza, come le riprese notturne della gara del salto con l'asta: uomini che sbucano dal buio contro quell'asticella da superare.
Alla faccia di ogni presunto sessismo del fuhrèr, "Olympia" è un' operazione russa - in quanto film(?) di propaganda ideologica anni '30 - della tedesca Leni Riefenstahl, cineasta donna con una quarantina di operatori a disposizione. Documentario o Film? Documentario senz' altro, nonostante una straordinaria stilizzazione del linguaggio e una messinscena d' "espressionismo russo" anziché tedesco. Cinematograficamente bello, le due parti che compongono l' opera - soprattutto la seconda per l' esaltazione della bellezza e perfezione ariana (anche se alle saune si possono ammirare pistolini da 4a elementare) - sono un errore colossale: apologia del nazismo. Quasi 4 ore che documentano tutte le gare delle Olimpiadi di Berlino del 1936; peccato per hitlerino (immortalato con movenze parecchio effeminate) che raramente si è vista la bandiera tedesca alle premiazioni. Una celebre curiosità: il fuhrer stesso andò in escandescenza per come venne ritratto Jesse Owens, sporco negro che stracciò in tutte le specialità lo stallone di pura razza ariana, e col quale alle premiazioni, da vero perdente, si rifiutò di congratularsi. Quest' Opera comunque è Storia del Cinema.
E' facile tirarsi addosso tutto il pregiudizio possibile per la Riefenstahl (ma che vita affascinante, oserei dire) e per un film che sicuramente sarà un must nella videoteca ideale di ogni naziskin/decerebrato che si rispetti. Ma non è facile nemmeno acclamare un film del genere senza scontrarsi con l'ideologia nazista di cui è permeato, e al tempo stesso arrendersi davanti alla capacità tecnica della suddetta opera, che ha in tutto e per tutto (e nonostante tutto) la bellezza e, appunto, l'apoteosi (come il titolo di un episodio del film) del CAPOLAVORO. Film di propaganda nel senso piu' deleterio del termine, ma anche la consacrazione di una grandissima regista, capace di suggestioni visionarie (notevole l'influenza del surrealismo francese, di Vigo e del lirismo di Flaherty) a incentivare la bellezza fisica dello sport favorito, della competizione, della vittoria umana. Emblematiche le sequenze di nudo maschile e femminile atte a celebrare la bellezza fisica della razza ariana: sono sequenze affascinanti, e mentre dico questo già mi ribello al fatto che credo che questo film ideologicamente indifendibile (o magari solo ambiguo) sia una delle piu' grandi opere visionarie del XX Sec. E' altrettanto ambigua la vicenda della premiazione dell'afroamericano Jessie Owens, che viene immortalato durante la premiazione per pochi secondi. Come racconta la storia, il Fuhrer si rifiuto' di dare la mano a un'uomo di colore, e probabilmente parti di questa vicenda sono state tagliate in fase di produzione, su imposizione dello stesso partito nazista che finanziava il film. Insomma, opera da odiare per ovvi motivi, ma di una bellezza indiscussa. Sulla Riefenstahl, confesso che mi intriga molto: mi basta sapere cio' che è diventata negli ultimi due decenni di vita, paladina dei diritti umani proprio in Africa, per riabilitarla o, forse, confondere la mia opinione su di lei