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Ecco,questo è forse corto di Svankmajer che preferisco,assurdo,stravagante,ricco di metafore ed omaggi,aperto a più interpretazioni,insomma praticamente perfetto....... Imperdibile.........
Una delle opere più significative di Svankmajer, uno dei suoi film migliori e, aggiungo, uno degli omaggi al Cinema di Chaplin più affascinanti e interessanti di sempre. Il regista tornerà ad omaggiare Chaplin in "Food".
Mai piaciuto il stop-motion mi ha sempre dato un senso di angoscia, tuttavia qui ci sta tutto ed è perfino un film immediatamente intelleggibile pur facendo parte del filone intellettuale-cinefilo-incomprensibile. Almeno credo.
Metafora delle difficoltà della vita: Il protagonista si ritrova scaraventato in un' ambiente sconosciuto come l' uomo alla sua nascita ed allo stasso modo non puo ritornare in dietro. Segue un percorso gia segnato da altri, rimane perplesso quando le cose non vanno come credeva in una spirale crescente di difficoltà, cercare una fuga da un mondo ed una vita difficili ed imperfetti è impossibile ed anzi chi ci prova viene fermato, il pugno a molla che che simboleggia la società che non accetta chi va contro corrente e vuole uscire dal sistema, rimanere senza vestiti, senza nulla -senza certezze?- per poi venire illusi da una vaga speranza poco prima della dipartita che non corrisponde all' uscita dalla stanza/vita verso una stanza/paradiso ma ad un epitaffio la cui memoria verrà cancellata ben presto (tanto che non vediamo nemmeno il cognome).
Corro il rischio della sovrainterpretazione e tutto il resto, ma non è forse un'opera d'arte destinata(e talvolta finalizzata!)ad una presentazione di materiale scomposto da poter essere conquistato dallo spettatore e ricostruito nella maniera più opportuna? Molti hanno paragonato questo splendido cortometraggio a "Film" di Alan Schneider: stesso senso d'oppressione e di smarrimento esistenziale. Vero: ma le similitudini non sono nemmeno così tante a mio avviso. Nel cortometraggio di Schneider e Becket l'alienazione era tutto sommato autocompiaciuta, era ricerca, era volontà del nulla... qui vi è una rappresentazione totalmente kafkiana e perturbante dell'esistenza(il finale a mio avviso chiarisce questo punto). Nel caso di The Flat la trama la si potrebbe riassumere come una rappresentazione della vita di un uomo solo che vive un rapporto conflittuale con la realtà, con gli oggetti. Fin qui niente di nuovo, si potrebbero benissimo fare paragoni con Chaplin o con il miglior Keaton de "Il navigatore": vi è una disgiunzione tra l'oggetto in sé e la funzionalità per cui esso è concepito. Svankmajer - chi lo conosce capirà subito quello che intendo(ritiene gli oggetti inanimati più "vivi" di quanto non siamo noi, in un certo senso) - nel corso della sua carriera ha spesse volte illustrato questa conflittualità rielaborandola in chiave differente. Laddove la conflittualità tra gli oggetti/realtà e gli uomini in Keaton e Chaplin erano meri strumenti ironici che velavano un discorso sull'alienazione umana(spesso motivata anche da ragioni sociali, come ne "Il navigatore", oppure nella rappresentazione dell'alienazione in "Tempi moderni", mostrandoci un uomo ridotto anch'esso a strumento, oggetto), in Svankmajer gli oggetti prendono letteralmente vita e dove c'è vita c'è conflittualità, come mostrato da Jan nel suo cortometraggio più famoso, Dimension of Dialogue. In pratica gli oggetti non sono più strumenti del reale che si ribellano nella loro funzionalità, bensì forme di vita vere e proprie che contendono con l'uomo in maniera vera e propria. Eppure se un paragone può essere fatto, a me ha ricordato più Keaton che non Chaplin. La disfunzionalità degli oggetti è rivelata - come ha perfettamente notato The Gaunt - dalla loro alternativa usufruibilità. Riassumendo, gli oggetti perdono la loro essenza relazionale, perdono cioè la loro funzione predominante, ma - proprio come se dotati di una propria essenza - divengono utili quando scardinati da questa loro presupposta usufruibilità di partenza. Fatta questa parentesi, questo The Flat è un film che potrebbe benissimo essere analizzato come un saggio sull'alienazione ed è un vero è proprio piece di surrealismo(anche la comparsa straniante di un uomo con un pollo che porge un'ascia al protagonista, che scopriremo chiamarsi Josef). Ma le frecce a cosa conducono? Le frecce, segni per eccellenza, perdono qui il loro valore indicativo prettamente indicativo. La meta cui esse conducono è infatti sconosciuta al protagonista stesso, che si ritrova al centro di un disordine esistenziale, di una caotica rappresentazione della realtà in cui gli oggetti perdono la loro funzione caratterizzante(salvo poi riscoprirne altre, non associabili in genere ad oggetti simili, come sbucciare una mela con un cacciavite...), la realtà è in rivolta e le frecce non conducono da nessuna parte. Nessuna speranza di contatto arriva neanche dall'unico uomo che compare nel film insieme al protagonista, quello con la gallina: con un cenno della mano lo invinta a seguirlo. Nessuna spiegazione... gli porge un'arma e se ne va. Al protagonista non resta che sfondare la porta e poi saprà quello che fare. Il finale è, neanche a dirlo, chiaramente pessimista. L'uomo, nella sua tragica dimensione quotidiana, nella sua miseria, nella sua grandezza, non è altro che un nome scritto tra tanti nella storia. Il cognome di Josef non ci verrà rivelato... cosa importa d'altronde? In quella stanza dove nasciamo, cresciamo, ci nutriamo, dove sperimentiamo il conflitto con la realtà, con l'altro(che non ci aiuterà certo a capire un bel niente... si limiterà a porgerci ancora una volta inutili oggetti... non c'è spazio in Svankmajer per una vera e propria comunicazione tra individui... si tratta di dimensioni differenti), non siamo i primi, né gli ultimi ad esserci vissuti. Solo un nome su un muro, unica traccia della nostra esistenza, destinata forse ad essere in futuro sovrapposta da altri nomi, da altri volti, da altre esistenze, nella loro tragica banalità.
"Io cerco l'elemento fantastico nella realtà vera e propria. In questo modo lo spettatore riesce a mettere in dubbio il rapporto utilitaristico con le cose e a recuperare la relazione magica con le cose che avevano i nostri predecessori. La mia aspirazione è in pratica quella di fare “documentari surrealisti”. Penso che quanto più il nucleo del film è fantastico, tanto più bisogna essere concreti nel mostrare i particolari, altrimenti si perde l'effetto sovversivo del tutto". Geniale Svankmajer, corto strepitoso.
Niente da dire, il ragazzo mostra talento sin dai lavori più datati. Pazzesco corto in cui tutto sembra non aver alcun senso logico se non quello di spingerti ad applaudire questo simpatico e geniale regista ceco.
Semplicemente magnifico corto. L'uomo è destinato a seguire indicazioni per poi trovarsi solamente davanti ad ostacoli e alla fine rimarrà impresso solo un nome nella miriade di altri nomi. Surrealismo allo stato puro,Svankmajer ricorda molto Bunuel,maestro del surrealismo. Parte lentamente ma gia in maniera eccellente,poi quest'opera diventa un delirio folle in cui la natura,gli oggetti di uso comune si ribellano all'uomo. Tra i migliori corti che abbia mai visto.
Forse sarà un mio abbaglio personale, ma questo corto di Svankmajer pur nelle profonde differenze stilistiche, presenta delle tematiche molto simili a One A.M. di Chaplin: il rapporto dell'uomo con oggetti di uso comune che non rispondono alle esigenze d'uso convenzionali. Ma se in Chaplin si creava l'effetto comico dallo stato di ebbrezza del protagonista, in Svankmejer tali oggetti sfidano le leggi della fisica pur di non essere utilizzati nel loro modo comune, creando l'effetto surreale straniante. Infatti in quest'ultimo il protagonista usando un cucchiaio per disincastrare la mano imprigionata nel muro (uso non convenzionale per tale oggetto) riesce a raggiungere il proprio scopo.
Stilisticamente vicino a pellicole ben più datate,girato con un cupo bianco e nero ed accompagnato da immagini molto claustrofobiche questo notevole corto di Svankmajer illustra la prigionia di un uomo all’interno di un appartamento dove ogni logica è bandita. Inizialmente Svankmajer sembrerebbe illustrare una sorta di nascita,con la rocambolesca entrata in scena e successiva impossibilità di fuga.Il “gattonare” del protagonista seguendo delle indicazioni impresse sul pavimento sembrerebbe voler rappresentare i primi mesi dell’esistenza,basata su apprendimento ed interazione. In seguito però si sprofonda in un affascinante delirio senza freni,all’interno del quale ogni oggetto utilizzato dal protagonista si comporta in maniera bizzarra. La pellicola si impregna velocemente di significati ed allegorie di non facile lettura,mentre il finale amaro sembra sottolineare come l’uomo si illuda di avere il controllo su tutto ciò che lo circonda,in realtà la sua dipendenza è palese a tal punto da legare strettamente la sua vita al mondo circostante ed alla capacità di utilizzare al meglio le proprie risorse.
The flat è uno dei primi cortometraggi di quel genio chiamato Svankmajer, questo è un corto all'avanguardia visto il periodo in cui è stato fatto, anche se secondo me il meglio del regista Ceco verrà mostrato nelle opere seguenti...e specialmente nei lungometraggi.
uno dei migliori corti dell'artista di praga. forman definì il regista un incrocio fra il surrealismo e walt disney, e questo lavoro è la più limpida dimostrazione dell'esattezza della sua definizione.
Poco conosciuto anche a causa delle restrizioni politiche della Cecoslovacchia di quegli anni, che hanno censurato praticamente l'intera filmografia di questo interessantissimo regista, The Flat è un corto di 12 minuti straordinario impregnato di humor nero e di immagini bellissime quanto assurde ( lo specchio che riflette l'immagine del protagonista di spalle,il cucchiaio con il quale beve il brodo bucato come una groviera e che tira su soltanto la povera mosca finita dentro , la sedia che si accorcia e poi si anima ), tutto questo all'interno di un appartamento-prigione di un uomo che ha a che fare con oggetti che prendono vita a spese del poveretto. In perfetto stile surrealista, certe atmosfere mi hanno ricordato The Grandmother di Lynch, il quale, se ha visto quest'opera, potrebbe anche esservi ispirato.