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Forse il fulcro intero della vicenda è un po' inverosimile, nel senso che la ragione di vendetta è esagerata, ma tutto il contorno è ben fatto, la coppia di sbirri è caratterizzata bene col burbero Carl e lo straniero Assad. Alcune scene mi hanno abbastanza disturbato, claustrofobico. In toto un buon film danese seppur niente di trascendentale.
Bel thriller ,ovviamente sconosciuto , non so neanche se è mai passato in sala io l'ho visto sottotitolato. Prende spunto un pò da seven , un pò dalla trilogia di Millenium e anche un pò della prima stagione di True detective ... Ottima sceneggiatura che dispiega con metodo e senso l'arcano , senza tempi di pause la regia e buona interpretazione degli altrettanto sconosciuti attori.. Se si riesce a recuperare è da vedere..
Lo scorbutico Carl Morck, a causa dei traumi riportati dopo una pericolosa operazione di polizia (in cui un collega è deceduto ed un altro è rimasto paralizzato), viene riassegnato al Dipartimento Q. Una sezione in cui vengono archiviati quei casi irrisolti di cui a pochi ormai importa. Nell'angusto e polveroso ufficio che ricorda un po' il famigerato sottoscala di fantozziana memoria, si imbatte nel caso di una giovane donna, data per morta dopo essersi volontariamente gettata da un traghetto. La mancanza del cadavere e altri piccoli tasselli non posizionati a dovere solleticano l'istinto dello sbirro, che insieme all'assistente Assad comincia a rovistare nel passato arrivando, come da prassi, a mettersi contro i propri superiori. La ragione sta dalla parte dei due investigatori, visto che la donna è viva, imprigionata da anni in un luogo terrificante, perfetto come scenario per le truculenze di "Hostel" o "Saw". Attraverso flashback sempre felicemente amalgamati con lo svilupparsi dell'indagine si delineano i punto oscuri di questa storia segnata da una folle vendetta. La narrazione appare ben calibrata, stesa cercando di attenersi il più possibile ad un registro logicamente soddisfacente. Il maggior pregio sta nella semplicità; non si rincorrono twist clamorosi, non si tende ad ingarbugliare la trama, tutto fila in maniera lineare anche se ovviamente risalire a colpevole e movente non sarà una passeggiata. I due poliziotti non formano la solita scontata coppia agli antipodi da buddy movie. Pur aderendo ad un certo tipo di figura cara al poliziesco americano si distaccano da essa, definendo personaggi molto meno macchiettistici e più umani. Forse eccessivamente "coccolato" da certa critica specializzata "The keppers of lost causes" è un thriller solido, ben confezionato e dalla curatissima fotografia livida come spesso riscontrabile nei prodotti nord europei. Mikkel Norgaard ha messo in scena il primo libro (uscito in Italia col titolo "La donna in gabbia") di quella che ad oggi è una fortunata tetralogia dedicata a Carl Morck; autore dei romanzi e creatore del poco simpatico tutore dell'ordine il danese Jussi Arden-Olsen.
Ecco questo thriller potrebbe essere uno di quei casi in cui la distribuzione italiana, sia pure a scoppio ritardato, potrebbe dare un piccolo spazio sul grande schermo perchè qualitativamente merita. La storia è il classico "cold case" che viene riesumato da un poliziotto problematico e scontroso con tutto e con tutti e di cui ne paga inizialmente le conseguenze il suo assistente. Non è un film che pretende di reinventare un genere, ma ha tutti gli elementi messi bene al suo posto. Una bella storia, personaggi ben caratterizzati e un'atmosfera cupa e fredda che ricorda, specie nella bella fotografia, i migliori lavori di Fincher. Solida la sceneggiatura che centellina bene la narrazione, mantenendo su ottimi livelli la tensione.