Bella orfana, decisa a farsi suora, è ospitata in casa di un ricco zio che, dopo aver cercato di usarle violenza, s'impicca. Erede del suo castello, si dedica a opere di carità cristiana, ma è derisa dai suoi beneficiati.
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Dopo “Nazarin”, Luis Bunuel prosegue nel suo proponimento di contestualizzare figure cristologiche all’interno della società contemporanea. Viridiana è il corrispettivo femminile di Nazarin: una Grace “dogvilleana” “ante litteram” alle prese con le degenerazioni della natura umana, del tutto refrattaria al modello di purezza caritatevole e misericordiosa che ella vorrebbe infondere. Ai suoi atti di bontà non corrisponderanno altri della stesso segno, ma soltanto violenze, soprusi e prevaricazioni (quasi “bukowskiana” –cfr. “La vendetta dei dannati”- la scena in cui i mendicanti prendono il sopravvento, banchettando, gozzovigliando e devastando la sala da pranzo); l’altruismo non paga e produce effetti perniciosi e diametralmente opposti a quelli desiderati, se non è accompagnato dal rigore, dalla severità e, soprattutto, dall’elemento della punizione. Lo capiranno sia Grace sia Viridiana: con la differenza che la prima diverrà la diretta artefice della rappresaglia, mentre l’altra s’adeguerà al nuovo “modus operandi”, lasciando agire il cugino Jorge. Come in “Nazarin”, anche in “Viridiana” si assiste alla rappresentazione di un nuovo messaggio cristiano, mondato da regole e restrizioni di natura confessionale, e consacrato ad una più aperta e moderna visione del mondo. In questo senso emblematici gli atti caritatevoli del borghese Jorge (come quello volto a riscattare un cagnolino bistrattato da un padrone rozzo e volgare e, in particolare, quello diretto a salvare Viridiana): un uomo sì caratterizzato da debolezze e difetti, ma allo stesso tempo sensibile nei confronti del prossimo. A ciò si aggiungono le tipiche invettive “bunueliane” alla vacuità e all’ipocrisia dei simboli e rituali ecclesiastici: si va così dalla estrema sensualità della giovane novizia (messa in luce da inquadrature velatamente osè) alla preghiera corale significativamente controbilanciata -attraverso l’espediente reiterato del montaggio alternato- dalle fatiche dei lavoratori, fino a giungere all’eloquente immagine di un crocifisso che all’occorrenza funge anche da pugnale a serramanico. Come non sottolineare, poi, il blasfemo accostamento tra, da un lato, il “Messiah” di Haendel e l’orgia dei mendicanti e, dall’altro, il brano pop “Shake your cares away” (lett. “scrolla di dosso le tue preoccupazioni”) e l’ultima scena -in perfetta sintonia con l’epilogo provocatorio di “Simon del deserto”- che ritrae Viridiana giocare a carte, quasi fosse in procinto di principiare un rito iniziatico per una nuova prospettiva di vita. Forse leggermente meno graffiante di “Nazarin”, ma parimenti importante nella sua valenza fortemente iconoclasta.
Quando si raccontano verità oggettive sugli esseri umani e sulla chiesa è automatica la risposta negativa e accusatoria della chiesa stessa. Lo fanno sia per non far vedere al mondo che l'uomo è una bestia e quindi come ci si mostra realmente ai nostri occhi, e sia per non far apparire la religione per quella che è: una "costruzione". Finendo qui questo discorso, in "Viridiana" viene trattato questo tema discretamente, ma il film in se per se è brutto. Girato molto male, non un discorso illuminante che caratterizzi quello che si vede nelle scene( sarebbe servito ), musica di sottofondo non adatta( lo Swing finale è l'unica musica degna!) e fotografia non soddisfacente. Gli attori ( a parte la bellissima Viridiana ) non convincono. Non so davvero come faccia ad avere una media così alta.