vita di o-haru, donna galante regia di Kenji Mizoguchi Giappone 1952
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vita di o-haru, donna galante (1952)

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locandina del film VITA DI O-HARU, DONNA GALANTE

Titolo Originale: SAIKAKU ICHIDAI ONNA

RegiaKenji Mizoguchi

InterpretiKinuyo Tanaka, Toshiro Mifune, Masao Shimizu, Ichiro Sugai

Durata: h 2.15
NazionalitàGiappone 1952
Generedrammatico
Al cinema nel Gennaio 1952

•  Altri film di Kenji Mizoguchi

Trama del film Vita di o-haru, donna galante

Tratto dal romanzo "La vita di una mondana" (1686) di Ihara Saikaku, "Vita di O-Haru, donna galante" tratta della vita di una donna che, per essersi innamorata di un giovane di classe sociale inferiore, viene cacciata da corte insieme alla famiglia. Venduta come concubina a un feudatario, dandogli un figlio che le viene subito tolto. La sua vita sarà un susseguirsi di umiliazioni e tristi eventi che la porteranno fino alla prostituzione...

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Voto Visitatori:   9,19 / 10 (13 voti)9,19Grafico
Voto Recensore:   10,00 / 10  10,00
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Voti e commenti su Vita di o-haru, donna galante, 13 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  16/05/2020 00:59:44
   9 / 10
Capolavoro di Mizoguchi e del cinema in generale.
Mi sono innamorato subito di questa ambientazione dell'antico Giappone dove una donna, o piu' in generale "le donne", vengono vessate da regolamenti che non gli permettono di amare chi vogliono o di allevare il proprio figlio.
Il tutto è gestito con una semplicita' spiazzante, soprattutto guardando il comportamento dei genitori di O-Haru.
Una caduta verso il vuoto, nessuna speranza, cattivissimo.
Capolavoro!

Invia una mail all'autore del commento luca986  @  23/09/2019 10:34:08
   9 / 10
Veramente notevolissimo. A mio avviso migliore anche de I racconti della luna pallida d'agosto

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  24/01/2015 22:52:02
   9½ / 10
Dopo aver esaltato ne "I 47 Ronin" lo spirito aristocratico, nobile e virtuoso del medioevo feudale giapponese, Mizoguchi ne fa un ritratto molto più duro e spietato in "Vita di Oharu". Cambia il punto di vista: se prima i protagonisti erano i nobili di corte, i samurai e tutto veniva visto e giudicato secondo il loro codice di comportamento (il senso dell'onore stabilito nel bushido); adesso il mondo viene visto dagli occhi sconcertati e addolorati della parte più debole, sfruttata e oppressa di quel mondo, cioè le donne del popolo.
Cade così tutto il paravento fatto di lussi, onori, grandi princìpi morali, ecc. e appare invece un mondo duro, rapace, insensibile, crudele, sfruttatore: l'altra faccia del medioevo giapponese.
Mai ho visto film che meglio di questo è riuscito a rappresentare la condizione di inferiorità e di sfruttamento a cui venivano sottoposte le donne in passato. E' un film quasi pedagogico da come presenta le vicende in maniera chiara e didascalica. L'intento morale di denuncia in questo film è però tutt'uno con la dolente e commovente umanità della protagonista. Più che una storia esemplare, il film è un omaggio ai dolori e al coraggio di una piccola grande donna del passato, una qualunque ma che vale per tutte.
Sotto accusa è la società, le sue spietate leggi (si favorisce il potente a scapito del debole) e le sue spietate regole (tutto ruota intorno al denaro e al sesso). E' un meccanismo infernale che condiziona e cambia anche chi non vorrebbe farne parte (come la sfortunata Oharu).
Prima di tutto deve fare i conti con l'ingiustizia delle barriere sociali (un samurai non può innamorarsi di una del popolo e deve essere ucciso), la disumanità dei nobili (viene usata per fare un figlio che poi le viene tolto), la grettezza e l'avidità di chi le sta attorno (addirittura il padre!). Nonostante cerchi di restare pura di cuore, la fame, la povertà la trascinano verso il basso; le circostanze la costringono a cedere a qualsiasi compromesso, a vendere la propria dignità. Insomma, anche lei sarà costretta a corrompersi per i soldi. In più deve subire l'umiliazione dei saccenti, dei perbenisti, che la indicano come il peccato, la feccia della società: oltre al danno, la beffa.
Si capisce perfettamente, alla fine del lungo flashback su cui si basa il film, perchè Oharu si trascina disperata, stanca, rassegnata. Mai scena finale è stata così dolorosa nel rappresentare una sconfitta umana, ancora più vera e onesta perché senza alcun tipo di riparazione o consolazione fittizia. L'unico "omaggio" è quello che le fa il regista, riprendendola con l'enfasi, il rilievo e il pathos che in genere viene concesso all'"eroe". Almeno l'arte le rende giustizia.
Film visivamente e stilisticamente molto bello, peccato per alcune lungaggini (dura forse troppo) e qualche momento di stanca.
I cinefili non devono mancare la visione di questo film, per me il migliore di Mizoguchi visto fino a ora.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  07/05/2013 23:51:26
   9 / 10
Ho subito la folgorante perfezione della messa in scena molto più della drammaticità insita nella storia. Mi colpisce ma non mi commuove la vita di questa donna arborea, fragile ma eretta su di una realtà meschinamente sismica. Mi atterrisce invece la rappresentazione, col suo tocco chirurgico, algido, e tuttavia mai esangue, sempre vivo di umanità. Cito fra tutte la splendida sequenza dell’ esilio di O-haru e della famiglia, ripresa da sotto un ponte, da un basso iperbolico che pone i personaggi ad un’ instabile altezza di intangibile dolore.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  03/07/2012 17:31:24
   8½ / 10
Come in quasi tutte le società di stampo feudale, la condizione femminile era di totale assoggettazione verso l'autoritarismo maschile. IL Giappone non fa certo eccezione, anzi questa condizione è persino estremizzata perchè accompagnata da una passiva accettazione dello status quo proprio dalle figure femminili a cominciare dalla stessa protagonista, la quale nella sua condizione sociale iniziale mostra anch'essa un evidente classismo verso i cosidetti ranghi inferiori. C'è una completa mancanza di spirito di solidarietà nelle figure femminili che Oharu incontra nel suo triste cammino: dalla moglie del signore alla monaca del tempio mostrano una gamma di reazioni che vanno dalla percezione di avere una rivale allo sdegno più disgustoso. Una mancanza di empatia nei confronti della condizione di Oharu che ne determina, oltre alla condanna delle stessa Oharu, anche una nemmeno sottintesa complicità con il sistema predominante. Molto lucida e con il giusto distacco l'analisi di Mitzoguchi, attento a non fare un ritratto monocorde di una donna, ma di far emergere tutte le sfaccettature possibili.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  11/05/2011 22:40:10
   9½ / 10
L'amore si sconta vivendo.

Parafrasando il verso, è ciò che subisce O-Haru, donna che nel Giappone del 1600 pretende di sposare chi ama, seppur di rango inferiore.
Quel semplice moto sincero dell'anima la farà cadere di umiliazione in umiliazione, sempre alla mercè delle decisioni di uomini che la privano della libertà di scegliere, la costringono a diventare concubina, poi ripudiata, a generare un maschio per il suo signore, a trasformarsi in cortigiana e infine in mendicante,
Una vita di soprusi, oltraggiata e derisa da quegli stessi uomini che han deciso della sua vita.
Un solo uomo la accetta per quello che è, ma il destino tronca anche quell'attimo di tregua felice.
Un briciolo di calore e solidarietà le verranno ancora solo da donne e da pùttane che, proprio perchè pùttane e reiette come lei, avranno la pietà di offirle un bicchiere di vino per riscaldarsi.
Che si può dire di un film che scorre semplice, lineare, perfetto, senza una macchia di imprecisione, senza una traccia di supefluo?
O-Haru è donna galante che nel fango risplende in tutta la sua dignità.

1 risposta al commento
Ultima risposta 11/05/2011 22.42.05
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  01/11/2010 11:54:36
   9½ / 10
In una soavità spirituale, con i suoi delicati piano-sequenza, con le sue figura umane che si muovono lentamente, musicali, Mizoguchi è come se guardasse il calvario terreno del suo fantasma di carne - della donna, umiliata e comprata dal maschio, venduta dal padre, scacciata dal figlio - da una finestra che s'apre proprio dal seno di lei gentile; spiega da lì egli il tessuto illustrante la triste storia di una vita che attraversa il Giappone, poi il mondo patriarcale, le religioni anche; e ne diviene emblema il luogo sacro, il tempio delle statuine dei santi, tutte raffiguranti uomini, tra le quali riconoscere i volti dei compratori, degli sfruttatori, dell'amore decapitato e degli amanti crudeli, senza pregare: - da maschio a maschio, da padrone a padrone, più il ricordo si addentra, e più s'incupisce invece che rischiararsi: declassata, presa col denaro, costretta a dare un erede, infamata, ingannata, prostituita, negata alla vita monacale, né i ritorni a casa in famiglia le offriranno rifugio e poi... rifiutata anche dagli uomini, quale vecchia pùttana, esule senza pace, sdegnata e allontanata dal figlio ora occupante un rango elevato.

Le illusioni, favolistiche che nel cammino a tratti si accenderanno, si ribalteranno in uno spietato realismo, come l'episodio della 'cenerentola senza nei', o la chiamata a palazzo del figlio... Ma è davvero senza nei la donna di Mizoguchi. Stoica, serva, graziosa, mai abbandonando la propria compostezza, ella porta muta una saggezza che l'uomo non conosce, dal quale sembra aspettarne la domanda per rivelargliela, sentimentale, forse promessa che nella redenzione della donna si nasconde quella dell'uomo... che però egli sembra ignorare, o magari non vuole sapere, e che ne "I racconti della luna pallida" ella sussurrerà all'amato, martire, soltanto dopo la morte, mite e fisicamente lontana come la luna, e com'essa pura... ma soltanto dopo altre notti, altri abbandoni, altre violenze subite.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  23/07/2009 09:56:20
   10 / 10
Capolavoro assoluto di Kenji Mizoguchi, certo, infinitamente superiore anche di Akira Kurosawa, tant' è che un Toshiro Mifune negli anni di "Rashomon" e "I 7 Samurai", si farà decapitare al 18° minuto. E' già stato commentato egregiamente questo film, non ci sono altre parole per questo che è il ritratto femminile più umiliato del cinema di tutti i tempi. Difficilmente ho provato qualcosa di simile come nei primi dieci minuti di questo film, immerso in un' atmosfera lugubre a riflettere i 50 anni suonati di Oharu, donna di un certo rango sociale "retrocessa" a concubina dopo esser stata messa in esilio, con tutta la famiglia, per aver amato un poggio (Mifune), costretta a mettere alla luce un erede maschio (che non potrà nemmeno allattare) per un feudatario, venduta più volte, completamente inerme ma che per amore del figlio - che non riuscirà ad incontrare - di fronte alla vita non cederà mai . Un kolossal in costume, il primo che vedo di Mizoguchi strutturato con un flashback, dal linguaggio cinematografico impareggiabile: oltre che al cambiamento dell' atmosfera, più soleggiata, quando Oharu era giovane e nobile, i piani sequenza più belli li trovate in tutti i film degli anni '50 di questo Maestro del Cinema mondiale. Bellissime anche le musiche.

Ciaby  @  27/02/2009 18:54:45
   7 / 10
Atmosfere sognanti per un bel kolossal in costume del maestro Mizoguchi. Girato in affascinante bianco e nero etereo, racconta la vita travagliata di una prostituta senza più speranza. A tratti, però, il sonno fa capolino.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Gatsu  @  01/02/2009 22:34:02
   8½ / 10
Interessante film sulla donna giapponese. Il regista ha sicuramente reso grande il giappone con le sue pellicole e credo che questa non sia da meno. Non so se è il suo primo film ma sicuramente il soggetto è tratto da un libro. Triste, racconta la storia di una donna che viene completamente umiliata per via di soprusi maschili( a quell'epoca era così ma oggi non è che sia cambiato di molto ), molte scene singolari e toccanti ma soprattutto profondità emotiva. Molto vecchio non so se tutti si cimenteranno nella visione ( non so nemmeno se c'è in italiano, io l'ho visto sottotitolato ) ma ne vale la pena.

Guy Picciotto  @  05/01/2009 19:25:02
   10 / 10
non si può dare meno di 10 ad uno dei 5 capolavori del più grande regista giapponese di tutti i tempi ( infinitamente più grande anche di kurosawa).
In una società così rigidamente gerarchizzata e castrante, l'eroina di Mizoguchi non oppone mai una resistenza veemente e convinta ai continui soprusi che è costretta a subire; queste eroine, per alcuni le più s****te dell'historiette del cinema, non sono altro che vite nate e morte insieme. E' l'ombra dell'ombra dell'ombra. Chi dirige sa che non c'è molto da dire......e il tempo che scivola via, e con esso gli accadimenti, che non sono stati mai, se non nelle omissioni e nelle sbrigative cronistorie biografiche redatte dai circoli del cucito del sabato pomeriggio, la s**** chiude ogni tappa, ogni sua storia, e l'eroina di mizoguchi scompare in un silenzio non tanto d'assenso, perchè nel dissenso c'è poi la morte come risposta, quindi si spegne piano piano in un calvario senza nessun ambiguo percorso di redenzione, Mizoguchi è già dall'altra parte della barricata, nel sogno di un oltretomba nirvanico e lo si evince ogni volta, la potenza evocativa unita ad un tocco che è angelico, che è il suo marchio di fabbrica, e non si può che rimanere scossi da tanta poesia struggente.

5 risposte al commento
Ultima risposta 10/04/2009 22.43.50
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Rusty il Selvag  @  27/08/2006 16:28:09
   10 / 10
"Mizoguchi si dimostra un maestro nel descrivere figure femminili, ci fornisce una critica alla società feudale giapponese".

Riprendo questa parte di testo dal commento di bungle77 per aggiungere che la critica al dominio millenario imposto dall'uomo sulla donna vada oltre una determinazione storica ben precisa e si rivolga alla contemporaneità dove tale dominio ancora si verifica, essendo ritenuto "moralmente" legittimo.

Fino a quando saremo figli di un' umanità in cui è sempre la forza, l'arroganza e l'ignoranza a prevalere sul dialogo e la ragione,
anche ciò restererà invariato o peggio velato dalla solita ipocrisia o dal terribile cinismo imperante.

Gruppo COLLABORATORI bungle77  @  15/01/2006 13:34:32
   10 / 10
Primo Capolavoro di Mizoguchi!!!
Ambientato nel 17mo secolo narra le tragiche vicende di una giovane nobildonna che si arrende all'amore per un plebeo interpretato da un sempre grande T.Mifune. Colpevole di questo amore lei e la sua famiglia vengono cacciati in esilio dove O Haru cerca in ogni modo di fuggire dai fantasmi del passato..
Mizoguchi si dimostra un maestro nel descrivere figure femminili, ci fornisce una critica alla società feudale giapponese.

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