Jacob, un uomo che crede di essere un lupo intrappolato in un corpo umano, viene mandato dalla sua famiglia in una clinica dove è costretto a sottoporsi a forme sempre più estreme di terapie “curative” per mano di The Zookeeper.
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Che la licantropia clinica venga scelta com'allegoria per raccontare altro lo si capisce appena si vede la terapia comportamentale adottata nella clinica riabilitativa, ancor prima che Paddy Considine entr'in scena nel ruolo del villain. In "One Flew Over the Cuckoo's Nest" del '75, Forman rese malefica l'infermiera Mildred Ratched interpretata da Louise Fletcher, ma stavolta la regista è una donna e "canis canem non est". Per giunta la tesi di Nathalie Biancheri non è a favore né dell'antipsichiatria né della depatologizzazione del SID ("Species Identity Disorder"), cambiamento già avvenuto con l'eliminazione della parola "disturbo" nella nuova etichetta "disforia di specie". Qui i cattivi sono anzitutto i genitori che vogliono normalizzare i figli (tutt'i pazienti della clinica sono giovani adolescenti), poi c'è l'attacco ecologista a Hobbes: gl'esseri umani sarebbero come dei lupi quand'invece noi saremmo il peggiore degl'animali? Idea simile al mito del buon selvaggio di Rousseau ("Émile", 1762), anche se trattata con uno stile lontanissimo da quello di Truffaut ne "L'Enfant sauvage" (1972). Infine divaga tra citazioni d'Hannibal Lecter e "Rumble Fish" (Coppola 1983), un po' a casaccio e con molta presunzione. Sarei contento se qualcuno spiegasse chiaramente che, al di là della logica binaria, c'è ancor sempre essa seppur a un metalivello (gl'eccentrici contrapposti ai conformisti). Chiedo troppo?