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Raoul "povero" ma bello

Pubblicato il 19/11/2012 08:48:31 da peucezia
Uomini e donne di tutte le tendenze concorderanno: questo giovane uomo (ormai quarantenne) è stato scelto dagli dei.
Alto quanto basta, occhio ceruleo, sorriso incantatore da bravo ragazzo, fisico asciutto e scolpito dal nuoto praticato in giovanile età. Il cinema lo scelse con il buon Vanzina, gran scopritore di "talenti" ed egli debuttò interpretando se stesso ovvero un ragazzo bellissimo ma ahimé assai povero nell'ars recitandi.
Egli però coraggioso e prode volle rimanere in quel dorato mondo interpretando ruoli di ogni tipo.
La Piovra della televisione lo ghermì con i suoi tentacoli facendolo diventare poliziotto e mafioso, carabiniere indomito e santo e infine lo fece tornare alle sue origini facendolo tuffare nelle azzurre acque.
Anche Avati lo volle prode cavaliero ed egli non esitò di farsi brutto come le migliori stars americane. Anche Hollywood lo chiamò ma dopo averlo saggiato lo rispedì agli italici suoli come del resto fece con tutti i nostri più talentuosi quindi la cosa non è di onta per ello.



Alle soglie degli anta Moccia lo volle innamorato di una giovin fanciulla e alfin di lei lo sposo... involontariamente il nostro buon Federico scoprì in Raoul una dote per la commedia e da allora egli molte ne ha interpretate sempre nel ruolo di se stesso, ma malgrado ogni cosa stuoli di donzelle d'ogn'etade furon sempre pronte a strapparsi le vesti a ogni sua comparsa e a decretarne la fama sbavando di invidia verso ogni sua partner filmica più che verso la di lui legittima consorte.
Oggetto del desiderio di donne in carriera, immaturo a Roma o in viaggio, spasimante della escort per debiti Cortellesi e figliolo onesto del politico folle Placido il suo nome è garanzia di successo.
Perché καλός καιρός, ciò che è bello è sempre buono.

Categorie: Cinema approfondimenti

Commenti: 3, ultimo il 19/11/2012 alle 17.31.45 - Inserisci un commento

Un giorno di vampiresca follia

Pubblicato il 16/11/2012 08:36:39 da foxycleo


Mercoledi' 14 Novembre 2012 ore 16:00 apertura di un multisala qualsiasi in una qualsivoglia citta' italiana. Una giornata qualunque nella vita di un cittadino qualunque, ma non in quella di chi all'interno del multisala lavora. Ore 16:30 un rumoreggiare sempre piu' fitto inizia ad arrivare dal piano terra a tutti i piani della struttura e dentro il petto di ogni dipendente il cuore inizia a battere piu' forte e il pensiero comune e': "sono arrivati". Invece l'attimo e' posticipato, solamente un nutrito gruppo di ragazzini si sta accingendo a vedere Hotel Transylvania. Ore 17:00 il panico prende il sopravvento, dalle telecamere di sicurezza si vedono i parcheggi riempirsi, le cassiere iniziano a sudare freddo, le bariste sembrano doversi preparare ad un incontro di lotta libera, le maschere si muovono in maniera nervosa nell'atrio e perfino le due tranquille dipendenti della libreria accennano a qualche sprazzo di vita. Arrivano; ragazzi universitari, liceali e non che hanno prenotato da giorni per vedere il tanto atteso Twilight Saga: Breaking Dawn-Parte2. Il rumore di voci indistinte copre la musica di sottofondo, i biglietti sono stampati alla velocita' della luce, qualche panino, qualche bibita, molti pop corn e tante caramelle e arrivano le 17:40 tutti in sala, silenzio nel cinema. Ore 18:00 un'ondata ancor piu' nutrita sempre di ragazzi piuttosto giovani e di donne di diversa eta' piomba all'interno delle porte scorrevoli e come un virus si propaga per tutti i piani della struttura. Il ritmo di lavoro si velocizza e le prime gocce di sudore imperlano le fronti di alcuni dipendenti. Finalmente le 18:30 tutti in sala. Ore 20:00 la stanchezza inizia a farsi sentire e si rende palese sui volti, ma non e' il momento di desistere. Tre sale, tre proiezioni ore 20:30 tutte esaurite. La gente si e' impossessata del cinema, sembra un gruppo di lupi affamati che si scaglia su buffet, aperitivi, pizze, patatine e caramelle come se non ci fosse un domani. Una volta entrati in sala i segni della devastazione sono evidenti: bicchieri, bottiglie, cartacce, cibo di ogni tipo, chiavi di automobili, sciarpe, giacche, libri sparsi su ogni pavimento e tavolino. Si inizia la ricostruzione, prima a ritmo lento a causa dell'appena giunta stanchezza poi sempre piu' sostenuto, perche' le 22 si avvicinano. Ore 22:00 la voglia di sedersi e' incontenibile, quella di scappare maggiore, ma i nostri eroi resistono ancora e cercano di arginare il nuovo fiume di persone che si riversa per lo spettacolo delle 22:30. Ci saranno vittime ma anche queste sale entreranno a vedere il tanto atteso epilogo del fantasy vampiresco piu' noto nel mondo. Ore 23, si pensava ormai a una giustificabile calma, e' mercoledi' mica sabato sera e invece no, a causa dei numerosi fan e delle loro richieste di vedere il film proprio il giorno di uscita arriva il tanto temuto spettacolo di mezzanotte. Parole poco gentili e spesso pittoresche escono dalla bocca dei dipendenti costretti a turni piu' lunghi. Anche i sorrisi di cortesia si spengono sui loro volti, sui visi di quelli che si erano ricordati di sorridere o che lavorano da veramente poco tempo per potersi permettere di non sorridere. Ore 2:00 fine delle proiezioni, uscita dalle sale e finalmente a casa. Cosa succedera' sabato? Ci saranno vittime? Chi avra' la meglio? E il Natale e' ancora lontano...

Il Paradiso dei personaggi inutili

Pubblicato il 15/11/2012 08:35:46 da stefano76
ATTENZIONE: QUESTO ARTICOLO CONTIENE PESANTI SPOILER

Esiste un luogo dove sembra che i personaggi più inutili e insopportabili di uno show siano destinati a terminare il loro breve e fastidioso ciclo vitale televisivo. Sono giunto a questa conclusione dopo aver visto l’ultima puntata andata in onda in America di "The Walking Dead", di cui parlerò a breve.
Questo luogo permette a personaggi altrimenti dimenticabili e in certi casi persino risibili, di rimanere altresì a lungo nella memoria del telespettatore. Uomini e donne ai quali abbiamo augurato la morte per puntate o per intere stagioni, si mettono in fila e staccano un biglietto che regala loro un viaggio verso una gloria inaspettata e un posto esclusivo nei nostri ricordi.
Sono passati pochi giorni dall’evento che ha sbocciato in me questa ipotesi/cazzata e quindi non ho avuto modo di ragionarci sopra più di tanto né di capire se effettivamente c’è qualcosa di vero in questo pensiero o se si tratta solo di coincidenze.
Mi vengono in mente, immediatamente, Nikki e Paulo in "Lost". Essi furono i personaggi più inutili dell’intera serie (che poi, più tardi, rivelò anche la futilità dell’80% della sua sceneggiatura, ma questo è un altro discorso); furono uno sbaglio talmente clamoroso che la loro uscita di scena fu incitata a gran voce sui forum di tutto il mondo e gli autori ottennero il perdono ponendo fine alla loro parte con una morte piuttosto orribile: sepolti vivi. L’ultima immagine che testimonia la loro esistenza, raffigura Nikki, paralizzata in uno stato di morte apparente, che spalanca gli occhi prima di ricevere l’ultima palata di terra che cancella per sempre la sua presenza nella serie.



Dopo aver desiderato la loro dipartita per 14 puntate, la sequenza con cui vengono congedati risulta in classifica tra i momenti più belli di "Lost". Sempre all’interno di "Lost", troviamo altri esempi eclatanti: basti citare Ana Lucia e Libby, ricordate solo per la loro morte, tra le più scioccanti e inaspettate, e l'hobbit Charlie, personaggio controverso e piuttosto odiato, che trascorre tre stagioni a suonare una chitarra e a fare piripiri sulla pappagorgia di un neonato, e saluta infine il pubblico con una delle scene più memorabili e commoventi della fiction.



Andando un po’ indietro con gli anni, seguendo sempre la scia di questa inutile elucubrazione, mi viene in mente un’altra uscita di scena stupefacente riservata anche qui a un personaggio talmente improbabile e grottesco, da risultare, forse volutamente, surreale: sto parlando di Maddy Palmer, la cuginetta di Laura Palmer in "Twin Peaks". Del bellissimo sceneggiato di Lynch, questo fu un personaggio non particolarmente riuscito e amato; diventata l’icona del serial senza averne mai preso parte, Sheril Lee pretende che le venga assegnato un ruolo e all’inizio della seconda stagione compare dunque dal nulla la goffa cuginetta di Laura, identica a lei ma bruna e con gli occhiali. Per una manciata di puntate, Maddy non fa altro che ammorbarci diventando il terzo incomodo tra James e Lana in sequenze inutili, pallose e stucchevoli, senza che nessuno, oltretutto, si chieda perché la cugina sembri la gemella di Laura e non la cugina. Finché ecco che gli sceneggiatori le staccano il biglietto e spediscono anche lei in quel luogo magico, riservato a pochi e fortunati eletti, attraverso una scena di omicidio brutale, disturbante e allucinata, di quelle che diventano incubi che ti risvegliano nel cuore della notte. Maddy viene assassinata da Leland/Bob, nella famosa e attesissima sequenza in cui finalmente scopriamo la vera identità dell’omicida, un momento cruciale e straordinario.



Bene. Ora veniamo al vero motivo per cui ho scritto questo blog, dato che ho dovuto giocoforza inventarmi qualcosa per non incentrare l’articolo su "The Walking Dead", di cui si era già parlato pochi giorni fa. Nella quarta puntata di questo interessante telefilm, andata in onda in America il 4 novembre, fa le valige Lori Grimes. Chi segue la serie, saprà che il destino di questo personaggio è stato quello di essere odiato fin dalla primissima sequenza, prima ancora di entrare in azione, durante un dialogo tra Rick e Shane in cui capiamo subito che trattasi di lagnosa rompicoglioni quale poi si rivelerà per tutta la durata della sua permanenza. Si, chi segue la serie saprà certamente che il suo personaggio era insopportabile, e utile ai fini della trama solo per essere stata la responsabile della fallimentare digressione che ha fagocitato quasi interamente la seconda stagione: l’inconcludente triangolo amoroso tra Rick, Shane e lei stessa. Abilissima nell’assumere comportamenti sempre contrastanti con il comune buon senso, dice la cosa sbagliata nel momento sbagliato ogni volta che apre bocca, diventando di fatto l’obiettivo lampeggiante dell’odio feroce di qualunque telespettatore.
E finalmente ce l’hanno fatta fuori. Lori è incinta e sta sfuggendo a un’orda di non morti insieme al figlio undicenne e a Maggie, all’interno di una prigione. Non c’è via d’uscita e Lori sta ormai per partorire. Ma ovviamente, essendo lei un personaggio inutile, qualcosa deve andare storto. Non c’è sufficiente dilatazione, quindi se il bambino deve nascere, bisogna fare un cesareo. Che in una situazione di emergenza come quella, significa prendere un coltello e aprire. Ed è a questo punto che il telespettatore inizia a pensare: no, figuriamoci. Troppo bello per essere vero. Adesso ci sarà la solita sequenza in cui lei spinge (push!!!) e il bambino salta fuori piagnucolando mentre gli zombie tutt’intorno improvvisamente se ne fregano di loro. E invece no. Assistiamo ad una delle scene più cruente e spietate che a memoria io ricordi in una serie televisiva. Maggie afferra il coltello e, piangendo, squarta l’addome di Lori. La regia non si risparmia e ci mostra il ventre dell’odiata Lori che si apre. Le carni che si separano. Non ancora soddisfatti, ci regalano anche un primo piano di lei che strepita come un maiale sgozzato e che urla in preda agli atroci dolori e alle indicibili sofferenze, per poi mostrarci le mani di Maggie che scavano nelle budella macellate e strappano il feto dall‘utero.




Questa sequenza è il giro di boa definitivo di una serie che si stava appisolando, promettente ma svogliata. Le grida di Lori e la sua morte scioccante proiettano "The Walking Dead" ad un livello superiore e scardinano ulteriori limiti riguardo a fin dove si può osare in una serie televisiva. A mio parere una delle scene più forti e impressionanti mai viste in tv, e non tanto per ciò che mostra, quanto per le sensazioni di orrore che suscita, quell’orrore che ci riguarda da vicino e che ha a che fare con il nostro corpo e i nostri sentimenti più viscerali (una scena di parto così io non l’ho mai vista).
Ed in questa sequenza, io ho capito che un destino comune deve per forza legare questi personaggi inutili. Che sia voluto o meno, che faccia parte o no di una regola di sceneggiatura non scritta, essi sono destinati, nonostante tutto, ad essere ricordati per sempre e ad essere spesso addirittura protagonisti di momenti chiave.
Le mie conoscenze di show televisivi, tuttavia, non sono vastissime e oltretutto la mia memoria non è più quella di una volta e non ho più voglia di pensare, quindi se conoscete altri casi fatemelo sapere e contribuite a sostenere questa teoria, inutile anch’essa quanto i personaggi di cui parla.

Commenti: 17, ultimo il 18/11/2012 alle 10.40.12 - Inserisci un commento

L’amico del dottor House

Pubblicato il 14/11/2012 08:40:44 da Pasionaria


Nell’episodio finale della fortunata serie Dr. House, intitolato “Everybody dies” sulla falsariga di una famosa frase del protagonista, ovvero “Everybody lies”, succede di tutto: molte convinzioni vengono riconsiderate tramite la fulminea ricomparsa di tutti i personaggi della serie, come da copione. Ciò che colpisce, però , è l’ultima scena che, sul motivo Enjoy Yourself, vede Gregory House e l’amico James Wilson correre sulle proprie moto lungo la strada che li condurrà verso un nuovo destino, non a caso insieme.

Di otto stagioni, alcune delle quali indimenticabili, resta il sapore di questo legame amicale, quello fra i due medici, unica autentica e costante relazione affettiva del nostro eroe.
Sul personaggio di Gregory House e sulle persone che gli ruotano intorno ci sarebbe da scrivere pagine e pagine, ma ciò che rimane maggiormente impresso in chi ha amato la serie televisiva, è il rapporto insolito che si snoda nei vari episodi, tra House e Wilson.

Un’amicizia maschile, schietta, spietata, cinica; anche giocosa, ironica, grottesca.





Il protagonista indiscusso e personaggio eccezionale, Gregory House, ritrova consapevolmente nell’amico oncologo la propria coscienza: Wilson è sempre pronto a dare consigli, pur sapendo in partenza che non saranno ascoltati, è pronto ad agire per il bene dell’amico, rispettando regole e promesse, continuamente disattese da House. E il dottor Wilson, dal suo canto, riconosce, ammira e invidia la genialità dell’amico, con il quale cerca d’identificarsi in un perenne gioco competitivo di intuizioni, deduzioni e trovate superbe.

Dimmi cosa preferisci : un dottore che ti tiene la mano mentre muori o uno che ti ignora mentre migliori?

In questa frase, che il nostro dottore pronuncia durante un colloquio con un paziente, stanno le fondamenta della sua etica, un’etica discutibile per i più. D’altronde la condotta del dottor House vìola elementari regole di convivenza, senza contare il regolamento all’interno dell’ospedale in cui lavora e il rispetto tra colleghi ed amici. Nonostante i raggiri, gli inganni, gli scherzi che mette continuamente in opera, soprattutto a danno dell’amico Wilson, il Dr House possiede suoi principi, non necessariamente principi morali accettabili, talvolta addirittura folli, ma sono principi che seguono la consequenzialità, ovvero il risultato.
Non si confonda, però, la logica di House con il banale luogo comune “ il fine giustifica i mezzi”, non è così semplice, se, anzi, così fosse, probabilmente i suoi collaboratori, persino Wilson, l’avrebbero subito abbandonato ai propri deliri.
No, no. Il principio consequenzialista di House presuppone che il criterio per valutare la correttezza di un’azione stia nelle sue conseguenze e la sua giustificazione stia nel convincersi(re) che una certa azione porterà alle conseguenze giuste, cioè al bene stabilito ( solitamente quello del paziente). Ed è qui che s’insinua l’amico Wilson, considerato da molti l’anti-house, il quale invece è strettamente legato a principi deontologici, cioè ad un sistema etico basato sui doveri, che condizionano le scelte. Talvolta i due differenti approcci collimano in un’unica soluzione, più spesso no, da qui nascono i ripetuti confronti tra i due amici.
Apparentemente House ne risulta sempre il vincitore, tuttavia ad un’analisi più attenta, emerge sempre più chiara e forte la ragione di Wilson, anche se involontariamente. James Wilson è l’unico in grado di controllare e guidare Gregory ed entrambi ne sono consapevoli, nonostante spesso l’oncologo appaia succube del narcisismo del diagnosta.
Insomma si respingono e si attraggono contemporaneamente e vicendevolmente, attingendo uno dall’altro e riflettendosi l’uno nell’altro,si, sono inscindibili.

Un’amicizia esemplare la loro, un rapporto faticoso ma fecondo, mai banale, sorprendente, ironico.
Come non invidiare un’ amicizia così completa e bizzarra, diventata già leggenda nella storia delle serie-tv!

Categorie: Serie TV riflessioni sparse

Commenti: 7, ultimo il 14/11/2012 alle 18.17.34 - Inserisci un commento

Il cinema di David Cronenberg

Pubblicato il 13/11/2012 08:42:10 da Gianluca Pari aka VincentVega1
Nicholas Tudor si guarda allo specchio. Il suo volto è paralizzato, il sudore bagna la sua fronte, l'orrore urla imprigionato dentro ai suoi occhi. La telecamera si abbassa e mostra il suo addome. Escrescenze si muovono sulla pelle, la disperazione si è fatta carne: maternità viscerale che cova nel corpo di un uomo.
Max Renn gestisce un'emittente televisiva, dà in pasto alla gente una realtà di plastica, la sua merce è l'immagine. Lui stesso diventerà vittima delle proprie illusioni, allucinazioni come ultimo appiglio alla realtà: “Gloria e vita alla nuova carne!”.
Seth Brundle ha superato i limiti della scienza, la sua condanna è la metamorfosi. Sperimenta una fusione molecolare-genetica con una mosca, insetto extraterrestre: peli ispidi sulla schiena, forza sovrumana, voracità sessuale, bisogno incontrollabile di morire.
Claire Niveau morde il feticcio di carne che tiene uniti due gemelli, ne strappa gli organi, i muscoli, i tessuti cellulari. Sangue di fratelli che diventa lacrima: inseparabili dalla nascita, soli nella morte. Cinema implosivo che indaga l'interno del corpo.
James Ballard si fonde con la meccanica della sua automobile. Metamorfosi compulsiva: la leva del cambio si accorpa ai tendini del braccio destro, il volante si avvinghia ai legamenti del braccio sinistro. Le sue gambe fungono da catalizzatore del proprio destino: quando vivere/accelerare o quando morire/frenare. Parola onomatopeica dello schianto: Crashhhhh!



Con il passare del tempo le immagini viste in un film si fanno sempre più confuse nella nostra mente. Inevitabilmente però piccoli ricordi rimangono vivi nel nostro immaginario, come una panoramica sfuocata o un frame perpetuo ricco di particolari più o meno significativi. Il cervello difficilmente abbandona le sensazioni che ci hanno scosso nell'inconscio, anche se queste hanno agito per un brevissimo lasso di tempo. Il cinema di David Cronenberg vive di queste sensazioni: guardare una sua pellicola significa portarsi dietro per sempre un tassello del suo pensiero, un respiro della sua arte, una breve sequenza del suo cinema. Egli mescola finzione e realtà senza possibilità di distinzione, ci insinua il sospetto ma non ce lo rivela, fa dell'illusione la disillusione e viceversa. È stilisticamente distante da cineasti come Fellini, Lynch, Buñuel o Bergman: non mostra immagini oniriche ma vive nell'onirismo e nel surreale. Crea film con intrecci lineari in un montaggio fluido e invisibile che consacra la fiducia dello spettatore in ciò che vede. Distrugge l'organismo contaminato dell'illusione del cinema fondendo la realtà e mostrandola nel video.

Nato a Toronto il 15 marzo del 1943 in una famiglia ebrea, Cronenberg viene ispirato e influenzato sin dai primi studi da geni della letteratura e del teatro quali Burroghs, Nabokov, Henry Miller e Beckett. Laureatosi in letteratura inglese inizia a girare i primi corti e mediometraggi spinto dalla estrema efficacia dello strumento cinematografico. I suoi primi lavori già sottolineano il tema centrale che accompagnerà poi tutti i suoi film futuri. In “Stereo” (1969) e “Crimes of the future” (1970) la mente umana razionale viene spiata dallo sguardo animale con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni. Lo sguardo di Cronenberg si concentra sull'uomo, ma soprattutto sul tema centrale già citato poche righe addietro ma non ancora rivelato: il corpo.



Per me, all'inizio c'è il corpo. È ciò che siamo, ciò che abbiamo. Siamo tutti come degli attori che si agitano sulla scena della vita e la prima cosa che abbiamo sono i nostri corpi fisici, la nostra esistenza fisica. Nei miei film il corpo è sempre al centro. Gli giro attorno come fa un pianeta col sole, non me ne allontano mai. E se ciò accade, più me ne allontano, meno mi sento sicuro di me. Come se diminuisse la gravità.

I cinema d'essai canadesi rifiutano di proiettare i primi film del regista perché in bianco e nero, privi di dialoghi e senza suono in presa diretta, così Cronenberg si vede costretto a conformare il suo stile. Il suo primo film commerciale si intitola “Shivers” (da noi tradotto come “Il demone sotto la pelle”), pellicola che nel 1975 gli porterà finalmente la popolarità. Esso è ambientato in un condominio dove uno strano virus si diffonde fra i suoi abitanti sino a scatenare l'anarchia totale. Non si tratta di uno dei soliti film sul contagio, ma di una profonda riflessione sulla repressione degli istinti umani. Conosciuto ormai anche negli Stati Uniti (paese che detesta, non ha mai girato una sola scena sul suolo americano) , Cronenberg con i suoi film seguenti diventa il rappresentante del body horror (da “The Brood” a “Scanners”, passando per “Rabid”) fino a girare il suo film ad oggi più importante e baluardo di un'epoca che ancora deve finire: “Videodrome” (1983). L'idea del film nasce dall'interesse che Cronenberg nutriva nei confronti di coloro che “si chiudono soli in casa per guardare videocassette porno” (sue testuali parole) ed è un saggio teorico sul mondo dei mass-media e sull'ambigua fascinazione e repulsione che l'occhio umano prova di fronte ai propri sogni e ai propri incubi. Angosce e allucinazioni del protagonista del film sono proprie di quella magnifica letteratura iniziata da Burroghs e Kafka, grandi ispiratori e maestri di vita del regista.



Ginecologo dell'incubo e dell'orrore, ostetrico della mutazione visiva, Cronenberg, dopo il suo film simbolo, gira su commissione il suo prodotto più commerciale, “La zona morta” (1983), senza però abbandonare il suo status di autore. Diventato ormai famoso in tutto il mondo, si dedica al remake di un datato film hollywoodiano con protagonista il mitico Vincent Price, “L'esperimento del dottor K.” (1958), stravolgendone la trama a favore di una maggiore introspezione del protagonista e di una mutazione splatter visivamente disturbante. Nel film Seth Brundle costruisce una macchina del teletrasporto composta da due capsule. Egli, provandola, incrocerà erroneamente il suo codice genetico con quello di una mosca ed inizierà una lenta mutazione in un insetto gigante. Esso prende il titolo di “The fly” (1986) ed è un'amara meditazione sul destino che obbliga i corpi all'immobilità per non perdere la reciproca attrazione che li unisce.

Diventato il suo più celebre film di cassetta, dopo “La mosca” Cronenberg realizza l'opera che segna una svolta importante nel suo stile: “Inseparabili” (1988). Il film racconta il rapporto malato e ossessivo di due gemelli ginecologi messo a rischio dall'incontro con una donna dall'utero triforcuto (ennesima alterazione, questa volta invisibile). Per la prima volta le mutazioni esposte da Cronenberg diventano interne, delle viscere, degli organi: scompaiono le scene forti e disturbanti e i personaggi manifestano il metaforico bisogno di rivoltarsi la pelle per mostrare la totale bellezza del corpo umano. Il regista canadese si spinge oltre al corpo, diventato irrappresentabile proprio per il volerne mostrare l'interno, e penetra nella mente dei suoi protagonisti. Mette in scena l'orrore del guardarsi dentro.



Agli inizi degli anni novanta Cronenberg realizza il suo progetto più importante, la traduzione cinematografica delle opere e della vita di William Burroghs, suo scrittore di riferimento nonché caro amico, dandogli il titolo di uno dei suoi libri più famosi: “Il pasto nudo”. Rimanendo in ambito letterario egli poi gira “Crash”, film basato sul libro omonimo di James G. Ballard, il primo romanzo pornografico eretto sulla tecnologia. Cinematograficamente è una rivoluzione: il film presenta le azioni dei suoi protagonisti per accumulo, senza una vera e propria trama di fondo, utilizzando la stessa struttura ossessiva e ripetitiva del porno. L'opera è una lucida riflessione sull'uomo e sulle sue mutazioni psicofisiche indotte da un sempre più stretto rapporto con le tecnologie, in questo caso le automobili.

Abbiamo ormai incorporato l'automobile nella nostra comprensione del tempo, dello spazio, della distanza e della sessualità. Voler immergersi in tutto ciò in modo letteralmente fisico mi pare una buona metafora. C'è un desiderio di fondersi con la tecnologia.”

L'ultima metamorfosi della filmografia cronenberghiana, sviluppatasi negli ultimi vent'anni, ha reso il suo stile narrativo più fluido e la sua poetica più incisiva. È nato così “A history of violence” (2005), uno dei film più affascinanti del cinema moderno. Esso è un'efferata critica alla società, costruita sulla volubilità dei valori familiari e sulla perdita dell'identità.
In più di quarant'anni di carriera David Cronenberg è riuscito a trattare una serie innumerevole di temi, che ritornano ciclicamente in ogni suo film, come se fossero crimini del futuro: l'origine e la nascita, le paure e i desideri dell'infanzia, il corpo, la sessualità e la sessuologia, la mente con le sue allucinazioni e illusioni, la malformazione, la morte.
Il suo cinema è freddo e medico, ironico e crudele; esso però non evita di sedurci e ammaliarci: bisogna lasciarsi andare, come raramente avviene durante uno spettacolo cinematografico, alla allucinazione e alla finzione, e con esse tradurre in problema vero tutto ciò che il cinema presenta come reale.



E con il suo ultimo film, "Cosmopolis" (tratto da un racconto di De Lillo), Cronenberg aggiorna e approfondisce la sua intera filmografia, riuscendo a trattare i temi a lui più cari in maniera forse definitiva. Dopo non ci sarà più nulla, solo malattia e morte.


(Il pezzo è presente anche sul sito Il Bufalo.it)

Categorie: Cinema registi, Cinema approfondimenti

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MARILYN HA GLI OCCHI NERI
Locandina del film MARILYN HA GLI OCCHI NERI Regia: Simone Godano
Interpreti: Miriam Leone, Stefano Accorsi, Thomas Trabacchi, Mario Pirrello, Orietta Notari, Marco Messeri, Andrea Di Casa, Valentina Oteri, Ariella Reggio, Astrid Meloni, Giulia Patrignani, Vanessa Compagnucci, Lucio Patané, Agnese Brighittini
Genere: commedia

Recensione a cura di Severino Faccin

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