lo scorso luglio ho coronato un piccolo sogno. Ho pubblicato un libro. Il mio primo libro di cinema.
Nel libro ho raccolto, rimaneggiandoli giusto un po’, vari scritti (articoli? “saggi”? recensioni?) su singoli film, tra cui gran parte sono alcune “recensioni” pubblicate fino al 2011 proprio su Filmscoop.
Mi sono accorto che, senza volerlo, alcuni mie recensioni si rimandavano fra loro, per temi, argomenti, fissazioni. E’ stato così che ho pensato di raccogliere gli scritti ordinandoli proprio sulla base di alcune tematiche che ricorrevano con una certa insistenza. Il concetto di libertà; quello di “femminino”; il contrasto tra “natura” e “civilizzazione”.
Un’altra sezione del libro l’ho intitolata “pellicole allo specchio”. Sono coppie di film che si fronteggiano, secondo un’assonanza che a volte – lo riconosco – può essere stravagante. E’ stata la sezione in cui mi sono sbizzarrito di più. Ad esempio, cosa possono avere in comune “La samaritana” di Kim Ki Duk, con “In un mondo migliore” di Susanne Bier? Oppure “Il vangelo secondo Matteo” di Pasolini e “Habemus Papam” di Nanni Moretti? A parte il fatto di essere tutti film recensiti da me su questo sito, dico. Be’, che dirvi: potrete scoprirlo solo leggendo il mio libro.
Si chiama “Lo schermo e il taccuino”.
Per la copertina, mi è venuta in mente una specie di fantasia escheriana. Volevo rendere l’idea che, scrivendo e descrivendo film, è un po’ il cinema stesso che, attraverso una penna (la mia, in questo caso), scrive di sé, su di sé.
Spero di aver reso l’idea.
Qui, potrete scoprire come è strutturato il libro, dando una scorsa all’indice. E, se vi va, allo stesso link è possibile leggere pure (oltre a parte della mia introduzione) la prefazione scritta da Carlo Montanaro, che ringrazio per le sue parole, troppo generose.
Qui, invece, se proprio siete così matti da pensare di farlo, potreste sempre togliervi lo sfizio di acquistarne una copia online.
Questo,infine, è il ringraziamento - sincero - che compare, fra gli altri, in fondo al libro:
Grazie alla redazione e agli “amici” di Filmscoop.it, che condividono la comune passione, nell’entusiasmo costante rinvigorito dal confronto, dallo scambio di idee, dallo spirito critico e dall’amore per la più eclettica fra le arti. Senza Filmscoop.it, la maggior parte dei brani ora raccolti in questo volume non avrebbe visto la luce.
Il primo fu 2001 Odissea nello spazio. Il genere "science fiction", che fino ad allora era di basso profilo, fu nobilitato per salire di categoria.
Il film esamina argomenti complessi, suscita forti impatti emotivi e a tutt'oggi ha segnato un passo fondamentale nella storia del cinema.
Anche Alien e la sua saga, con le palesi metafore, trascende dalla storia di fantascienza tout court.
L'ultimo decennio e in particolare gli ultimissimi anni, vuoi per un crescente bisogno da parte dell'uomo di soddisfare una sua parte spirituale che la vita moderna portava a trascurare, vuoi per la consapevolezza di vivere in quell'età futura che i grandi autori di fantascienza, sia in ambito letterario che cinematografico, avevano descritto e preconizzato, ha visto fiorire una serie di pellicole a stampo intellettual-filosofico tutte introspettive, astruse e talora anche noiose.
Ultimo della serie, uscito da pochi giorni, è Cloud Atlas: un film nel film, lungo ma non noioso apologo della vita e della libertà. La storia ha la novita di vedere collegati tra loro in un unicum passato, presente e futuro combinando generi filmici diversi (l'avventura dell'episodio ottocentesco, il genere commedia grottesca dell'episodio ambientato ai giorni d'oggi, il distopico degli episodi dei secoli futuri). Non manca un notevole camaleontismo da parte dei vari interpreti che passano ai vari personaggi (di epoche e talvolta di sesso diverso) con disinvoltura e mestiere.
Povero Ridley Scott. Il tuo “Prometheus” è squilibrato, modesto, ridicolo sotto vari punti di vista. Non funzionano né i personaggi né alcune situazioni. Ma di questo hanno già parlato legioni di critici e spettatori. Però. A parte questo. In nome di quale ragione commerciale, Ridley, hai ritenuto di poter sporcare la faccia a uno dei tuoi due unici veri capolavori, accettando la sceneggiatura di Jon Spaihts e Damon Lindelof, che è così spudoratamente reazionaria? Non è la prima volta che fai un film criptatamente politico. Ma doveva essere proprio così biecamente nostalgico verso gli Stati Uniti di Bush? “Prometheus” è repubblicano sino al midollo. E, in questo momento, anti-Obama. Ottuso, gretto, è stato concepito da menti che stanno agli Stati Uniti progressisti come il Kowalski all’inizio di "Gran Torino” sta al Kowalski che si immola nel finale del film di Eastwood del 2008. Anti-democratico, “Prometheus” è tristemente anti-idealista. E anti-“Avatar”.
Di solito mi guardo dal manicheismo: ma in questo caso voglio essere manicheo. "Avatar" è altrettanto politico di “Prometheus”. Ma “Prometheus”, oltre a essere fatto parecchio male, è intriso di negatività e pessimismo, e – ciò che è peggio – se ne compiace. “Avatar” è un film meraviglioso, innovativo se non altro tecnicamente, ma soprattutto regala un sentimento di speranza coniugato a valori molto importanti*: “Prometheus”, oltre a utilizzare il 3D in maniera completamente insulsa (il 3D che proprio “Avatar”, nel bene e nel male, ha sdoganato) deliberatamente distrugge ogni speranza, e nemmeno ci regala la soddisfazione di spiegarci perché.
Elizabeth Shaw e Charlie Holloway sono descritti come due ingenui idealisti che credono nelle favole: l’universo là fuori non è popolato da alieni che potrebbero insegnarci quell’armonia che la genìa umana ha perduto, ma bramano solamente di distruggerci come fossimo un fastidioso formicaio. “Prometheus” si rivolta sadicamente contro quello spettatore che, credulone, si era illuso di poter contare su una trama diversa, ricca di chissà quali rivelazioni, dopo quell’incipit prometeico che rimane irrisolto e avulso rispetto agli sviluppi della trama. “Prometheus” è un film oscuro, che è rimasto fermo al cinema di fantascienza degli anni ’50: in piena guerra fredda, quando gli alieni erano cattivi e ci volevano distruggere. Il che, oggi, equivale un po’ a fare un film western in cui gli indiani siano collezionisti di scalpi: potrebbe funzionare solo come parodia (ciò che nella fantascienza fece Tim Burton con “Mars attacks!”). E non mi si dica che pure “Alien” era sostanzialmente fermo a quel tipo di fantascienza, perché in "Alien" non c’era alcuna intelligenza nemica che volesse la nostra distruzione, e la denuncia sottesa al film era piuttosto contro le logiche distorte che presiedono spesso le scelte compiute dagli uomini: la Compagnia aveva tenuto l’equipaggio all’oscuro dello scopo della missione (introdurre l’alieno a bordo, per fini militari). “Prometheus” deliberatamente ignora oltre quarant’anni di cinematografia hollywoodiana, da “Piccolo grande uomo” ad “Avatar” passando per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e Balla coi lupi.
Ne esce un film che, ad ogni modo e comunque la si pensi, resta squilibrato, modesto, ridicolo e patetico. Non so come fare per accontentarmi del baraccone. Non so che farmene, di questo baraccone. Ma so che, se Bush non avesse vinto le elezioni del 2000 (coi brogli in Florida), probabilmente il XXI secolo sarebbe cominciato in modo diverso. E di questo stiamo ancora scontando tutti le conseguenze. Un film non è mai solo un film. Specie se è un blockbuster.
* sul mio alto concetto di Avatar rimando al mio commento al film
Il 23 Novembre del 1963 la rete televisiva britannica BBC trasmise il primo episodio di Doctor Who. A conti fatti questa serie compie 33 anni (dal 1963 al 1989 e dal 2005 ad oggi) proprio nel 2012 e il 33 è da sempre un numero particolare, fortemente simbolico.
Opera sci-fi diretta ad un pubblico under 18, Doctor Who è forse il serial più longevo della storia della televisione. Ventisei stagioni della serie classica, un film per la tv e sei stagioni della nuova serie dal 2005, per un totale di più di 700 episodi (e una manciata di speciali), narra le avventure del Dottore, alieno proveniente dal pianeta Gallifrey e ultimo Signore del Tempo, sopravvissuto alla distruzione del suo mondo e della sua civiltà. Sì, signore del tempo, perchè i gallifreiani sono capaci di muoversi nello spazio e nel tempo viaggiando su enormi navi spaziali chiamate TARDIS (Time And Relative Dimension(s) In Space). Apparentemente del tutto simili agli umani, hanno in realtà due cuori, doppio sistema circolatorio, un sistema respiratorio che gli permette di restare senz'aria e una temperatura corporea di 15-16 gradi Celsius. Hanno inoltre la capacità telepatiche e quella importantissima di guarire più velocemente e di rigenerare il proprio corpo in caso di morte violenta o naturale per ben 12 volte, avendo quindi a loro disposizione 13 vite, cosa che li rende virtualmente immortali.
Il Dottore ha più di novecento anni, è un genio ed è l'ultimo della sua specie; viaggia per le galassie su una cabina telefonica blu della polizia inglese. Odia la violenza ma è capace di ira funesta, è in grado di risolvere qualsiasi situazione e il suo nome è temuto in tutto l'universo dai suoi nemici. Nel corso dei suoi viaggi è stato accompagnato da uno o più "Companions", terrestri che per un breve periodo lo hanno affiancato nelle sue avventure, rivelandosi di fondamentale importanza e a volte salvandogli persino la vita.
Una serie così lunga e complessa che sarebbe impossibile sintetizzarla in poche righe. Che poi sarebbe anche deleterio: Doctor Who va guardato, goduto e amato. Perchè fa sognare, perchè apre le porte dell'universo e di quel mondo fanciullesco che ogniuno ha dentro di se. Quante volte guardano le stelle ci siamo chiesti cosa ci fosse lassù? In un certo senso qui ci viene data una risposta: l'unico modo per saperlo sarebbe andarci, lassù, e vedere con i propri occhi.
Nonostante sia stata concepita come serie under 18, Doctor Who è tutt'altro che infantile, alternando paura, ironia, comicità e azione ma anche momenti di vera profondità psicologica e filosofica. Sfaccettata come il suo protagonista, è in grado di far ridere, piangere e sognare, persino di aver paura. Cosa ci può essere di più bello di qualcosa che racchiude questi sentimenti tutti insieme?
Amore e guerra, malinconia e riso, noi soffriamo e gioiamo durante e dopo la visione, ci esaltiamo per i colpi di genio di un personaggio unico nella propria molteplicità, per le frasi ad effetto e i giochi di parole. Ma basta anche solo uno sguardo, un'avvenimento rivissuto all'ombra del fantasy e noi diveniamo i companions finali del Dottore, realizzando così quell'antico sogno di trovare qualcuno che ci prenda e ci porti via per vivere avventure uniche e straordinarie, anche se solo con la fantasia, anche se solo per qualche istante.
Questo autunno è partita la Settima Stagione, che presenterà novità a livello di comprimari. Per ora sono stati trasmessi i primi cinque episodi delle nuove avventure dell'Undicesimo Dottore, mentre per i restanti dovremo aspettare il 2013. Ci sarà spazio per una nuova companion interpretata da Jenna-Louise Coleman, per lutti e nuovi/vecchi nemici. E la domanda a cui bisognerà rispondere sarà una e una sola: Dottor chi?