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Dove si conclude "In the mood for love" inizia "2046": un tempo antico, un albero, un segreto ed un buco nel tronco in cui custodirlo.
Per chi non ha visto il precedente capolavoro di Wong Kar Wai, è bene anticipare che questo "2046" apparirà incompleto, anche se non si può definire in senso stretto un suo seguito.
Il protagonista è sempre Chow, giornalista e scrittore tornato a Hong Kong dopo un volontario esilio di tre anni a Singapore. La vicenda, che si svolge a partire dal 1966, lo vede dolente e solitario in un dozzinale albergo, mentre tenta di mantenersi scrivendo articoli di costume quando fuori dalle mura del misero edificio e fuori dalla sua esistenza di seduttore si succedono i turbolenti avvenimenti della Storia.
In verità, tuttavia, quel che importa in questo lavoro di Wong Kar Wai non è la trama, ma lo sguardo obliquo e indagatore del regista nella vita intima e nella coscienza dello scrittore, perso nelle sue innumerevoli conquiste che si susseguono nell'impossibile compito di dimenticare Li-zhen, l'Amore che gli ha sconvolto la vita e che l'ha reso fragile al punto da doversi costruire attorno la corazza di un seduttore impenitente, che sembra uscito direttamente da un noir del Dopoguerra. Brillantina sui capelli ed espressione sfacciata, Chow vaga da una relazione all'altra senza esserne coinvolto, addirittura umiliando le sue amanti trattandole come prostitute, negandosi e facendosi desiderare con un'immagine sempre viva nella mente: quella della seconda Li-zhen (una splendida eD oscura Gong Li) conosciuta a Singapore, che ha avuto il potere di evocare la prima Li-zhen, quella dell'amore immacolato e impossibile raccontato nel delicatissimo "In the mood for love".
Chow scrive articoli di poco conto, ma anche romanzi, e ce lo racconta fuori campo: "Qualcuno si meravigliava che scrivessi di fantascienza, ma per me 2046 era solo in numero di una stanza d'albergo". In verità 2046 non è solo una stanza d'albergo, ma la stanza in cui avvenivano gli incontri tra Chow e la prima Li-zhen e, magicamente, quel numero si ripresenta con una simbologia ciclica tutta orientale anche all'Oriental Hotel, dove lo scrittore alloggia.
Nel momento in cui egli si stabilisce nella stanza accanto alla 2046, ascoltando le solitarie conversazioni in giapponese della figlia dell'albergatore, disperata per un impossibile amore, inizia una danza in cui passato, presente, futuro si fondono con una liquidità temporale che ci confonde: la realtà diventa romanzo e il cinismo di Chow diviene languore, dolore e desiderio d'amore.
2046 diviene un tempo storico e interiore, un luogo, un simbolo, un ricordo arcaico, una donna che appare per un istante e che anni prima ha spezzato un cuore, un treno che porta in un recondito quid da cui nessuno è mai tornato. 2046 è dove le donne diventano automi che piano piano perdono la memoria e la capacità di muoversi, diventano icone trapassate eppure sempre presenti. Non è possibile sostituirle senza che l'una si sovrapponga all'altra in un'eterna rincorsa della perfezione e della fusione. Lo scarto temporale rappresenta anche l'incrinatura interiore del protagonista, che perde sempre le occasioni arrivando troppo presto, o troppo tardi.
Il personaggio di Chow con il suo alter ego Tak che viaggia verso 2046 - con il volto del fidanzato giapponese - appare in tutta la sua statura di gigante coi piedi d'argilla, tanto affascinante quanto tormentato da un fluire magmatico di pensieri e sentimenti.
La bellezza dei protagonisti ed il loro appeal fanno dimenticare l'ambientazione modesta, quasi povera dell'Oriental Hotel: quanto più le location sono dozzinali, tanto risplendono le mise delle protagoniste, in particolare della deliziosa Bai Ling (interpretata da Zhang Ziyi).
Anche in questo caso, come nei precedenti lavori di Wong Kar Wai, massima importanza è data ai dettagli sia scenografici sia registici: ancora una volta siamo avviluppati in inquadrature strettissime e laterali, con gran parte dello schermo occupato da un drappeggio, da un paravento o da una nuca; ancora sono inquadrate le danze di piedini delicati, lacerti di elegantissimi qi pao, acconciature elaborate e scenografiche volute di fumo. Bellissime per contrasto sono anche le immagini dal mitologico treno che porta verso il 2046, rapido ed inesorabile nei suoi fluidi riflessi metallici mentre attraversa città fantastiche, fredde e piene di luci.
Luogo di cesura e al contempo di continuità è la terrazza dell'Oriental Hotel, dove si alternano le donne di Chow e lo scrittore stesso accompagnati da musiche differenti: "Casta diva" per la virginale figlia del proprietario dell'albergo, "Siboney" per la sensuale Bai Ling.
"La verità è che non si può tornare indietro".
Il regista ammette di aver iniziato a pensare al film nel 1997, anno della restituzione di Hong Kong alla Cina: in quell'anno il governo cinese promise cinquant'anni senza cambiamenti, e tutto il film interiorizza quell'immobilità, quell'incapacità di mutare, quel timore di dimenticare misto all'attesa di "qualcosa" che fatalmente avverrà allo scadere del termine, appunto nel 2046.
Come Chow/Tak cerca di raggiungere 2046, così Wong Kar Wai tende inesorabilmente verso la ricerca della perfezione tecnica e stilistica della sua opera: è evidente a questo proposito la quantità del girato realizzato dal regista per raggiungere il suo obiettivo. Tanta perfezione rischia però di far virare inevitabilmente il film verso l'estetica; manca pertanto l'accorata partecipazione alla storia d'amore e tutto rimane algido e distante, a tratti complesso da districare e sicuramente non immediato; non è d'ausilio poi l'eccessiva lunghezza del film, ostacolo difficile da superare considerato l'oggetto del film.
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Recensione a cura di martina74 - aggiornata al 25/03/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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